Con provvedimento emesso dall’Ambasciata italiana di Kiev n. 3160 del 25.11.2010 veniva respinta la respinta la richiesta di visto d’ingresso per lavoro autonomo presentata dalla signora Moskvichova.
Il diniego si fondava sulla circostanza che l’attività della signora Moskvichova non fosse “attività d’interesse per l’economia italiana” ai sensi dell’ art. 2 del D.P.C.M. del 1 aprile 2010.
Il primo motivo di ricorso, fatto proprio dalla sentenza breve del Tar Lazio, sottolineava come il requisito di legge indicato fosse esclusivamente riferibile alla categoria degli “imprenditori” e non poteva risultare univocamente riferibile alla tipologia di visto richiesta dalla ricorrente (per lavoro autonomo) e all’attività che la stessa intendeva esercitare (“Supporto alle rappresentazioni artistiche. Consulente” ).
Il Tar, sul punto, ha pertanto motivato e ritenuto che tale motivazione non poteva essere posta a base del diniego impugnato.
Il secondo motivo sul quale si fondava il diniego era la mancata dimostrazione della signora Moskvichova in merito alla propria capacità reddituale che avrebbe dovuto fare riferimento ai redditi prodotti in Ucraina, e non, come dimostrato dalla ricorrente, a redditi prodotti in Italia per l’ammontare di euro 8.506,00.
Il Tar, sul punto, ha specificato come la ricorrente avesse comprovato, in maniera idonea, il possesso del requisito reddituale previsto dall’art. 26 comma 3° d. lgs. n. 286/98 e che l’interpretazione corretta della norma, come specificato nel ricorso, non richiede che tali redditi, come, invece, prospettato dall’amministrazione, debbano necessariamente essere prodotti nel Paese di provenienza.
Dall’accoglimento di entrambi i motivi ne è derivato l’accoglimento del ricorso e l’obbligo in capo all’Ambasciata italiana di adempiere e conformarsi a quanto statuito in sentenza.