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Chiarimenti sulla circolare del Ministero dell’Interno prot. 47683/30 del 7 ottobre 2002

1) Chi puo’ presentare la dichiarazione di emersione?

Sia la legge 189/2002 che il Decreto Legge 195/2002 prevedono che la dichiarazione di emersione “è presentata dal richiedente, a proprie spese, agli uffici postali”.
Poiché il richiedente è il datore di lavoro, è questi che dovrà recarsi agli uffici postali per la presentazione della dichiarazione, ovvero conferire apposita delega da presentare, da parte del delegato, unitamente ad un documento di riconoscimento del delegante.
Avv. Paggi: E’ una domanda che contiene un po’ di ironia anche se la risposta è seria quanto indiscutibile. Ironia perché molti lavoratori stranieri hanno potuto constatare che l’onere delle spese di regolarizzazione di fatto sono interamente a carico loro, quasi in tutte le situazioni di lavoro domestico e in moltissimi casi anche nell’ambito degli altri rapporti di lavoro subordinato.

2) In caso di piu’ datori di lavoro, ognuno di essi deve presentare la dichiarazione e pagare il contributo forfetario?
Si, ogni datore di lavoro è tenuto a presentare la dichiarazione ed a versare per intero il contributo forfetario.
Avv. Paggi: Su questo punto c’erano stati molti dubbi. Si pensava fosse possibile presentare più domande, nel caso soprattutto di lavoro domestico da parte della stessa lavoratrice in favore di diverse famiglie, inserendole in una unica busta. Invece il ministero precisa, ancora una volta, che ogni domanda di ogni singolo datore di lavoro (anche se ciascuno per una parte dell’orario complessivo di lavoro svolto nelle diverse famiglie) deve presentare la propria domanda. Inoltre, come precisato in precedenza, deve versare l’intero contributo forfetario.
Che questo corrisponda ad una corretta interpretazione della norma è tutto da vedere perché se è vero che il contributo forfetario (per colf-badanti e lavoratori subordinati) “copre” un lavoro a tempo pieno per un intero trimestre, non c’è ragione per cui una somma di lavori part time, presso diversi datori di lavoro, debba produrre anche la moltiplicazione del contributo forfetario, che di per sé dovrebbe coprire l’intero orario di lavoro prestato.

3) Che cosa vuol dire “occupati nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge Bossi-Fini?

Il termine dei “tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore”, dei provvedimenti interessati, nei quali è necessario aver svolto il lavoro irregolare ai fini della dichiarazione di regolarizzazione, vanno interpretati in combinato disposto con le successive disposizioni contenute nella legge 189/2002, e non nella semplice formulazione letterale, considerata a sé stante.
Poiché il contributo forfetario che il datore versa è “pari all’importo trimestrale corrispondente al rapporto di lavoro dichiarato”, deve prevalere l’interpretazione restrittiva della disposizione di cui trattasi, per cui può essere regolarizzato solo il lavoratore occupato almeno per i tre mesi antecedenti la data del 10 settembre 2002, e cioè dalla data del 10 giugno 2002.
Al riguardo, farà fede la dichiarazione del datore di lavoro.
Il Ministero ribadisce la posizione già assunta con una precedente circolare con cui si sostiene che è preferibile l’interpretazione restrittiva e di conseguenza la necessità che il rapporto di lavoro si sia svolto, come minimo, per tutto l’arco di tempo intercorrente tra il 10 giugno e il 10 settembre. È necessario poi che questo rapporto prosegua tutt’ora, ai fini della regolarizzazione.
Nonostante la formulazione letterale della norma (che è stata convertita in legge senza modifiche e continua a riferirsi ai datori di lavoro che abbiano occupato all’interno dei tre mesi i lavoratori, quindi non necessariamente per tutto il trimestre) il ministero continua a sostenere che è necessaria l’occupazione per l’intero arco di tempo.
Poi però, sull’eventuale interruzione o sospensione del rapporto di lavoro, in altri quesiti e risposte il ministero dà delle precisazioni interessanti.

4) Chi e’ in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di turismo, di studio o altro, puo’ usufruire di questa procedura di regolarizzazione?
Si, colui che si trova regolarmente soggiornante in Italia con un permesso di soggiorno rilasciato con motivazione diverse (turismo, affari, studio, richiesta di asilo, ecc.) può accedere alla procedura di regolarizzazione, purché sia osservata la retribuzione minima prevista per il relativo contratto di lavoro.
Avv. Paggi: Il Ministero puntualizza finalmente quanto si riteneva possibile fin dall’inizio.

5) La domanda deve essere inviata alla Prefettura-utg di residenza del datore di lavoro, del lavoratore o dove ha luogo la prestazione di lavoro?
Come indicato nelle istruzioni per la compilazione del modulo per la regolarizzazione di colf e badanti la Prefettura di competenza a cui presentare la domanda è quella di residenza del datore di lavoro o quella del luogo dove viene svolta l’attività lavorativa. Per il lavoro subordinato, in aggiunta alle predette possibilità, viene indicata anche la Prefettura dove ha sede l’impresa.
Avv. Paggi: Praticamente è il luogo di lavoro che determina la competenza territoriale, non tanto il luogo dove vive o dorme il lavoratore o il luogo dove risiede il datore di lavoro, se la sede del lavoro è diversa rispetto alla residenza del datore di lavoro.

6) Il lavoratore che non ha documento di riconoscimento in corso di validita’, puo’ essere regolarizzato?
La domanda di regolarizzazione può essere presentata anche a favore di un extracomunitario con documento di riconoscimento scaduto, non ancora rinnovato.
In ogni caso, all’atto della sottoscrizione del contratto, il lavoratore deve essere in possesso di un documento di identificazione in corso di validità. E’ ammesso anche l’attestato di identità rilasciato dalla Rappresentanza Diplomatica del proprio Paese. In fase di rinnovo, però, il lavoratore dovrà comunque essere munito del passaporto in corso di validità.
Avv. Paggi: La risposta è molto importante. Questa posizione del ministero è nuova rispetto a precedenti orientamenti espressi in modo informale presso molte prefetture.
Dunque, per avviare la procedura di regolarizzazione si ammette l’inserimento nella busta della fotocopia del certificato di Identità Consolare e naturalmente si raccomanda di procurarsi comunque il passaporto. Le persone che presentando la domanda di regolarizzazione con questo certificato, dopo aver ottenuto la ricevuta dalla Posta potranno ritornare presso la stessa rappresentanza consolare e fare formale richiesta di rilascio del passaporto (o del duplicato nel caso di smarrimento).
Noi non possiamo dire come devono comportarsi le ambasciate perché sono sottratte all’applicazione della legge italiana ma la maggior parte di loro, a fronte di un titolo di soggiorno anche provvisorio del proprio cittadino, come la ricevuta attestante l’inoltro della regolarizzazione, dovrebbe accettare di avviare la procedura per il rilascio del passaporto, mentre nel caso in cui la persona interessata non abbia nessun titolo di soggiorno in Italia questa possibilità è esclusa (limitandosi al rilascio del certificato di identità consolare).
Infatti, la ricevuta di inoltro della domanda di regolarizzazione vale a tutti gli effetti come un titolo di soggiorno provvisorio e quindi dovrebbe legittimare l’interessato a poter chiedere, presso la propria ambasciata, il rilascio del passaporto o un suo duplicato. Se poi l’organizzazione interna della rappresentanza consolare di fatto non permette comunque di ottenere in Italia il rilascio del passaporto, questo è un problema sul quale la legge italiana non può influire.
Il consiglio che diamo a tutti è, una volta ottenuta la ricevuta, di attivarsi immediatamente presso le ambasciate o consolati per richiedere il rilascio del passaporto. Trattandosi di un problema che riguarda numerose persone vogliamo sperare che le rappresentanze diplomatiche in Italia siano sensibili a questo fenomeno e alla necessità di assistere i propri cittadini per garantire la possibilità di ottenere un regolare permesso di soggiorno, magari adottando delle decisioni “eccezionali” che contrariamente a una prassi precedente permettano ora il rilascio di passaporti anche presso la rappresentanza consolare.
È noto che in alcuni paesi la prassi governativa consente di fatto di rilasciare un passaporto autentico non necessariamente al diretto interessato ( di fronte alla sua presenza fisica) ma ad un parente che potrà poi spedirlo al diretto interessato.
Se la prassi è lecita e i documenti sono autentici la legge italiana non può intervenire, quindi se questo può essere un modo alternativo e legittimo per ottenere il passaporto suggeriamo di verificare anche questa possibilità.

7) Puo’ essere regolarizzato un richiedente asilo?
Il richiedente asilo, in attesa dell’audizione innanzi alla competente Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, può accedere alla regolarizzazione, senza sospendere o annullare l’iter procedurale attivato per il riconoscimento stesso. Se successivamente gli verrà riconosciuto lo status di rifugiato, potrà convertire il permesso di soggiorno per lavoro in quello più favorevole collegato allo status di rifugiato.
Avv. Paggi: E’ quanto andavamo sostenendo da tempo contrariamente ai pareri di molte questure. Dunque la procedura di regolarizzazione non è di ostacolo al proseguimento della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Naturalmente chi avesse già ottenuto un rifiuto del riconoscimento dello status conserva il diritto di ricorrere davanti al tribunale ordinario per l’accertamento del suo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato nonché del più ampio diritto di asilo previsto dall’art.10 della nostra Costituzione, senza pregiudicare l’eventuale domanda di regolarizzazione.
È molto probabile che chi ha già avuto riposta negativa alla richiesta dello status di rifugiato sia sprovvisto di un passaporto in corso di validità. L’eventuale richiesta presso la propria ambasciata del rilascio del certificato di identità consolare (naturalmente senza specificare che si è richiesto asilo in Italia) di per sé non è in conflitto con la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
In altre parole, il solo fatto di presentarsi alla propria ambasciata per chiedere una minima assistenza relativa al rilascio del documento di identità non modifica la situazione di rischio di persecuzione, quindi del bisogno di richiedere lo status di rifugiato, e non porta alla decadenza del procedimento per la richiesta dello status.
Questo perché si tratta di una stretta necessità che non implica la assenza di pericoli per la persona ma semplicemente la ricerca di una regolarizzazione in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato o, a maggior ragione, una volta che lo status sia stato rifiutato dalla competente commissione.

8) Nel caso in cui il datore di lavoro, sia impossibilitato a sottoscrivere il contratto, e’ consentita la sottoscrizione del contratto da parte di un altro soggetto?
Sì, nel caso di impossibilità per il datore di lavoro di presentarsi personalmente per la stipula del contratto (ad es. per gravi motivi di salute) è sufficiente una procura in carta semplice non autenticata, accompagnata da un documento del datore di lavoro e dalla relativa fotocopia.
Per ragioni connesse allo stato di salute, in base a quanto previsto dall’art. 4 della legge 445/2000, sono, inoltre, autorizzati alla sottoscrizione il coniuge, i figli, i parenti in linea retta o collaterale fino al terzo grado, in possesso della relativa documentazione attestante lo status. Il necessario accertamento dell’identità del dichiarante dovrà essere effettuato dal pubblico ufficiale all’atto della convocazione.

9) Nel caso di soggetto affetto da patologia o handicap che ne limiti l’autosuffucienza, i parenti di cui all’art. 4 del dpr 445/2000 possono sottoscrivere il modulo di dichiarazione di emersione?
Si, possono sottoscrivere i moduli i congiunti di cui al richiamato art. 4 (il coniuge, i figli, i parenti in linea retta o collaterale fino al terzo grado). Il necessario accertamento dell’identità del dichiarante e del rapporto di parentela (da dimostrarsi, da parte del dichiarante, con apposita documentazione) dovrà essere effettuato dal pubblico ufficiale all’atto della convocazione.

10) Puo’ essere datore di lavoro di una collaboratrice domestica un familiare (figlio) residente in una provincia diversa dal luogo della prestazione di lavoro (casa genitore)?
Sì. In questo caso è conveniente che la domanda venga presentata presso la Prefettura-UTG nella provincia ove si svolge la prestazione di lavoro e (presumibilmente sede di residenza del lavoratore).
Avv. Paggi: In altre parole si chiede se il figlio della persona che utilizza la prestazione di assistenza può essere datore di lavoro ( quindi assumere su di sé tutti gli obblighi) anche se non vive con la persona assistita ma in un luogo diverso. Il ministero precisa che questo è possibile. Vale sempre il principio che la domanda va presentata presso la prefettura ove ha sede il luogo di lavoro, indipendentemente dall’abitazione della persona che assume su di sé gli oneri per l’assistenza ad un proprio familiare, che magari abita in un luogo diverso.

11) Viene restituito il contributo forfettario versato qualora la richiesta di regolarizzazione venga rigettata?
No. Tale contributo va considerato come versamento “una tantum” per la dichiarata occupazione del lavoratore “in nero” e non è prevista dalla legge la restituzione, venendo a sanare la posizione irregolare pregressa del datore di lavoro.
Avv. Paggi: Ovviamente la risposta non poteva essere diversa. Sappiamo invece che il semplice fatto che il datore di lavoro presenti la dichiarazione di emersione non lo rende punibile per le violazioni commesse in precedenza essendo soggetto soltanto all’onere del pagamento forfettario per i tre mesi precedenti e dei contributi ordinari per i periodi di lavoro successivamente svolto.
Se poi la domanda di regolarizzazione viene respinta non fa venir meno il principio di non punibilità ma consolida l’acquisizione del contributo forfettario che va comunque a coprire il periodo di lavoro svolto.

12) A chi va presentato il ricorso del provvedimento di rigetto della richiesta e quali saranno le conseguenze?
Il mero provvedimento di rigetto, essendo di natura amministrativa, è ricorribile presso il T.A.R (Tribunale Amministrativo Regionale), da parte del datore di lavoro, nei tempi e nelle modalità previste dalla legge (entro 60 giorni dalla notifica).
Avv. Paggi: Il provvedimento di rifiuto della domanda di regolarizzazione, anche se va normalmente impugnato dal datore di lavoro può essere impugnato anche dal lavoratore qualora egli asserisca -come è del resto evidente – di avere un danno diretto dal rifiuto e di poter far valere delle valide ragioni davanti al tribunale, anche quando il datore di lavoro intendesse non fare opposizione rispetto al provvedimento.
Allo straniero, quindi, viene notificato il rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno con invito ad allontanarsi dal territorio nazionale entro 15 giorni. Nel caso in cui non si allontani spontaneamente, qualora rintracciato, verrà espulso con provvedimento ricorribile presso il Tribunale in composizione monocratica, così come previsto dall’art. 13, c. 8, della legge n. 189 del 30 luglio 2002.
Avv. Paggi: Nei casi per cosi dire normali, il rifiuto di regolarizzazione non dovrebbe comportare la notifica di un provvedimento di espulsione e la successiva esecuzione tramite accompagnamento alla frontiera.
Nel caso di persone colpite da espulsione preesistente (anche se abbiamo visto che alla regolarizzazione può accedere anche chi è stato colpito da espulsione amministrativa), se la domanda di regolarizzazione venisse respinta dovrebbe riprendere esecuzione l’espulsione precedentemente disposta. In questi casi è dunque possibile che il provvedimento di rifiuto della domanda venga notificato insieme al provvedimento di espulsione mettendola in esecuzione.

13) La certificazione medica – richiesta in caso di regolarizzazione di “badante” – puo’ essere rilasciata dal medico di famiglia?
Si, non è necessaria alcuna documentazione clinica specialistica.
Avv. Paggi: Per medico di famiglia si intende il medico di fiducia nominato a seguito dell’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. Non è necessario che la certificazione sia dettagliata e minuziosa anche per esigenze di tutela della privacy. È sufficiente che il medico dichiari che la persona ha necessità di assistenza in quanto non completamente autosufficiente per ragioni di salute.

14) Il lavoratore extracomunitario che aspetta ancora la definizione della domanda di sanatoria presentata nel 1998, puo’ essere regolarizzato con questa nuova procedura di emersione?
Si, se in possesso di tutti i requisiti previsti dalla normativa.
Avv. Paggi: Domanda molto ironica. Il ministero non poteva che rispondere si. Sia la domanda che la risposta si commentano da sole.

15) Il minore straniero, divenuto nel frattempo maggiorenne, destinatario di un provvedimento di rimpatrio assistito a cui non ha ottemperato, puo’ essere regolarizzato?
Sì. Non è necessaria la revoca del provvedimento di rimpatrio in quanto il minore è ormai divenuto maggiorenne.
Avv. Paggi: Ricordo che per i minori non accompagnati non esiste la possibilità di una espulsione amministrativa normale. Poiché è vietata l’espulsione per i minorenni (art.19 T.U.) il governo ha ritenuto di ampliare le competenze del Comitato per i minori stranieri attribuendogli il potere di valutare caso per caso e disporre il provvedimento di rimpatrio assistito, che altro non è se non, di fatto, un’espulsione mascherata.
Se è vero che, per le persone colpite da espulsione amministrativa è possibile regolarizzarsi, a maggior ragione anche per i minori (nel frattempo divenuti maggiorenni) dovremmo ritenere che l’eventuale non ottemperanza al provvedimento di rimpatrio assistito debba consentire comunque la regolarizzazione. In effetti anche il ministero dell’interno arriva alle stesse conclusioni dicendo che non è nemmeno necessaria la revoca del provvedimento di rimpatrio in quanto il minore è diventato maggiorenne e quindi non sarebbe più oggetto di attenzione da parte del Comitato ma eventualmente del competente prefetto, che avrebbe dovuto disporne la normale espulsione in via amministrativa.

16) Qual e’ il termine per la consegna dei moduli?
Il termine per la consegna delle dichiarazione di emersione, relativo a colf e badanti, è fissato al giorno 10 novembre 2002. Ma poiché tale giorno è festivo, il termine viene prorogato di diritto al giorno seguente non festivo (ex art. 2963 cc) ossia all’11 novembre 2002.
Il termine per la consegna della dichiarazione di legalizzazione del lavoro subordinato è fissato al giorno 10 ottobre 2002. Nel disegno di legge, approvato dal Senato, è previsto lo slittamento di tale termine all’11 novembre 2002.

17) In caso di datori di lavoro plurimi la richiesta deve essere presentata in un’unica busta?
No, le richieste dovranno essere presentate in buste separate, possibilmente presentate contestualmente, per una più rapida connessione delle dichiarazioni, che comunque sarà effettuata d’ufficio.

18) Quando il datore di lavoro deve garantire il pagamento del viaggio di rientro del lavoratore straniero nel proprio paese? e qual e’ il datore di lavoro su cui ricade questo onere?
La garanzia per il pagamento delle spese di viaggio è fornita dal datore di lavoro alla Prefettura-UTG e non al lavoratore. La disposizione è finalizzata esclusivamente ad evitare aggravi di spesa a carico dello Stato in caso di rimpatrio del lavoratore, disposto dalle Autorità competenti.
In caso di più datori di lavoro, gli stessi sono obbligati in solido.
Si terrà conto dei rapporti di lavoro in atto e per ultimo dichiarati.
Avv. Paggi: Nel caso i cui il lavoratore fosse invitato a lasciare l’Italia (per esempio a seguito del mancato rinnovo del permesso di soggiorno) e non rispettando l’invito rimanesse , si potrà disporre il provvedimento di espulsione. A questo punto le spese dell’esecuzione dell’espulsione (la parte di spese che coincidono con le spese di viaggio) sarebbero a carico del datore di lavoro.
Ma giustamente, si chiede, chi deve pagare nel caso ci siano stati nel corso del tempo diversi datori di lavoro? La risposta è ambigua. L’autorità di pubblica sicurezza si potrà rivolgere all’uno o all’altro, a chi si presta più facilmente a pagare le spese. Sembra quasi che si dica che siccome l’obbligo rimane per tutti i datori di lavoro, se l’ultimo non vuol pagare si passerà al penultimo e così via. Sono proprio queste osservazioni pratiche che avevano portato all’abolizione della garanzia di pagamento delle spese di viaggio già nel 1986, ma si sa che i politici hanno la memoria corta…

19) Puo’ essere regolarizzato un rapporto di lavoro che prevede una durata di lavoro inferiore o superiore ad un anno?
Il rapporto di lavoro per colf e badanti deve essere almeno non inferiore ad un anno essendo correlato al permesso di soggiorno che, in base alla norma, viene rilasciato per la durata di un anno.
La durata del rapporto di lavoro subordinato, come precisa la legge, è a tempo indeterminato o di durata non inferiore ad un anno.

20) Possono essere cumulate – ai fini del raggiungimento del minimo stabilito – le ore di lavoro prestate come badante con quelle prestate come collaboratrice domestica?
Sì. Il contratto di lavoro a cui si fa riferimento è lo stesso.
Avv. Paggi: Ci si riferisce alla somma delle ore lavorative, quelle prestate nell’attività di assistenza a una persona non autosufficiente assieme a quelle prestate invece in attività di cuoca, addetta alle pulizie o domestica in generale.
Il contratto di riferimento è pur sempre il contratto nazionale collettivo di lavoro domestico, a dispetto di chi crede che le “badanti” siano una categoria a sé stante e non delle normali lavoratrici domestiche.

21) In caso di licenziamento del lavoratore, successivo alla regolarizzazione, e tempestivamente segnalato dal datore di lavoro alle questure, l’immigrato potra’ avvalersi dell’iscrizione alle liste di collocamento e di sei mesi di tempo per la ricerca di un nuovo datore di lavoro?
Si, in questo caso valgono le disposizioni di carattere generale previste dalla normativa in vigore, che prevedono la possibilità dell’iscrizione per un periodo non inferiore a sei mesi, salvo un più lungo periodo di residua validità del permesso di soggiorno.
Avv. Paggi: Il Ministero non fa uno sforzo interpretativo in questo caso perché richiama semplicemente la normativa in vigore, sempre con riferimento all’ipotesi di un licenziamento che si verifichi successivamente al perfezionamento della regolarizzazione.
Si fa riferimento alla nuova legge in cui si prevede che il periodo massimo di disoccupazione di ogni lavoratore immigrato non possa superare i 6 mesi (la legge precedente prevedeva un anno).
Comunque, è sempre fatto salvo il diritto conservare il permesso di soggiorno per la durata residua fino alla scadenza, anche se mancassero più di sei mesi a tale data.
Esempio pratico: se ho un permesso di soggiorno che scade a luglio del prossimo anno e entro in disoccupazione, posso conservare il permesso di soggiorno fino a luglio anche se la scadenza ricade oltre i 6 mesi, augurandomi nel frattempo di trovare una nuova occupazione.
Se invece, entro in disoccupazione e il permesso scade fra 2 mesi, ho diritto di poter chiederne il rinnovo per la durata residua cioè 4 mesi.
Ma il problema più grave che riguarderà molte persone nel corso della regolarizzazione è quello degli eventuali licenziamenti che dovessero verificarsi prima del perfezionamento della regolarizzazione.
Guardando i numeri delle domande pervenute alle prefetture e quelle in previsione fino all’11 novembre sorge subito una preoccupazione. Ad esempio, presso al Prefettura di Padova è già stato valutato che, pianificando il funzionamento dell’ufficio territoriale competente per la sanatoria, sarà possibile la valutazione di 15 domande al giorno, mentre con un imminente raddoppio dell’organico si arriverebbe ad esaminarne 30. A conti fatti, si fa presto a verificare che, a fronte della presentazione già avvenuta a Padova di 8.600 domande più quelle che arriveranno, ci sarà un tempo di attesa di anni. La probabilità che in tutto questo tempo, prima che si perfezioni il contratto di soggiorno, il lavoratore possa perdere il lavoro è altissima, specialmente se teniamo conto della forte precarietà dei rapporti di lavoro. Senza pensare al caso più tipico per quanto riguarda le cosiddette badanti, che assistono persone anziane che potrebbero venire a mancare nel frattempo.
Una risposta a questa domanda non esiste ancora e il ministero non ha voluto darla.
La speranza è che, magari una volta scaduto il termine dell’11 novembre, la linea interpretativa si “ammorbidisca” e vada incontro alla realtà pratica.

22) Cosa avviene nei confronti del figlio minore a seguito del lavoratore, interessato dalla procedura di regolarizzazione?
Il minore verrà iscritto nel permesso di soggiorno rilasciato al genitore a seguito dell’avvenuta regolarizzazione.
Avv. Paggi: Si precisa a chiare lettere (e per la prima volta) che la sanatoria potrà essere estesa ai figli minori che convivano con il lavoratore interessato alla regolarizzazione.

23) Da quando decorre l’onere del pagamento dei contributi Inps?
Il forfait già versato copre soltanto il trimestre dal 10 giugno 2002 al 10 settembre 2002. Per i rimanenti periodi di lavoro, sarà l’INPS a fare i conteggi ed a comunicarli al datore di lavoro.
Avv. Paggi: Fermo restando che, come è già stato precisato, i periodi diversi (anteriori al 10 giugno e successivi al 10 settembre) riguardano contributi normali ovvero quelli che si pagano in via ordinaria per i diversi settori del lavoro.
A riguardo è pervenuto un messaggio dell’INPS del 16/10/02, che può essere direttamente consultato nel sito, in cui si precisa che per i lavoratori non comunitari per lavoro subordinato gli adempimenti contributivi devono essere effettuati entro la scadenza del periodo di paga riferito al mese di novembre, cioè entro il 16 dicembre 2002 senza aggravio di somme aggiuntive. Questo tenendo conto che il termine della presentazione delle domande di regolarizzazione scade l’11 novembre.
Per i lavoratori domestici e badanti il termine di presentazione della denuncia del rapporto di lavoro normalmente scade entro il 10° giorno successivo al trimestre solare nel corso del quale è avvenuta l’assunzione cioè entro il 10 gennaio 2003, sempre con obblighi contributivi a far tempo dal l0 settembre 2002.