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Vogliamo cittadinanza

Da Napolitano alla campagna "l'Italia sono anch'io". E' il momento per una legge giusta

Foto di Angelo Aprile

Lo dice anche il presidente napolitano, lo dicono a gran voce in molti, una campagna, con tanto di proposta di legge pronta ad essere vagliata dalla Cassazione, è in cantiere, ed in tutto il paese centinaia di comitati territoriali stanno raccogliendo firme: si tratta della diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana per i nati in Italia.

Quello dei diritti di cittadinanza è un universo complesso. Le tante forme multiple della cittadinanza, disegnate nel corso degli anni in questo paese ed in generale in Europa, vanno ben oltre i confini di quel particolare status, quello di cittadino riconosciuto, quello che riempie la voce del passaporto o della carta di identità. Si tratta di una gerarchia di situazioni, di status appunto, dell’essere cittadini, che riguarda una gamma di diritti esercitati e posseduti (spesso conquistati) che, dalla situazione di irregolarità di soggiorno, fino a quella dell’essere di nazionalità italiana, disegnano una gradualità di modi di partecipare, di essere soggetti, in una società.

Ma non parliamo di questo. ciò che oggi è discusso intorno al tema del diritto alla cittadinanza italiana per i nati in Italia, è una piccola parte di questa graduale “scala dei diritti”.

Quasi un milione di minori stranieri regolarmente soggiornanti, oltre la metà dei quali (circa 580 mila) nati in Italia, sono la fotografia di un paese che cambia in un mondo in continua evoluzione.

Eppure no. Eppure questo Paese, con una legge datata 1992, si ostina a considerare “figlio dello straniero” chi cresce, abita e vive qui fin dalla nascita.

C’è un richiamo continuo, anche nel lessico sulle “seconde generazioni”, ad una appartenenza altra, distante, indissolubilmente legata ai processi migratori dei padri e delle madri, che disturba la discussione.

Sempre, ancora, nonostante le migrazioni siano diventate un fatto strutturale del nostro tempo (non in Italia ma nel mondo), continua a permanere l’idea del lavoratore ospite e temporaneo. Questo stesso modo di disegnare le migrazioni si proietta così anche su chi, figlio di migranti, nasce qui.

I nati in Italia non sono figli dell’immigrazione. Sono insieme ai già cittadini la nuova generazione che si affaccia al futuro con un presente difficile, problematico, precario. Su di loro, sui “figli degli stranieri”, un intreccio barbaro tra legislazione sulla cittadinanza e normativa sull’immigrazione, esercità però questa precarietà in maniera ancor più profonda.

Certo, neppure il tentativo di non riconoscere una novità, una particolarità dell'”essere figli di cittadini stranieri” aiuta a comprendere in maniera esaustiva le dinamiche sociali che si presentano dinanzi a noi nelle metropoli o nei piccoli centri. Spesso c’è una ricerca di relazioni, anche tra i giovani figli di stranieri, che si limita all’appartenenza etnica o nazionale.

Ma non è forse anche questo il segno di una necessità per noi e per tutti di rivedere quella legge?

Il blog delle seconde generazioni ci ha regalato un dibattito negli scorsi anni, più volte ed in più occasioni citato, che più di ogni altro ci spiega quale sia il nodo del problema. Si diceva: non si tratta di discutere di nuovi cittadini ma di una nuova Italia
E noi aggiungiamo: di un nuovo spazio della cittadinanza. Per tutti

L’Italia sono anch’io – Campagna per i diritti di cittadinanza
Normativa, giurisprudenza e approfondimenti in tema di ccitadinanza italiana