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Unhcr – Siria e Libia

Kobane: un numero crescente di sfollati in cerca di sicurezza nel nord dell’Iraq e in Siria orientale
Come conseguenza della fuga di oltre 172.000 curdi siriani in Turchia a causa dei combattimenti intorno a Kobane, sempre più persone scelgono di proseguire la loro fuga, sia verso la regione del Kurdistan iracheno, sia attraversando il confine per ritornare in Siria a diverse centinaia di chilometri a est.

Negli ultimi quindici giorni, nella regione del Kurdistan iracheno, più di 1.600 persone hanno cercato rifugio presso il campo rifugiati di Gawilan, situato in un’area remota a circa 145 chilometri da Dohuk. Questa settimana sono arrivati circa 150-200 siriani al giorno e si prevede che questi flussi continueranno anche nei prossimi giorni.

La maggior parte di loro riferisce di aver trascorso da 10 a 14 giorni in Turchia, nella zona attorno a Sanliurfa, prima di decidere di proseguire verso est. Le condizioni nell’area sono difficili: le persone devono adattarsi a vivere in moschee sovraffollate o, in alcuni casi, per strada senza cibo o denaro. All’arrivo in Turchia, molti di loro sono stati costretti a lasciare l’auto o il bestiame alla frontiera ed hanno così deciso di dirigersi nell’Iraq del nord, da parenti o amici.

I rifugiati al campo di Gawilan hanno riferito all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dei pericoli affrontati nella parte iniziale del viaggio dalla Siria alla Turchia, e molte sono state le testimonianze su persone uccise o mutilate dalle mine terrestri. Alcuni di loro, per entrare nella regione del Kurdistan iracheno, hanno dovuto attraversare fiumi profondi 1,5 metri. Altri ancora hanno pagato ai trafficanti una somma di 250 USD per attraversare il valico di frontiera illegale a Silopi, nei pressi di Zakho.

Le stesse persone hanno inoltre riferito di esecuzioni e altre atrocità da parte dei combattenti dell’ISIS. Un uomo ha affermato di essere fuggito dal suo villaggio perché gli abitanti, una volta fatti prigionieri, venivano poi decapitati. Un altro ha riportato di essere stato tenuto prigioniero dopo essere stato condannato a morte da un tribunale improvvisato istituito in una scuola nella città di Manbij (a circa 66 km a sud-ovest di Kobane). Ha inoltre riferito che nella scuola erano detenuti circa 400 prigionieri, 100 per ogni classe, picchiati con cinghie di cuoio cinque volte al giorno. Ha assistito alla decapitazione di sette uomini che erano stati condannati il suo stesso giorno. Insieme ad altri è riuscito a fuggire prima della data dell’esecuzione, prevista per il 28 settembre, quando la scuola è stata bombardata, e tutti sono rimasti inorriditi alla vista pubblica di teste umane infilzate sulla recinzione del principale parco cittadino. L’uomo teme ancora per la sicurezza della moglie e dei figli, di cui ha perso le tracce.

I siriani che arrivano nel nord dell’Iraq vengono portati dalle forze di sicurezza curde nel campo di Gawilan, allestito un anno fa per accogliere precedenti ondate di rifugiati siriani provenienti principalmente da Aleppo e Qamishli. Il campo è gestito dal governo regionale del Kurdistan e prima dell’ultimo flusso di rifugiati ospitava circa 2.500 persone. I nuovi arrivati ricevono riparo, cibo e generi di prima necessità. Una volta registrati, molti lasciano il campo per raggiungere i propri parenti a Erbil o per cercare lavoro mentre chi non ha legami familiari rimane lì. La grande maggioranza dei nuovi arrivati sono donne e bambini, per il fatto che molti uomini sono rimasti a proteggere le loro proprietà e a difendere la loro terra. L’UNHCR sta potenziando i suoi programmi a favore delle donne con l’intento di offrire maggiore supporto psico-sociale, attualmente fornito una sola volta alla settimana.

Le altre persone fuggite da Kobane e dintorni sono in alcuni casi ritornate nel nord-est della Siria, vicino alla città di Al Qamishli. Circa 1.750 persone sono ora ospitate da parenti e amici in diverse città della zona, nella provincia di Al Hassekah. L’UNHCR sta lavorando con gruppi di operatori umanitari volontari per identificare le persone sfollate appena arrivate e fornire loro assistenza. Circa 40-50 persone hanno cercato rifugio al campo di Newroz, originariamente allestito per aiutare i siriani costretti a fuggire in precedenza, e che al momento ospita anche 3.800 yazidi iracheni fuggiti da Sinjar e dintorni nel mese di agosto.

In Turchia, stando a quanto riferito dai funzionari governativi, oltre 172.500 siriani fuggiti da Kobane e dalle aree circostanti sono entrati nel paese nelle ultime settimane. La grande maggioranza di queste persone è arrivata nei primi giorni della fuga; Dal valico di frontiera a Yumurtalik permane tuttavia un flusso costante di circa 570 arrivi giornalieri.

Molti dei rifugiati risiedono presso le comunità locali e il governo e le agenzie umanitarie stanno lavorando con i Mukhtar – i capi villaggio – per distribuire aiuti sia ai rifugiati sia alle famiglie ospitanti. Altri sono invece stati accolti in rifugi collettivi gestiti dalle autorità turche, come scuole, mercati, centri sportivi, sale per matrimoni, moschee e vari altri ripari temporanei.

Libia: oltre 100.000 persone sfollate nelle ultime tre settimane
A causa dell’inasprirsi del conflitto tra gruppi armati rivali in molte aree della Libia, un numero sempre maggiore di persone è costretto alla fuga – si stima che al momento siano 287.000 in 29 città e paesi su tutto il territorio nazionale. L’assistenza sanitaria, il cibo e altri generi di prima necessità – oltre a una sistemazione in vista dell’inverno – sono diventate esigenze fondamentali. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e i suoi partner si stanno adoperando per soddisfare alcune di queste esigenze, ma ci sono considerevoli restrizioni nei finanziamenti destinati agli sfollati, e le condizioni di instabilità degli ultimi mesi hanno reso difficile raggiungere chi si trova in situazione di bisogno.

La principale area interessata dai recenti flussi migratori è situata nei dintorni di Warshefana, alla periferia di Tripoli, dove i combattimenti hanno spinto circa 100.000 persone a fuggire nelle ultime tre settimane. Tra le zone più colpite c’è anche l’area di Benina, alla periferia di Bengasi dove si stima che gli sfollati siano circa 15.000.

La maggior parte delle persone sfollate vive presso famiglie del luogo che in alcuni casi hanno aperto le loro case a più famiglie contemporaneamente per cercare di far fronte alle crescenti necessità di riparo. Le persone che non riescono a stare con parenti o famiglie ospitanti dormono in scuole, parchi o edifici non residenziali convertiti in rifugi di emergenza.

Il crescente numero di sfollati sta superando la capacità di accoglienza delle comunità locali, che hanno riferito all’UNHCR di temere di non riuscire più ad essere in grado di affrontare la situazione.

La cittadina di Ajaylat, a circa 80 chilometri a ovest di Tripoli è un chiaro esempio di come i bisogni della popolazione continuino ad aumentare mentre le possibilità di intervento umanitario sono sempre più limitate. Ajaylat, che conta quasi 100.000 abitanti, ospita attualmente circa 16.000 sfollati, cioè oltre il 10 % della popolazione locale, con pesanti conseguenze sulle strutture sanitarie. L’ospedale principale segnala un aumento del 30 % dei casi e l’assenza di scorte di medicinali e di farmaci per malattie croniche come l’ipertensione e il diabete. Altre città della Libia occidentale e Bengasi hanno difficoltà simili.

Gli sforzi per dare assistenza agli sfollati sono ostacolati da un accesso limitato per gli operatori umanitari alle città colpite dagli scontri tra gruppi armati rivali. Quando le condizioni lo consentono, i convogli transfrontalieri sono l’unico mezzo per portare aiuti alle persone in difficoltà, poiché l’accesso ai magazzini all’interno del paese è spesso impossibile.

Nel mese di agosto l’UNHCR e l’International Medical Corps (IMC) suo partner hanno spedito il primo convoglio carico di generi di soccorso destinati a 12.000 sfollati nella Libia occidentale. In collaborazione con il Programma Alimentare Mondiale (PAM/WFP) che ha fornito prodotti alimentari, l’UNHCR e l’IMC hanno anche distribuito aiuti non alimentari a 6.700 persone nelle ultime settimane. Ma sono necessari altri aiuti e per questi un maggior accesso deve essere reso possibile. La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha chiesto un immediato cessate-il-fuoco e l’accesso per effettuare ulteriori missioni di valutazione e distribuzione degli aiuti umanitari.

L’ONU ha lanciato un appello umanitario a favore della Libia chiedendo ulteriori finanziamenti per continuare ad aiutare centinaia di migliaia di persone colpite dalla crisi in corso nel paese.

I conflitti hanno conseguenze tanto sulla popolazione locale, come sui rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti in Libia, molti dei quali provengono da paesi del Medio Oriente e dall’Africa sub-sahariana. L’illegalità e un recente raddoppiamento dei prezzi dei prodotti alimentari ha costretto molte persone disperate a fuggire. La politica della Libia di detenzione di rifugiati e migranti ha spinto molti a mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti per cercare di arrivare in Europa, andandosi ad aggiungere alle decine di migliaia di persone che in questi mesi sono transitate in Libia e hanno intrapreso la pericolosa traversata del Mediterraneo. Degli oltre 165.000 rifugiati arrivati sulle coste europee finora nel corso dell’anno, la maggioranza è partita dalla Libia e di questi il 48% sono siriani ed eritrei.

Molti di loro, dopo aver lasciato le coste libiche, non sono sopravvissuti alla pericolosa traversata. L’ultima delle tante tragedie al largo della costa di Zuwara, vicino a Tripoli – avvenuta il 2 ottobre, con più di 100 persone, per lo più cittadini siriani, morte o disperse – riporta all’attenzione la necessità di garantire alternative legali e più sicure per rifugiati e richiedenti asilo.