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da Il Manifesto del 26 marzo 2005

Tra i feriti del Cpt di Crotone di Cinzia Gubbini

4 immigrati hanno gambe fratturate: «Ci hanno picchiati». La polizia: «Sono caduti»

In quattro hanno le gambe fratturate. Gli altri raccontano di notti drammatiche: «Botte, botte, i bastoni con l’elettricità». Non è chiaro cosa sia accaduto nel centro di prima accoglienza (cpa) Sant’Anna di Crotone, dove sono stati trafseriti tutti gli immigrati «salvati» dai respingimenti collettivi verso la Libia da Lampedusa. Di certo, in molti sono scappati.
Sui fogli delle presenze si notano dei grossi «buchi» tra il 17 e il 18 marzo. Da 430 persone passano a 290, poi a 98. Nei giorni successivi le presenze salgono di nuovo, fino ad arrivare alle duecento attuali. Non è una novità che dal centro di Crotone le persone fuggano.
D’altronde stiamo parlando del centro di accoglienza, e non del centro di permanenza temporanea che si trova all’interno dello stesso aeroporto militare, poco più in là, in due palazzine malandate protette da recinzioni altissime. Dal cpa, tutti dovrebbero poteri allontanare.
Ma le cose al Sant’Anna stanno cambiando, come in tutti i centri di accoglienza, visto che il regolamento di attuazione della Bossi-Fini prevede un nuovo corso per campi come questo, in genere destinati ai potenziali richiedenti asilo. Si stanno trasformando in «centri di identificazione». Una nuova sigla (Cdi) che sta a indicare una tendenza ben precisa: tutti chiusi e sotto stretta sorveglianza.

E così, al Sant’Anna, c’è un gran movimento. I container sono nuovi di zecca, i materassi ancora avvolti nella plastica – tanto che neanche ci sono le lenzuola – l’albero dove gli immigrati si arrampicavano per saltare le inferriate è stato tagliato e ben presto sorgerà una seconda recinzione, a rafforzare la prima. Tra le due grate ci sarà lo «spazio per il pattugliamento». Le regole si fanno sempre più inflessibili.
L’altro ieri il senatore Francesco Martone – segretario della commissione diritti umani – si è recato al centro, e non c’è stato verso di far entrare con lui l’avvocato Daniela Consoli. Solo dope molte discussioni, ieri il senatore dei Ds Nuccio Iovene è potuto entrare nel centro con l’avvocato Alessandra Ballerini.

Una metamorfosi che ha avuto un effetto immediato nelle relazioni all’interno del centro. Il senatore Martone, quando l’altro ieri ha varcato il cancello, è stato avvertito da alcuni agenti della polizia: «Li troverà un po’ acciaccati, sa com’è, c’è stata una sassaiola». Ma di sassi, all’interno della recinzione, non ce ne sono.
«Infatti erano loro a tirarceli, da fuori, quando c’è stata la fuga», dice uno degli immigrati. E’ soprattutto il gruppo di persone che si definisce di nazionalità palestinese e irachena – e che dicono di essere salpati dalla Turchia – a lamentarsi. «Botte, botte coi bastoni che hanno l’elettricità». E alzano le mani. Sono in tanti ad avere sul palmo e sul dorso delle piccole escoriazioni, che sembrano bruciature. Tutte uguali.
Ma la polizia nega di avere in dotazione manganelli elettrici. A qualcuno, comunque, è andata peggio. Due persone hanno la gamba ingessata, altri due se ne stanno distesi per terra in un container con fasciature d’occasione. Secondo i medici dell’infermeria gli immigrati si sarebbero rotti le gambe cadendo dalle inferriate che cercavano di scavalcare. Con il senatore Iovene hanno aggiunto un particolare: nei giorni scorsi anche alcuni poliziotti avrebbero ricorso alle cure mediche.

Tra i duecento immigrati rimasti nel cpa – in molti sostengono di essere minorenni – c’è anche un gruppo di africani: dicono di venire dalla Liberia, dalla Costa D’Avorio, dal Ghana. In mano, come tutti gli altri, hanno solo un foglio della questura di Crotone con il loro nome, a cui è attaccato un cartoncino della Croce Rossa, gestore del cpa, che assegna loro un posto in un container. «Ma avete potuto parlare con un avvocato?», chiede Martone. «No parlare, solo da mangiare». Si cerca anche di capire come sia avvenuta la selezione a Lampedusa. La risposta è la solita: «Ask your name, the country you come, they control if you have guns».
Cioè: ti chiedono il nome e il paese da cui vieni, poi ti fanno una perquisizione. Dopodiché qualcuno torna in Libia e qualcun altro arriva a Crotone. Tra i «salvati» c’è anche una famiglia con un bambino handicappato. Ha quattro anni e due occhi vispi.
I genitori dicono di essere palestinesi e che non vogliono chiedere asilo politico, perché intendono tornare nel loro paese. Ancora nessuna visita medica per il bambino. Secondo i medici l’ospedale darebbe un appuntamento molto in là nel tempo, e loro non hanno idea di quanto la famiglia si tratterrà nel campo.
Nel centro vivono anche altri due bambini, da 24 giorni. Sono i figli di una donna che è stata rispedita in Italia dall’Inghilterra in base alla Convenzione di Dublino. Ci sono altre tre persone nella sua stessa condizione a Crotone. Una di loro è rinchiusa lì da due mesi. «Questi centri sono addirittura peggiori dei cpt, dove prima o poi, almeno, passa un giudice. Qui la gente sta chiusa non si sa per quanto tempo», osserva il senatore Iovene.