Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Ordinanza del Tribunale di Pescara del 14 dicembre 2001

Sport e discriminazioni - Limitare a 3 i tesserati "non italiani" non è illegittimo: la pratica sportiva non è tra le libertà fondamentali dell'individuo

Diritto. — Il motivo di doglianza con il quale la Fin lamenta che sia stata applicata alla fattispecie la disciplina di cui all’art. 44 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286 (nel quale risulta riversato l’art. 41 l. 40/98) merita accoglimento.

La norma applicata dal giudice di prima istanza è sottesa a censurare qualsiasi comportamento discriminatorio nei confronti dello straniero extracomunitario (ed a fortiori nei riguardi di quello comunitario) che produca l’effetto di limitare o compromettere il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei «diritti umani e delle libertà fondamentali» in uno dei qualsiasi settori della vita pubblica, cioè a dire nel campo politico, economico, sociale e culturale.

Ora la generale indicazione di tutti detti settori non può indurre, come ha fatto il primo giudice, a ritenere che qualsiasi restrizione nei confronti dello straniero comporti sempre l’applicazione della procedura di cui all’art. 44 d.leg. 286/98.

In detta procedura è prevista (sulla falsariga del procedimento cautelare uniforme di cui agli art. 669 bis ss. c.p.c.) un’istanza formale al pretore (oggi ex d.leg. 51/98 al giudice unico di tribunale) che sulla base di un’istruttoria ufficiosa, dopo aver concesso i provvedimenti del caso, anche in forma specifica, ha anche il dovere di disporre il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, risentito dal soggetto discriminato.

Avverso il provvedimento del giudice unico è consentita l’impugnazione dinanzi al tribunale ex art. 737 ss. c.p.c. che giudica in composizione collegiale con provvedimento (a giudizio di questo collegio) ricorribile solo per cassazione ex art. 111 Cost. (violazione di legge).

L’art. 44 non prevede poi alcun conseguente giudizio di merito (in analogia a quanto invece disposto per il giudizio cautelare uniforme dall’art. 669 octies c.p.c.) in tal modo rendendo evidente che si sia voluto accordare alle situazioni tutelate dallo stesso (e quali siano lo si vedrà in prosieguo) una speciale protezione rapida, efficace ed esaustiva.

Proprio prendendo lo spunto dal tipo di tutela di cui sopra, si dimostra allora doverosa una prima osservazione costituita dal fatto che al giudice è stato affidato uno strumento processuale che non gli consente alcuna verifica del provvedimento adottato attraverso una successiva fase di merito.

Se così è occorre spiegarsi perché mai si sia disposto in tal senso, e più in particolare scrutinare se sia ammissibile utilizzare la procedura qui in esame in presenza di una qualsiasi violazione che si sia realizzata nell’ambito di uno dei settori indicati dall’art. 43 d.leg. 286/98 cioè a dire nel campo politico, sociale, culturale, id est in ogni settore della vita.

Al quesito il giudice di prima istanza ha ritenuto di dare una risposta affermativa in considerazione del rilievo che il legislatore si sarebbe espresso in modo particolarmente generalizzato e manifestato pertanto l’intenzione di non voler procedere ad alcuna distinzione nell’ambito dei settori indicati.

Tale interpretazione però non tiene conto del fatto che allora ogni volta che viene in discussione la violazione o restrizione nei confronti dello straniero di una qualsiasi situazione giuridica tutelata (ed il discorso vale anche per i cittadini italiani, per quelli comunitari e per gli apolidi residenti ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 43) allora non potrebbero soccorrere più le disposizioni processuali ordinarie in tema di competenza e giurisdizione.

La disciplina di cui all’art. 44 d.leg. 286/98, se così fosse, avrebbe abrogato qualsiasi diversa disposizione di rito per incompatibilità sopravvenuta.

Detta ardita conclusione che sembra ricavarsi dal provvedimento reclamato anche per la sua assolutezza e generalizzazione, dovrebbe portare però a verificare se sia invece percorribile un diverso approccio interpretativo, a scrutinare cioè se, al contrario, il legislatore nazionale abbia voluto immettere nell’ordinamento una nuova disciplina affidando alla stessa la tutela di ben specificate situazioni giuridiche lasciando impregiudicato il precedente quadro normativo (id est la competenza ordinaria per la tutela delle residue posizioni giuridiche escluse).

Ed invero, come in modo diffuso ed approfondito ha fatto rilevare la difesa della Fin, l’art. 43 d.leg. 286/98 richiama quale oggetto della tutela, di cui al successivo art. 44, solo i diritti e le libertà fondamentali.

Per tali diritti e libertà fondamentali, dello straniero, del cittadino e dell’apolide è stato previsto, si è già detto, un tipo di procedimento analogo solo in parte a quello di cui agli art. 669 bis ss. c.p.c., oltremodo snello, rapido ed efficace.

Il che si spiega benissimo con il fatto che il giudice non deve procedere ad accertamenti approfonditi tramite istruttoria complessa ed articolata dovendo soltanto evidenziare se il comportamento discriminatorio denunziato abbia inciso sui beni fondamentali di cui sopra di facile e piana conoscibilità.

L’indagine che il giudice è sollecitato a svolgere è oltremodo semplice perché i diritti umani e le libertà fondamentali che il reclamante assume essere stati disconosciuti già gli appartengono dovendo essere soltanto riaffermati attraverso il provvedimento da rendere in esito alla speciale procedura invocata dall’interessato.

Tutte le altre situazioni giuridiche che lo straniero, comunitario e non, ed il cittadino vogliono vedersi tutelare non possono che essere fatte valere attraverso l’ordinario procedimento contenzioso che va a sfociare in una sentenza appellabile e successivamente ricorribile in Cassazione per i vizi di cui all’art. 360 c.p.c. e non già per la sola violazione di legge ex art. 111 Cost.

Quanto poi al fatto che le sole situazioni giuridiche tutelate dal procedimento promosso dal reclamato siano solo i diritti umani e le libertà fondamentali espressamente indicati dalla norma lo si ricava per conferma anche dall’art. 2 dello stesso testo legislativo del seguente testuale tenore: «Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principî di diritto internazionale generalmente riconosciuti».

Con tale norma, ritiene il tribunale, il legislatore nazionale ha esteso allo straniero (così come peraltro risulta dalle sentenze della Corte costituzionale 62/94, Foro it., Rep. 1994, voce Straniero, n. 11, precedente al d.leg. 286/98, e 252/01 successiva invece allo stesso) la stessa tutela espressamente prevista dall’art. 2 Cost. per i cittadini dello Stato.

La medesima norma ha anche messo in atto un sistema di produzione giuridica (c.d. norma aperta) che consente il costante aggiornamento e recepimento di tutte le disposizioni provenienti anche da fonti internazionali favorevoli al riconoscimento ed all’estensione dei diritti fondamentali nei riguardi dei non cittadini.

L’art. 2 in definitiva concerne in concreto gli stessi diritti (umani e libertà fondamentali) indicati nel successivo art. 43 le cui violazioni, attenuazione, contrasto e disconoscimento vengono protetti attraverso la procedura di cui all’art. 44 successivo.

Solo per tali diritti in definitiva e a giudizio del collegio è azionabile il procedimento speciale, sommario ed esaustivo sopra descritto.

Certo quanto innanzi, nella specie è da ritenere che il reclamato non aveva titolo per invocare l’art. 44 d.leg. 286/98 (mentre non è compito del tribunale indicare quale altro percorso processuale avrebbe dovuto tentare l’interessato).

Il ricorrente invero come esposto in narrativa lamenta di non poter partecipare al campionato organizzato dalla Fin e di essere così di fatto escluso dalla compagine della locale squadra di pallanuoto in quanto le norme dell’ordinamento sportivo pongono delle restrizioni alla partecipazione degli stranieri nell’ambito di ognuna delle squadre partecipanti al torneo organizzato in sede nazionale dalla reclamante.

Il tribunale ritiene, ciò posto, che la lamentela del giocatore Hernandez è diretta però a far eliminare un pregiudizio ad un bene della vita che non forma oggetto di alcuna delle libertà fondamentali di cui sopra perché né l’art. 2 Cost. né le ulteriori fonti normative di diritto internazionale convenzionale (quali indicate dalla difesa della Fin) e consuetudinario annoverano l’interesse a far pratica sportiva e ad impiegare in tal modo il proprio tempo libero tra le libertà fondamentali dell’individuo (altro è poi che l’interessato abbia un diritto, questo sì fondamentale, di spostarsi all’interno del territorio nazionale per esercitare la pratica sportiva).

Né l’interesse tutelato dal ricorrente può poi dirsi ricompreso nel diritto al lavoro e quindi facente parte dei diritti fondamentali perché dalla normativa di settore esibita (cfr. in particolare art. 5 dello statuto della Fin) non si ricava in alcun modo che il campionato nazionale di pallanuoto sia stato organizzato in Italia su base professionistica.

Concludendo, il provvedimento impugnato deve essere revocato con assorbimento degli ulteriori motivi di censura.