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Ventimiglia. Prima della neve

Un report del gruppo di medici volontari del 27 febbraio scorso tratto dal blog Parole sul Confine

Sabato 27 febbraio è stata una giornata di lavoro intenso sotto al ponte di via Tenda.

Avremmo fatto almeno 40 visite.

Rispetto alla scorsa estate ci sono più persone che vivono sotto al ponte del cavalcavia lungo al fiume, con un numero senza precedenti di donne e bambini anche molto piccoli.

L’insediamento sembra sempre più stabile, con baracche costruite con pezzi di legno e teli di plastica. Le persone che vivono lì sono prevalentemente eritree e sudanesi. Al momento, tutte le donne sole e le madri sono eritree.

Le persone che abbiamo visitato erano giovanissime. Tantissime affette da scabbia. Spesso con sovra-infezioni molto importanti. Grazie alla nostra disponibilità di farmaci e grazie alle scorte di indumenti stivati presso l’infopoint Eufemia abbiamo potuto somministrare il trattamento anti scabbia a molte persone, dopo esserci assicurati che avessero compreso come eseguire correttamente tutta la procedura.

Molti ragazzi avevano l’influenza, alcuni di loro sembravano avere la polmonite. Per questi ultimi, avvalendoci dell’aiuto nella traduzione di compagni di viaggio o di persone solidali, abbiamo scritto delle lettere di invio al pronto soccorso, perché eseguissero una radiografia del torace.

Moltissime persone presentavano ferite infette, difficili da tenere pulite per le pessime condizioni igieniche della vita sotto al ponte e per l’impossibilità di lavarsi.

Le persone erano molte e la difficoltà di comunicazione, associata alla precarietà del luogo e alla mancanza di un minimo di riservatezza, creavano difficoltà per tutti.

Per il pomeriggio di sabato avevamo in programma un incontro con alcune donne solidali del territorio, per fare chiarezza in merito al diritto all’assistenza sanitaria per le persone senza documenti in Italia e per spiegare le patologie più comunemente da noi osservate nel corso di questi anni a Ventimiglia. L’incontro è andato molto bene, e durante questo molte solidali hanno espresso la preoccupazione per la condizione della gente sotto al ponte, visto l’arrivo del freddo intenso: più volte si sono tentate telefonate alle autorità della zona per capire cosa fosse possibile fare in proposito.

In serata siamo rimasti a Ventimiglia per un aperitivo organizzato per sostenere il bar Hobbit di Delia. Delia è una delle pochissime persone (se non l’unica) che gestisce un’attività commerciale ad essere sempre stata accogliente con chi viaggia, diventando, nei mesi, un punto di riferimento per tutti coloro che si impegnano in attività di solidarietà diretta e concreta con le persone in viaggio. Prima dell’inizio dell’aperitivo, Delia ha parlato a lungo con un gruppo di boy-scout giunti per la prima volta a Ventimiglia, con l’obiettivo di comprendere meglio la situazione e maturare una consapevolezza rispetto alla chiusura delle frontiere e alle storie delle persone migranti che rimangono bloccate a Ventimiglia. Delia ha raccontato loro i fatti salienti di questi due anni e mezzo e ha espresso anche molte lungimiranti considerazioni su come la convivenza con persone giovani e con storie diverse potrebbe costituire un elemento di stimolo e un arricchimento per tutti nella città di Ventimiglia.

A riprova del suo, fondamentale, ruolo di riferimento per le persone in transito, siamo stati chiamati da lei per visitare una giovanissima mamma eritrea di circa 16 anni con una bimba di pochi mesi: ambedue con la scabbia. E’ stato estremamente difficile comunicare con la ragazza, nonostante ci fosse qualcuno che tentava di fare da traduttore. Appariva spaventata, voleva andare al più presto a prendere il treno. Non capivamo se avesse fatto o meno il trattamento per la scabbia. Infine si è defilata velocemente, seguita da alcuni solidali che in seguito ci hanno informato che, salita sul treno, pare avesse poi anche superato Mentone.

La mattina seguente, per favorire il dialogo con le persone che avessero problemi di salute, abbiamo deciso di montare sotto al ponte un gazebo che alcuni solidali, medici e non, hanno procurato appositamente per questo scopo e che viene conservato presso l’info-point Eufemia.
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Le temperature, intanto, si stavano abbassando. Abbiamo visitato diverse persone, alcune con i segni mai completamente guariti delle torture subite in Libia, come dolori persistenti nelle sedi di diverse bruciature sul tronco. Un giovane sudanese aveva un danno corneale evidente, risultato di un colpo in faccia infertogli in Libia con il calcio di un fucile. Gli abbiamo detto che chiaramente non potevamo fare nulla in quelle condizioni e gli abbiamo consigliato di farsi visitare una volta raggiunto il paese di arrivo.

Abbiamo poi visto ancora molte persone affette da scabbia. Una solidale ci raggiunge accompagnata dalla giovane madre eritrea visitata il giorno prima su segnalazione di Delia e da un suo connazionale. Veniamo così a sapere che la polizia francese l’aveva, nel frattempo, identificata a Cannes e nonostante si trattasse di una persona di minore età con una figlia di tre mesi, l’aveva rispedita in Italia.

Era di nuovo a Ventimiglia sotto il ponte, più confusa che mai. Siamo almeno riusciti a convincerla, questa volta, a sottoporre sé stessa e la piccola al trattamento per la scabbia. È stata dunque accompagnata da una amica solidale all’infopoint e qui aiutata nella la procedura del trattamento anti scabbia per sé stessa e per sua figlia.

Nel pomeriggio siamo partiti per Genova mentre iniziava a nevicare forte e a fare molto freddo.

È difficile accettare che, in tutta Europa, anche nelle situazioni climatiche più estreme, la scelta sia stata di impedire il libero movimento di esseri umani in virtù della re-istituzione dei confini, anche se il rischio per la salute delle persone che rimangono intrappolate è così grave.

Nel caso italiano, e nello specifico a Ventimiglia, era noto da giorni che il gelo sarebbe giunto anche a basse quote dove in genere non arriva, ovvero anche lì sotto quel ponte dove bambine e bambini, donne e uomini vivono già in condizioni estreme.

Sotto quel ponte, dove già da anni ormai i diritti a condizioni igieniche decenti, al cibo, all’acqua, sono stati negati.

Falsamente di queste politiche inumane si è arrivati ad accusare proprio le vittime, facendosi scudo della presenza di un centro di accoglienza della croce rossa, molto difficile da raggiungere a piedi senza rischiare la vita, vista la strada molto pericolosa, nonché illegale secondo le leggi dello Stato in quanto donne e uomini, bambine e bambini, anche non accompagnati, sono costretti a vivere promiscuamente in container.