Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto dell'11 gennaio 1997

“Imprigionati nella stiva” di Livio Quagliata

La notte del 24 ci siamo fermati, vedevamo le luci della terra Il capitano ci ha detto: è l'Italia

Milano – Perchè ancora nessun cadavere, nessuna vittima del naufragio avvenuto la notte di Natale, è stato trovato? E chi ci dice che l’incidente sia avvenuto effettivamente a largo della Sicilia? Le nuove testimonianze che abbiamo raccolto rispondono a questi e ad altri interrogativi, rivelando particolari inediti e putroppo drammatici.
Le testimonianze dei superstiti fino ad oggi pubblicate avevano infatti tutte un grosso handicap: la lingua. Oltre ad essere naturalmente scioccate per la tragica esperienza vissuta, quasi nessuna di queste persone parla un inglese tale da permetterci di capire in modo dettagliato che cosa esattamente fosse successo la notte tra il 24 e il 25 dicembre nel canale di Sicilia. Di qui una certa vaghezza nelle nostre domande e molta approssimazione nel rendere in italiano le loro risposte. Ma grazie all’aiuto di due persone che si sono prestate a farci da traduttori simultanei ora siamo in grado di confermare ancora una volta l’incidente e il naufragio che sono costati la vita a forse più di duecento persone. E anche di spiegare i molti aspetti “oscuri” di una vicenda che non ha sollevato la benché minima reazione da parte di governi e media.

Lo speronamento
La prima intervista è stata fatta giovedì 9 gennaio alle 20. A parlare è il signor Thavathyrai, 38 anni, tamil dello Sri Lanka, città di Accyvali-Jaffna, ora detenuto presso la stazione di polizia di Tripoli (Grecia). “La nostra nave si chiamava Ioahan. Circa all’una di notte del 24 dicembre ci siamo fermati, in lontananza vedevamo le luci della terra. Il comandante ci ha detto che eravamo a 30 chilometri dall’Italia. Molta gente, troppa, è stata fatta scendere dentro un roler, sì un peschereccio, per raggiungere la costa e poi tornare a prendere gli altri. Il roler è partito ma dopo poco ha chiamato via radio la nave per dire che imbarcava acqua. Allora il comandante della Ioahan gli ha detto di tornare subito indietro. Il roler è tornato a tutta velocità, ma c’era il tempo brutto e non ci ha visto, così ci è venuto addosso. Allora noi abbiamo buttato giù delle corde, e siamo riusciti a salvare qualcuno: nove ragazzi, cinque dello Sri Lanka e quattro indiani, più il capitano del roler. Altri erano già in mare e mentre il roler era un po’ sotto l’acqua tantissimi non potevano più uscire”.

Il portello non si apriva
Uscire da dove, domandiamo: “La gente era stata messa dove di solito si mette il pesce, nei freezer, e quando li hanno messi lì dentro hanno chiuso i portelloni sopra cui c’erano altre persone. La grande maggioranza è rimasta chiusa dentro. Poi subito la Iohan è partita verso la Grecia verso le 3 e mezza del mattino del 25”. Quanto tempo è passato prima di toccare la terra?: “Ci hanno fatto scendere dalla nave il 29 dicembre di sera, verso le 20,30”. Un’altra intervista, fatta ieri mattina al signor Gerat J. Caramban, 37 anni, anche lui tamil e detenuto nella stessa stazione di polizia, conferma totalmente il racconto del suo compagno.
La seconda intervista è invece al ventenne Belvender Sing, indiano, detenuto in un’altra stazione di polizia, quella di Nafplion. “Quando c’è stato l’incidente io mi trovavo sulla barca piccola, sul roler”. Gli chiediamo in particolare di descriverci com’era fatto: “E’ una grande barca che usano i pescatori non per pescare ma per trasportare il pesce, è molto grande sotto, è un grande freezer.

Lì dentro hanno messo tanta gente, forse 150 persone o di più. Tanti erano anche sopra, sul tetto del freezer, io ero fra questi. Forse quelli sotto non riuscivano a aprire il portellone perché noi eravamo sopra. Ho preso una corda e mi hanno tirato sulla Ioahan. Quando ero sul roler per andare verso la Sicilia sotto gridavano e piangevano che entrava l’acqua, noi dicevamo al capitano di chiamare la nave grande ma lui diceva sempre no problem, no problem. Poi quando anche lui ha capito che era pericoloso, ha chiamato via radio ed è tornato indietro troppo veloce perché anche lui aveva paura. E così c’è l’incidente contro la nave grande”. Anche nel racconto del giovanissimo indiano sono confermati l’ora e il giorno dell’incidente e dello sbarco in Grecia. Diverso invece il numero delle persone che secondo lui sarebbero state tratte in salvo sulla Ioahan: 29.
Il terzo racconto, infine, è del ventenne Schakurd, pachistano, detenuto in un’altra stazione di polizia: Skale, sempre in Grecia. Anche lui si trovava sul roler al momento dell’incidente, “noi eravamo sopra, forse 20, forse di più, non lo so ora, sotto erano tanti”. Anche lui racconta la stessa dinamica del “crash” tra il peschereccio e la Ioahan, come pure l’ora e il giorno. Aggiunge un unico particolare alle altre due interviste, importante per capire dove è avvenuto l’incidente: “La sera prima del 24 eravamo molto vicino a Malta, Malta country”. Ossia nell’estremo opposto del canale di Sicilia, aspettando la sera di Natale: ovvero meno sorveglianza della guardia costiera e meno peschereggi in giro.

Queste sono alcune delle testimonianze raccolte tra ieri e l’altro ieri. La loro importanza ai fini delle ricerche dei dispersi (praticamente mai neppure cominciate) è che ci sono state rese in lingua madre da persone di nazionalità diversa e che più o meno dal 31 dicembre sono chiuse in prigioni di diverse città: non una, anche inconsapevolmente, concordata versione dei fatti, ma le testimonianze dirette di chi quella notte era in mezzo a quel mare. E che ci dicono innanzitutto una cosa: molte persone (quante nessuno lo può dire fino a quando nessuno le andrà a cercare) presumibilmente giacciono in quel freezer, in fondo al mare. Quale mare? E’ vero che a volte i comandanti di questo tipo di navi abbandonano i “clandestini” in luoghi diversi da quelli per cui i poveretti avevano pagato milioni: ma i cinque giorni passati in mare sulla Ioahan, dall’incidente al definitivo approdo, giustificano ampiamen-te un lungo e guardingo navigare tra il canale di Sicilia e il Peloponneso. Quanto al fatto che neppure i corpi di chi non era dentro ma sopra il peschereccio non siano stati trovati, potremmo dire che nessuno li ha cercati. Ma potremmo anche pensare che siano stati salvati tutti o in gran parte: purtroppo appare difficile, ma è pur vero che la polizia greca aveva avuto notizia nei giorni scorsi di un gruppo di 65 persone scampate alla tragedia che vagavano per le campagne: tre di questi (o forse altri tre) sono stati poi fermati. E infine è da ricordare che il canale di Sicilia è noto per avere fortissime correnti: non sarebbe certo questa la prima volta che corpi di naufragi vengono trovati anche mesi dopo il naufragio.

Sul camion per l’Egitto
Inoltre. Si tratta di testimonianze che concordano anche su altri punti, rendendoci più chiari ulteriori particolari. A cominciare dai diversi nomi dati alla grande nave (in un primo momento sembrava che l’incidente ne avesse coinvolte addirittura quattro o cinque) per finire con le diverse date indicate per la partenza da Alessandria d’Egitto. Non tutti, infatti, sono partiti da qui, probabilmente solo gruppi di indiani e cingalesi. Questi, sempre a piccoli gruppi, hanno raggiunto il porto di Alessandria in camion dopo essere atterrati all’aeroporto di Il Cairo. E lo hanno lasciato il 9 dicembre su una prima nave, la Friendship. Il 10 dicembre, in mezzo al mare, sono stati trasbordati su una seconda, la Sealine. Il giorno dopo ancora, “alle 16 del pomeriggio” ricorda uno degli intervistati, sono stati fatti salire sulla Ioahan: e solo qui si sono uniti ai gruppi di pachistani che già erano su quell’imbarcazione. Non è chiaro invece dove questi ultimi si siano imbarcati sulla nave che drammaticamente li porterà poi verso la morte, o in Grecia. Certo è che prima di arrivarci anche loro ne hanno cambiate molte. Uno dei pachistani intervistati, infatti, dice di essere stato in mare per ben tre mesi, avendo lasciato casa sua, la sua famiglia, il 7 settembre.

Più chiara, ora, appare anche la dinamica dell’approdo in Grecia. Su questo punto, però, abbiamo solo le testimonianze di un gruppo di venti sopravvissuti tamil. Giunti la sera del 29 in vista di una costa, con alcune barche sono stati fatti arrivare sulla terraferma mentre la Ioahan si teneva a debita distanza. Qui sono stati tutti raccolti vicino a una spiaggia, in una casa abbandonata e poi divisi per gruppetti a seconda della nazionalità. Cinquantasette tamil, in camion, sono stati portati dai “mercanti” in campagna aperta, dopo essere passati durante la notte dalla città di Argo. “Eravamo sorvegliati a vista da un pachistano armato di fucile e siamo rimasti lì due giorni, mangiando e bevendo quello che ci avevano dato da mangiare e da bere anche sulla nave per tante settimane: pane e acqua, pane e acqua. Però qui in campagna c’erano anche degli alberi di arance, e allora noi mangiavamo anche quelle. Poi il terzo giorno ci hanno detto di andare via, dove volevamo, ma di andare via”. Sono così ritornati ad Argo, “abbiamo riconosciuto il distributore di benzina che avevamo visto qualche notte prima”. E qui si sono presentati alla stazione di polizia.

Lasciati in Grecia
Ora venti di loro si trovano in stato di arresto, e presumibilmente in attesa di essere rimpatriati, nella stazione di polizia di una città al centro del Peloponneso, Tripoli. Gli altri trentasette si trovano molto probabilmente in altri commisariati di città greche. Dai racconti che ci hanno fatto non sembra che qui le loro condizioni di vita siano migliorate di molto rispetto a quelle delle ultime settimane: “Noi stiamo in venti tutti in una stanza senza letti, si mangia poco, non sappiamo che cosa farà di noi la polizia”. Alcuni di loro sono stati interrogati, probabilmente anche da un magistrato: forse Jannis Provotas, lo stesso che ha poi emesso 11 mandati di cattura contro altrettanti latitanti per omicidio colposo e traffico di immigrati clandestini. Uno degli intervistati, il ventenne indiano Belvender Sing, era convinto che tutto il mondo stesse parlando di quello che a lui e ai suoi tanti compagni è successo la notte di Natale.