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Video | Radiografia dell’eccezionalità giuridica imperante alla Frontera Sur di Spagna

Sònia Calvó e Gabriela Sánchez, Desalambre (El Diario) - 20 aprile 2017

Photo credit: Fotomovimiento

Alle spalle della recinzione metallica della frontiera meridionale dello Stato spagnolo i diritti umani restano confinati in secondo piano. Respingimenti immediati, abusi da parte della polizia, impunità, mancanza di accesso ai programmi appositamente previsti per i migranti o le vittime di tratta, arbitrarietà… Sono numerose le denunce che si succedono sul trattamento ricevuto dai migranti a Ceuta e Melilla che, sostengono le ONG, da diversi anni “sembrano spazi privi di legge”.

Avvalendosi di una piattaforma interattiva, Irídia – Centro per la Difesa dei Diritti Umani, Novact e Fotomovimiento hanno presentato un dettagliato rapporto nel quale raccolgono tutti gli elementi che gettano luce sull’eccezionalità giuridica della zona di frontiera. Attraverso questo studio, le associazioni chiedono il “ripristino della legalità alla Frontera Sur” in relazione al Marocco, alle vallas, ai CETI, al diritto di asilo, ai minori non accompagnati, alle porteadoras e alla repressione dei diritti umani.

La responsabilità della Spagna nel ruolo del Marocco


Qualora si verifichi un salto della valla, non basta osservarlo solo dal lato spagnolo della frontiera. “Molta gente si cala dalla recinzione e viene respinta con ferite, gambe rotte, fratture scomposte o lacerazioni profonde”, spiega Mayte Blanco di Sos Racismo. Ben più in là della zona di avvicinamento alla barriera, la vita di chiunque cerchi di arrivare in Spagna attraverso la Frontera Sur si scontra con la violenza “sistematica e grave” esercitata dalle forze di sicurezza marocchine, come è il caso dei rastrellamenti condotti negli accampamenti in cui i migranti attendono il momento adatto per tentare di raggiungere il territorio europeo.

“La situazione è molto pericolosa a causa della polizia marocchina. Quando ti trovano è un tormento. Piedi rotti, denti spezzati, teste ferite, persone che muoiono. Gente in coma, persone che perdono la vita, che perdono parti del corpo, che perdono tutto. In quei momenti resta solo Dio”.
Guindiel (migrante)

Queste pratiche vanno ad aggiungersi all’operato delle forze marocchine nei protocolli attivati per ogni avvicinamento alla valla e portano all’allontanamento delle persone di origine subsahariana dalla frontiera spagnola.

I trattati tra Spagna, Unione Europea e Marocco assumono l’esternalizzazione del controllo migratorio come contropartita di accordi in materia politica ed economica”, affermano gli autori. “La responsabilità del trattamento che il Marocco riserva alla popolazione migrante è, quindi, anche della Spagna e dell’Unione Europea, visto che non includono nei suddetti accordi il rispetto dei diritti umani”.

L’assistenza “deficitaria” della Cruz Roja dopo i salti


Anche i respingimenti immediati, le concertine 1 o gli abusi delle forze dell’ordine, con i quali “si è messa a rischio l’integrità fisica delle stesse” all’unico scopo di tirarle giù dalla barriera fanno parte dell’eccezionalità giuridica analizzata.

Lo Stato spagnolo non sta rispettando il principio di non-refoulement, consistente nel divieto di espellere o respingere una persona verso il territorio di un qualsiasi paese nel quale la sua vita o la sua libertà possano vedersi minacciate”, sostengono le associazioni.

Nonostante i rischi intrinseci ai salti della valla, le associazioni hanno rilevato che “gli interventi della Cruz Roja per prestare assistenza sanitaria dopo un salto sono completamente deficitari”. Secondo quanto constatato, “intervengono solo nel caso in cui la Guardia Civil li autorizzi, e non procedono né all’identificazione né alla schedatura delle persone delle quali si prendono cura, che in seguito vengono così respinte in maniera sommaria”. Gli autori parlano dell’esistenza di indizi che mostrerebbero come nel corso del 2016 siano state respinte in Marocco persone che versavano in un grave stato di salute.

Donne vittime di tratta, costrette a vivere con i loro aguzzini


Il rapporto richiama le condizioni inadeguate in cui versano i Centros de Estancia Temporal para Inmigrantes (CETI) di Ceuta e Melilla. Come denunciato da ONG e organismi internazionali come l’UNHCR, nei CETI “non sono garantiti i diritti previsti nelle Direttive europee sull’asilo e nella normativa spagnola in materia”.

Il sistematico sovraffollamento, la mancanza degli stanziamenti necessari a garantire sostegno psicologico ai detenuti (nonostante molti di essi abbiano vissuto esperienze traumatiche durante il tragitto migratorio o nei propri paesi di origine), la carenza di informazioni ai migranti o l’assoluta arbitrarietà nell’imposizione di sanzioni sono solo alcune delle denunce evidenziate da questi organismi. Per questo, insistono nella necessità di creare un regolamento sul funzionamento del CETI, finora inesistente.

Il rapporto ribadisce inoltre la necessità di fissare meccanismi adeguati che garantiscano protezione alle vittime di tratta. “Non esistono strumenti specifici né un effettivo coordinamento con i gruppi di polizia specializzati nella tratta”, afferma il gruppo di ricercatori. Il direttore del CETI di Ceuta ha riconosciuto, in un’intervista realizzata dagli autori della ricerca, la totale assenza di “soluzioni abitative specifiche” per le vittime di genere o di tratta e per questo, ha ammesso, “spesso alcune vittime si ritrovano a dover convivere con il proprio aguzzino, nello stesso luogo”.

“Non li considerano bambini, li considerano nemici”


I minori non accompagnati, tanto in territorio marocchino come in territorio spagnolo, vivono un’eccezionale situazione di vulnerabilità. Aggressioni, ricatti, ostacoli e minacce di ripercussioni legali fanno parte della vita quotidiana di questi ragazzi.

Si stima che ce ne siano circa 550 a Melilla, dei quali 340 sono accolti nel Centro di Protezione per Minori “La Purísima” (benché abbia una capienza per 168 persone) e circa 100 vivono in strada. Il resto, un centinaio, sono ripartiti tra il Centro Assistenziale “La Gota de Leche” e “La Divina Infantita”.

Secondo il rapporto, il fatto che La Purísima si ritrovi sistematicamente ben oltre il limite della propria capienza si ripercuote negativamente sulle condizioni dei minori, “visto che dormono ammassati in condizioni igieniche che non sono delle più auspicabili”.

Sono rimasto otto mesi in strada. Quando arrivava la polizia tornavo al centro, ma non restavo lì perché non mi piaceva. Nel centro si verificano abusi” spiega Abdel.

Harraga, un progetto socioeducativo di sostegno ai minori migranti non accompagnati, riporta che il 92% dei minori passati per questi centri segnalano “una situazione di violenza” come la ragione per la quale hanno preferito lasciare i centri e vivere per strada. “Dentro il centro si verificano episodi di violenza fisica e psicologica, nonché di violenza burocratica, ovvero minacce costanti per cui se non arrivano gli stanziamenti minimi stabiliti per il centro, i minori non potranno avere accesso ai documenti“, assicura Sara Olcina di Harraga.

È stato calcolato che, nel 2016, un 22% dei minori non accompagnati siano fuggiti dai centri di tutela per provare ad arrivare alla penisola facendo risky 2, provando a salire su una nave.

Amnesty Internacional, il Defensor del Pueblo, Human Rights Watch, l’associazione Pro Derechos de la Infancia (PRODEIN) e l’Organizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) denunciano ormai da molti anni le condizioni dei centri di accoglienza per minori di Ceuta e Melilla e i maltrattamenti che si vivono al loro interno. PRODEIN e Harraga affermano, inoltre, che si effettuano respingimenti illegali di minori verso il territorio marocchino e che a volte, durante la notte, si verificano dei rastrellamenti. Alla luce di tutto questo José Palazón, di PRODEIN, osserva che “non li considerano bambini perché li considerano nemici”. Nel rapporto si afferma anche che “ci sono casi di abusi sessuali da parte delle forze di sicurezza nei confronti dei minori non accompagnati che vivono in strada”. Quando poi questi giovani compiono 18 anni e raggiungono la maggiore età, molti restano in situazione di irregolarità amministrativa.

Violazioni del diritto d’asilo


Le difficoltà di accesso al sistema di asilo a Melilla sono segnate dai respingimenti immediati che hanno luogo in maniera sistematica alla frontiera. Attraverso la pratica denominata dal Governo come “rechazo en frontera” (letteralmente “rifiuto in frontiera”, n.d.t.), queste persone vengono espulse in forma immediata senza che sia chiesto loro il proprio luogo di origine o se necessitano protezione internazionale. Le porte dell’asilo, di conseguenza, restano chiuse.

Per queste ragioni, il rapporto conclude che le persone provenienti dall’Africa nera non possono di fatto formalizzare la richiesta d’asilo fino a che non arrivano al CETI. Oltre alle espulsioni immediate dalla valla, le associazioni ricordano che queste persone non hanno accesso ai punti di asilo alla frontiera. Inoltre, ricordano, “il punto di asilo predisposto alla frontiera di Ceuta è rimasto pressoché inutilizzato dalla sua apertura”, fatto che tuttavia, aggiungono, “non ha rimesso in discussione le politiche di asilo che il Governo porta avanti in questa città autonoma”.

Ancora, ricordano il trattamento ricevuto dai richiedenti asilo nelle città autonome che, secondo quanto descrivono, finisce per disincentivare le richieste di asilo. “I tempi di attesa per passare alla penisola sono più brevi per le persone che non fanno richiesta d’asilo che per quelle che lo richiedono (eccezion fatta per le persone di origine siriana)”, affermano.

“Con le buone, ok. Con le cattive, ti tolgo tutto”


Nonostante sostengano il commercio atipico, che a Ceuta e Melilla genera un ritorno pari a circa 1 miliardo di euro all’anno, le “porteadoras” lavorano in una situazione di “estrema fragilità”. “Con le buone va bene. Con le cattive, ti tolgo tutto (la mercanzia – n.d.t.)”, intima un agente alle porteadoras se non seguono le sue indicazioni nel passo di frontiera. Si tratta di uno degli “abusi di polizia” che il rapporto riporta nel dettaglio, descritto anche da eldiario.es.

Questa tipologia di abuso caratterizza la gestione del transito delle porteadoras da parte degli agenti di frontiera. Durante lo svolgimento della ricerca, il gruppo di lavoro è stato testimone di episodi di “violenza verbale verso le porteadoras, spintoni e colpi inferti tanto con i manganelli, quanto con i piedi”. Sono loro, le porteadoras – in maggioranza donne -, che trasportano sulle proprie spalle i sacchi (che possono raggiungere i 90 kg di peso) che successivamente saranno venduti da un lato e dall’altro della frontiera.

Repressione nei confronti di attivisti e giornalisti


Varie organizzazioni e attivisti che lavorano a Ceuta e Melilla hanno denunciato in numerose occasioni la difficoltà di tutelare i diritti umani a causa della repressione esercitata dalla polizia. Il gruppo di Irídia e Fotomovimiento è stato testimone di questa situazione, dal momento che i suoi attivisti in reiterate occasioni si sono visti ostacolare nel loro lavoro, ed è stata imposta loro una multa per “disobbedienza ad agenti dell’autorità” che, in base alla Ley de Seguridad Ciudadana, potrebbe superare i 3.000 euro.

Alla frontiera tra Melilla e Nador, il gruppo di fotoreporter e attivisti di queste associazioni è stato fermato in due occasioni e sottoposto ad “interrogatori intimidatori” da parte della polizia doganale marocchina. Qualche giorno dopo aver vissuto questi episodi, sono stati nuovamente fermati per più di due ore.

Riferiscono, inoltre, che in seguito a quest’ultimo fermo si sono accorti del fatto che “le autorità avevano attivato un nucleo composto da un’auto, una motocicletta e almeno quattro agenti di polizia” che li ha seguiti per sei ore. Alla fine, nei pressi della frontiera con Beni-Enzar, i membri del gruppo sono stati nuovamente fermati da due auto nel mezzo della strada e, dopo esser stati “minacciati di un imminente arresto” e aver fatto cancellare loro le immagini dalle videocamere, li hanno scortati fino alla coda di veicoli che dà accesso alla frontiera con Melilla.

Queste associazioni ricordano che ciò che loro hanno vissuto è stato “solo un ulteriore esempio della situazione di eccezionalità giuridica che quotidianamente si vive alla Frontiera”. Per questo il rapporto conclude sollecitando il Governo a garantire che a Ceuta e Melilla siano rispettati i diritti della libertà di stampa, di associazione, riunione e manifestazione e, inoltre, chiede che si garantisca che il lavoro di intervento sociale possa realizzarsi in maniera adeguata.

  1. La concertina è un tipo di recinzione utilizzata alle barriere, diversa da quella abituale perché al posto del filo spinato ha delle vere e proprie lame
  2. “Risky” è il termine gergale utilizzato dai niños de la calle per indicare il tentativo di imbarcarsi, senza esser visti dalle forze di sicurezza, sui traghetti che lasciano il porto di Melilla verso la penisola spagnola