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Violazione del diritto di difesa: il caso di una espulsione totalmente illegittima

Corte di Cassazione, sentenza n. 16418 del 21 giugno 2018

Il caso riguarda un cittadino albanese residente in Italia da oltre 15 ed in possesso del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

Nell’anno 2010 veniva condannato dal Tribunale di Rieti e detenuto presso la Casa Circondariale di Lecce mente era titolare di un permesso di soggiorno rilasciato dalla Questura di Bari in data 25.03.2009 e valido sino al 17.04.2011.

Mentre era detenuto nessuno provvedeva a richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno poiché la procedura prevista mediante l’invio del KIT non poteva essere effettuata da altri se non dall’interessato, quindi gli veniva detto che avrebbe potuto provvedere personalmente non appena libero.

Sennonché, in data 13.06.2013, mentre attendeva di guadagnare la libertà dalla casa circondariale di Lecce, il Prefetto di Lecce adottava a suo carico il decreto di espulsione per violazione dell’art. 13, comma 2 lett. b. del D.Lgs. n. 286/98 ossia, perché non aveva rinnovato il permesso di soggiorno, e veniva accompagnato alla frontiera.

In seguito rientrava in Italia ed immediatamente provvedeva ad impugnare il decreto di espulsione ed inviava la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno ancora rimasta priva di esito.

In data 15.01.2016 il cittadino albanese veniva tratto in arresto per violazione dell’art. 13 comma 13 del D.Lgs. n. 286/98 ed il Giudice Monocratico del Tribunale Penale di Reggio Emilia disponeva l’obbligo di presentarsi all’autorità giudiziaria del Comune di residenza nei giorni stabiliti e, mentre era ancora nell’aula di udienza penale, gli agenti gli comunicavano che sarebbe stato condotto presso gli uffici della Questura perché doveva essere nuovamente espulso. Infatti, in pari data il Prefetto lo espelleva mediante accompagnamento coatto alla frontiera.

Il decreto di espulsione veniva impugnato in primo grado affidando il ricorso ai seguenti motivi: Violazione dell’art. 8, 11, 12 del DPR 394/1999; Violazione del diritto di difesa – art. 24 Cost.; Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 1 e 2 della L. 241/90; Mancata conclusione del procedimento nel termine di legge; Violazione di tutte le norme sulla procedimento espulsivo – assenza dei presupposti Violazione dell’art. 18 (Copie autentiche) del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa). Inesistenza, nullità e/o illegittimità, del decreto di espulsione per mancanza del certificato di conformità all’originale.

Il Giudice di Pace di Reggio Emilia rigettava il ricorso di primo grado.

Avverso la decisione di rigetto si ricorreva per Cassazione in base a due motivi: violazione dell’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. per motivazione apparente e inesistente nonché per omessa motivazione sul secondo motivo di opposizione concernente la mancanza del certificato di conformità all’originale della copia del decreto espulsivo notificato.

Con la sentenza n. 16418/2018 del 21 giugno 2018 la Suprema Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi di ricorso, ritenendolo manifestamente fondato, osservando: “la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è nullo qualora all’espellendo venga consegnata una mera copia priva della necessaria attestazione di conformità all’originale (Cass. n. 13340/2014, n. 18268/2016).

Il Giudice di Pace, pur a fronte della precisa contestazione dell’espellendo, nulla dice sulla dedotta mancanza di tale attestazione, limitandosi a statuire che “le argomentazioni di parte ricorrente sono tutte infondate” e fornendo, quindi, una motivazione puramente apparente.

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Corte di Cassazione, sentenza n. 16418 del 21 giugno 2018