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Un lavoratore extracomunitario può dall’Italia stabilirsi in un altro Paese UE?

Si premette che la possibilità per un cittadino non comunitario di trasferirsi in un altro Paese dell’Unione europea per svolgere attività lavorativa, senza dover chiedere nuove autorizzazioni, non è attualmente prevista. Un cittadino extracomunitario con regolare permesso di soggiorno per lavoro in Italia può utilizzare quel permesso di soggiorno solo per lavorare in Italia e la circostanza del soggiorno regolare non costituisce al momento una condizione di preferenza o di agevolazione per poter andare a lavorare in altri paesi dell’UE.

Attualmente il permesso di soggiorno italiano per motivi di lavoro, di tipo rinnovabile, può essere utilizzato come se fosse una sorta di visto di ingresso per turismo, nel senso che lo straniero autorizzato al soggiorno di tipo rinnovabile per motivi di lavoro in uno dei Paesi che aderiscono al Trattato di Schengen (si veda la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Shengen del 19 giugno 1990) può spostarsi negli altri Paesi (dello spazio Schengen che comprende tutti i paesi UE – tranne Inghilterra e Irlanda – ed inoltre Islanda e Norvegia) senza che vi sia la necessità di richiedere preventivamente il visto di ingresso per turismo.

In altre parole, il possesso del permesso di soggiorno di uno dei paesi dello spazio Schengen, equivale all’autorizzazione a spostarsi per motivi di breve soggiorno essenzialmente di tipo turistico, senza poter svolgere attività lavorativa. Ciò non esclude che la persona sia obbligata a rispettare le norme in materia di ingresso e soggiorno vigenti nei diversi Paesi UE e, quindi, a dichiarare la propria presenza non appena arrivata.

E’ tuttavia prevista la possibilità futura di una soluzione per la situazione sopra prospettata, ossia una sorta di libertà di circolazione all’interno dell’UE degli stranieri legalmente soggiornanti. Questa possibilità è prevista dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU L 016 del 23/01/2004, pag. 44 – 53). Si precisa che la stessa dovrebbe essere recepita negli ordinamenti nazionali dei paesi membri dell’UE entro il 23 gennaio 2006 (art. 26).
L’art. 4, comma 1, della direttiva dispone che gli Stati membri conferiscono lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini dei paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda. Si prevede inoltre che gli Stati membri rilasciano al soggiornante di lungo periodo un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Questo è valido per almeno cinque anni e, previa domanda, ove richiesta, automaticamente rinnovabile alla scadenza (art. 8). Secondo questa direttiva il soggiornante di lungo periodo acquisisce il diritto di soggiornare, per un periodo superiore a tre mesi, nel territorio di qualsiasi Stato membro … sulle seguenti basi:
a) esercizio di un’attività economica in qualità di lavoratore autonomo o dipendente;
b) frequentazione di corsi di studio o di formazione professionale;
c) altri scopi.

Ciò sarà possibile senza che vi sia la necessità di avviare una nuova pratica di immigrazione (come se partissero per la prima volta dal loro Paese).
La direttiva dedicata ai soggiornanti di lungo periodo è comunque attualmente, come sopra precisato, una norma a contenuto di programma che obbliga il legislatore italiano (e i legislatori di tutti gli altri paesi dell’UE) a recepire questa nuova forma di libertà di circolazione nel termine dalla stessa prefissato.

L’interessato che ha inviato il quesito, si riferisce al caso di una persona sposata con un cittadino italiano. Ciò fa sì che la stessa abbia il diritto alla estensione del trattamento comunitario ossia del diritto ad essere trattata come una cittadina comunitaria a tutti gli effetti, ma solo a condizione di esercitare la libertà di circolazione (come disciplinata dall’art. 39 ss. Trattato CE e dal diritto derivato) unitamente alla persona che le trasmette questo diritto.
In altre parole questo diritto le viene riconosciuto – in base alla normativa comunitaria ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee – solo se e in quanto la persona interessata – cittadina extracomunitaria coniuge di un cittadino italiano – si sposti unitamente al marito.
Solo se i due coniugi si spostano insieme possono essere entrambi considerati come cittadini comunitari. Al contrario – almeno finché non vi siano pronunce della Corte di Giustizia che riconoscano questo diritto – non potrebbe essere considerata come cittadina comunitaria e dovrebbe attendere il recepimento della menzionata direttiva europea sui soggiornanti di lungo periodo.