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Tunisia – Prosegue la lotta per la dignità dei rifugiati e dei richiedenti asilo del campo profughi di Choucha

di Lda, associazione Ya Basta!

La situazione a Choucha

Al campo profughi di Choucha, al confine con la Libia, centinaia di persone vivono da oramai tre anni in condizioni indegne, nell’indifferenza delle istituzioni nazionali e internazionali. Il campo profughi venne aperto per accogliere le migliaia di persone in fuga dalla guerra in Libia, ma da circa otto mesi l’Unhcr ha formalmente chiuso il campo, a cui è stata sospesa anche l’erogazione di acqua e di elettricità. I volontari della mezza luna rossa locale, una delle poche organizzazioni che continua a portare aiuti medici nel campo, sostengono che non hanno idea di dove le persone recuperino acqua e cibo. Infatti Choucha si trova in una zona predesertica al confine con la Libia, che per molti mesi è stata chiusa dalle autorità tunisine per limitare il contrabbando e per controllare la zona che vede il transito di gruppi islamici radicali.

I dati ufficiali parlano di circa un centinaio di persone che al momento vivono nel campo, anche se sembra che il numero effettivo sia di circa tre volte maggiore. Una buona parte di loro ha ottenuto lo status di rifugiato mentre ad altri è stato rifiutato sulla base di definizioni asettiche che non tengono conto del vissuto individuale delle persone, che vengono in questo modo ridotte a numeri da sottoporre alle valutazioni fondate sulle normative internazionali in materia di migrazione. Ma nemmeno le condizioni di chi ha ottenuto il riconoscimento di rifugiato sono cambiate: da mesi vivono in attesa che i Paesi europei prendano in carico la loro situazione, ma fino ad oggi l’Unhcr non è riuscito a reinsediarle. Va notato inoltre che la nuova costituzione tunisina riconosce il diritto di asilo per i rifugiati, ma non esistono dispositivi legislativi che garantiscano la messa in pratica di tale diritto. Queste due contingenze hanno creato un vero e proprio limbo da cui non sembra possibile uscire, nonostante le denunce e le mobilitazioni della società civile tunisina e internazionale.

Tra le centinaia di persone che vivono a Choucha ci sono decine di bambini nati e cresciuti nel campo, che non hanno avuto nessuna istruzione, che non possono ricevere cure mediche tempestive. Ci sono donne e uomini con sogni e desideri che si trovano bloccati in un campo profughi e a cui non viene dato modo di sapere nemmeno cosa capiterà loro.

In questi mesi, le mobilitazioni per appoggiare le rivendicazioni dei rifugiati e dei richiedenti asilo che ancora vivono nel campo, si sono susseguite senza sosta e sono culminate con l’arresto di una delegazione che da Choucha si è recata a Tunisi per manifestare di fronte alla sede locale dell’Unione Europea. Circa 20 rifugiati, che non sono stati formalmente accusati di nessun reato, sono stati detenuti per un mese nelle carceri tunisine per poi essere nuovamente scortati dalla polizia al campo di Choucha. Le proteste non si sono fermate e una seconda delegazione è tornata a Tunisi la scorsa settimana per richiedere l’applicazione del diritto d’asilo garantito dallo status di rifugiato.

Come Associazione Ya Basta e Un Ponte Per chiediamo il riconoscimento dello status di rifugiato per tutte le persone che sono ancora nel campo, e inoltre che le istituzioni competenti si mobilitino per farle uscire da questo limbo che dura da tre anni e che non vede ancora soluzioni. L’ipocrisia di definire una persona “rifugiato”, senza applicare i diritti che questo status dovrebbe garantirgli, rappresenta una delle deformazioni della politica del controllo che inizia ad essere esercitata nel momento stesso in cui un individuo viene categorizzato in uno status piuttosto che in un altro. Per questo chiediamo che il diritto alla libertà di scelta e quello di vivere una vita degna vengano riconosciuti e posti come priorità da perseguire, al di là delle normative e delle leggi che impongono dall’alto la limitazione della libertà attraverso i dispositivi di controllo che, anche quando dovrebbero proteggere le persone in fuga da una guerra, si rivelano incapaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali.

La Carovana “Sulle rotte dell’Euromediterraneo”

Pochi mesi dopo l’apertura del campo di Choucha la coalizione di Ya Basta delle Marche, Emilia Romagna Nordest e Perugia, in stretta relazione con alcune associazioni tunisine che sostenevano e sostengono tutt’ora la lotta per la dignità e l’accoglienza, visitò il campo, producendo video e articoli che denunciavano le condizioni di difficoltà in cui vivevano gli “ospiti” del campo, ma che riconoscevano anche alla Tunisia una capacità di accoglienza che in Italia, soprattutto in quel periodo, veniva negata attraverso i respingimenti in mare, i cie, i cara e il dispositivo messo in atto a Lampedusa. Nonostante la condizione contingente di crisi economica e di difficoltà che ha caratterizzato la fase post rivoluzionaria e quella di difficoltà strutturale di uno Stato con forti carenze sul piano del welfare, in Tunisia le varie istituzioni e organizzazioni della società civile si sono trovate d’accordo sulla necessità di accogliere le migliaia di persone in fuga dalla guerra in Libia. Attraverso quest’esperienza emerse ancora con maggiore evidenza quanto in Italia, che è ovviamente un Paese che gode di maggiori risorse della Tunisia, si fosse consumata una scelta politica di non-accoglienza, attraverso la creazione dell’immaginario dell’emergenza e dell’invasione, nonostante, tra l’altro, il numero di persone che dalla Libia è giunta in Tunisia non sia nemmeno paragonabile con le poche migliaia che sono arrivate in Italia dalla Tunisia. Oggi notiamo come anche a Choucha si sia determinato un forte scostamento tra quanto era stato proclamato (il reinsediamento di tutti i richiedenti asilo) e la realtà (il totale abbandono di centinaia di persone).

Nel corso della Carovana del prossimo aprile in Tunisia, sulle Rotte dell’Euromediterraneo, la coalizione di Ya Basta e Un Ponte Per proseguiranno il percorso comune di confronto e di scambio dal basso con quelle realtà tunisine, e non solo, con cui si è instaurata in questi anni una relazione politica e umana, a partire da un evento importante quanto mai in questa fase, ovvero il Forum Sociale Magrebino sulle Migrazioni, che si svolgerà dal 18 al 20 aprile a Monastir.

Parteciperemo con le parole della Carta di Lampedusa, per affermare ancora una volta con forza che la libera circolazione e il diritto alla mobilità è un principio che va difeso, contro le politiche di controllo imposte da governi che vedono i migranti come un flusso di manodopera da regolare secondo le esigenze del mercato del lavoro, mercificando le persone, o come un problema da risolvere con imposizioni, reclusioni nei CIE e respingimenti ed espulsioni. Rimettere al centro i diritti tra cui la libertà di scelta (di partire, di restare, di cercare condizioni degne di vita) significa ripartire dall’inclusione, dalla solidarietà e dalla costruzione comune di percorsi di libertà e di affermazione dei diritti.