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Ungheria: quale futuro con la costruzione del muro anti-immigrati?

Recinzioni, muri, ostacoli sono diventati il simbolo dell’accoglienza e della gestione dei rifugiati in Europa

Il 6 luglio il parlamento ungherese ha approvato, in primo luogo, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione e, in secondo luogo, ha dato il via libera alla costruzione di un muro alla frontiera con Serbia. La recinzione, alta all’incirca quattro metri e lunga 175 chilometri ha lo scopo di fermare il flusso di migranti che sempre di più utilizzano l’Ungheria come paese di passaggio per raggiungere altre destinazioni europee. Recinzioni, muri, ostacoli sono diventati il simbolo dell’accoglienza e della gestione dei rifugiati in Europa. Non a caso il termine “fortezza Europa” acquista drammaticamente sempre più popolarità.
Recentemente, come in molti paesi europei, si è diffuso sempre di più in Ungheria un sentimento misto tra paura e diffidenza nei confronti dei migranti che è stato ulteriormente amplificato dai mass media e sfruttato dalla classe politica.
Nella parte meridionale dell’Ungheria i tre comuni più interessati dal passaggio a causa della loro posizione geografica sono Röske, Mòrahalom e Àsatthalom. È interessante rendersi conto di come le personalità politiche, come ad esempio i sindaci siano i primi ad essere favorevoli al progetto anti-immigrati. Purtroppo i rifugiati si trasformano sempre di più in un possibile guadagno di voti alle prossime elezioni.
Nògradì Zoltàn, sindaco di Mòrahalom dal 1994, ha affermato: «Sono favorevole a tutto quello che può ripristinare l’ordine». Se è vero che a quanto pare nel villaggio non tutti sono entusiasti dall’idea del muro anti-immigrati, sono poche le voci che lo criticano.

MigSzol Csoport Protest: Demonstration Against The Wall on Serbian Border
MigSzol Csoport Protest: Demonstration Against The Wall on Serbian Border

Dello stesso parere à Laszlo Toroczai, sindaco di Àsatthalom, cittadina soprannominata da molti la nuova Lampedusa ungherese, che pare giustificarsi: “Lo vedi? Tra noi e la Serbia c’è solo un prato: nessuna difesa naturale, né ruscelli, né montagne. E noi dobbiamo difenderei nostri confini”.
Successivamente il governo di Budapest ha deciso di sospendere in maniera unilaterale la Convenzione di Dublino, documento che per quanto può essere criticato, rimane una base fondamentale per l’accoglienza dei rifugiati. La Commissione Europea non ha tardato a esprimere la propria preoccupazione chiedendo chiarimenti al governo ungherese in merito alle recenti dichiarazioni.
Un mese dopo l’annunciata decisione di intraprendere la costruzione di un muro anti-immigrati, il ministro degli esteri Peter Szijjarto ha annunciato la decisione di ritornare sui propri passi. In una conferenza stampa ha infatti affermato, probabilmente sotto pressione da parte delle istituzioni europee, che «l’Ungheria non sospenderà l’applicazione di alcuna norma comunitaria». Si tratta per il momento di un barlume di speranza nel contesto difficile dell’accoglienza dei rifugiati anche se, come afferma un proverbio cinese, purtroppo sono più numerosi gli uomini che costruiscono muri di quelli che costruiscono ponti.
La situazione ungherese mostra chiaramente come l’Unione Europea si trovi in una situazione di impasse in cui i paesi non riescono o non vogliono cooperare. Ciò che manca è infatti una volontà di risolvere il problema che presenta caratteristiche trans-nazionali e la cui soluzione, proprio per questo motivo, non può essere accollata ad un solo stato poiché sfugge alle logiche e alle politiche puramente nazionali. I governi dei paesi europei non sembrano però pronti ad abbandonare atteggiamenti di egoismo e di speculazione politica e alle numerose conferenze stampa in cui viene annunciato il rispetto dei principi di solidarietà e di responsabilità non susseguono azioni decisive. Il governo di Budapest dopo la conferenza stampa si attiverà come promesso?
Si tratta di questioni aperte tragicamente scottanti alle quali le istituzioni dell’Unione Europea, tra cui la Commissione Europea, non sono ancora riuscite a svolgere un ruolo di leadership e di guida alla ricerca di un compromesso.
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Asilo in Ungheria : la “rotta dei balcani”

Secondo Amnesty International il numero di migranti che sono stati fermati mentre stavano attraversando la frontiera tra Ungheria e Serbia è aumentato in modo esponenziale passando da 2.370 persone a 60.602. Nel 2014 l’Ungheria ha concesso l’asilo a 240 persone, un numero comunque eccezionalmente alto se comparato con le statistiche della Serbia.
Anche se meno conosciuto rispetto alla via del Mediterraneo, il percorso di rifugiati attraverso i paesi balcanici è pieno di ostacoli e di pericoli. Amnesty International ha pubblicato il mese scorso un rapporto dedicato esattamente a questo tema: la pericolosa rotta dei Balcani in cui i migranti, tra cui richiedenti asilo e rifugiati, subiscono violenze e soprusi. Le testimonianze che risultano da oltre cento interviste tra luglio 2014 e marzo 2015 mostrano la pericolosità del viaggio a causa non solo delle bande criminali ma anche delle autorità stesse.
Subotica è una città serba che si trova a 30 km da uno dei punti di accesso nell’Unione Europea di cui tutti i migranti hanno sentito parlare. È infatti uno dei posti in cui i migranti e i trafficanti si mettono d’accordo per poter attraversare la frontiera.
“Siamo stati catturati in Subotica. Abbiamo passato 40 ore – due giorni e una notte – nella stazione di polizia di Subotica. Eravamo circa 40 persone tra cui bambini in un’unica stanza. All’interno della stanza c’era una fogna e nessun bagno. Non ci hanno dato né cibo né acqua, nemmeno ai bambini. Siamo stati portati in tribunale e ci hanno dato una multa di 50 euro, ma visto che non avevano soldi non abbiamo pagato. C’era un curdo iracheno che ha parlato per noi in tribunale. Non c’era l’avvocato. Nessuno ci ha chiesto nulla a proposito dell’asilo.”
“Abbiamo cercato di attraversare il confine con l’Ungheria l’altro ieri. Abbiamo camminato per dieci ore ma visto che i bambini non riuscivano più ad andare avanti siamo stati ritrovati di nuovo dalla polizia. Una donna è stata trascinata e picchiata dalla polizia. Anche una donna incinta di cinque mesi è stata picchiata. Siamo stati portati di nuovo alla stazione di polizia e di nuovo al tribunale. Siamo stati là dal mattino presto fino alle sei di sera e poi ci hanno detto di andarcene”.
Questa è solo una delle numerose testimonianze di un gruppo di tre famiglie in provenienza dall’Afghanistan tra cui bambini e anziani che sono stati intervistati in Subonica a marzo di quest’anno. Molte persone, come testimoniato nel rapporto, vengono costrette a versare somme di denaro e se il conto non viene pagato, si rischia l’espulsione. Alcuni vengono respinti più di dieci volte dalla polizia. Altri rifugiati e migranti vengono arbitrariamente arrestati e trascorrono lunghi periodi di detenzioni in condizioni disumane.
L’aumento di rifugiati che affronta la rotta dei Balcani è la conseguenza del fallimento delle politiche europee in materia di asilo. Con l’attuale sistema di asilo il richiedente deve presentare domanda nel primo paese d’ingresso dell’Unione Europea e ciò significa che i paesi che si trovano nella frontiera esterna dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia, devono far fronte ad un onere insostenibile. Fino a quando le istituzioni dell’Unione Europea non si concentreranno su come migliorare l’attuale sistema di asilo, il problema non sarà risolto.

MigSzol Csoport Protest: Demonstration Against The Wall on Serbian Border
MigSzol Csoport Protest: Demonstration Against The Wall on Serbian Border

Fotografie tratte da MigSzol Csoport

FONTI UTILIZZATE
www.internazionale.it
www.amnesty.it
www.lastampa.it
www.repubblica.it

Leggi il rapporto di Amnesty International (versione in inglese)

Silvia Peirolo

Dottoranda presso l'Università di Trento (IT), mi sono laureata in Studi Internazionali all'Università di Wageningen (NL), all'Università di Torino (IT) e a Sciences Po Bordeaux (FR). Nata e cresciuta a Torino, ho vissuto in vari paesi per studi e lavoro. Di tutti i paesi, sono rimasta appassionata alla Sierra Leone, dove ho vissuto per sei mesi. Mi interesso alle questioni legate alla polizia e alla migrazione, con un focus geografico sull'Africa occidentale. Ho lavorato precedentemente con varie agenzie delle Nazioni Unite e parlo fluentemente inglese e francese.