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Sanatoria: un caso di estorsione

Da Vicenza una storia finita bene. Il caso di Mohamed, truffato dal datore di lavoro e minacciato di morte

Raccontiamo un caso emblematico, uno dei pochi casi di sfruttamento che sono emersi ufficialmente durante la sanatoria, casi che hanno evidenziato come molti datori di lavoro abbiano approfittato dell’occasione per lucrare ulteriormente sullo sfruttamento dei lavoratori immigrati irregolari.

Questa è la storia di un cittadino tunisino di 20 anni che chiameremo Mohamed, arrivato in Italia due anni fa per cercare lavoro. Dopo aver svolto diverse attività lavorative trova lavoro presso una impresa edile all’inizio dell’estate 2002. La sua prima preoccupazione era di poter ottenere anche un permesso di soggiorno e intraprendere così una vita normale.
Si è subito premurato di chiedere al titolare della ditta se sarebbe stato possibile regolarizzare il suo rapporto di lavoro. Il titolare ha convenuto che appena ce ne fosse stata l’occasione, attraverso la sanatoria, si sarebbe proceduto alle pratiche. Nel frattempo, continuava a lavorare presso i cantieri edili in cui operava questa impresa. Siccome si trattava di un lavoratore clandestino, a seconda della necessità è stato utilizzato con orari e giorni flessibili. Passano i mesi e Mohamed, nel frattempo, non riceve mai la paga che gli spetta. Infatti, il datore di lavoro lo avrebbe regolarizzato ma a condizione che tutto il costo della pratica fosse a carico di Mohamed, che ha dovuto accettare pur di diventare regolare. Perciò ha subito il ricatto.
L’unica cosa che Mohamed riceveva era un frugale pasto “offerto gentilmente” dal titolare dell’impresa, nella pausa per il pranzo. Mohamed si accorge nel frattempo che l’impresa non è molto seria. Molte persone vengono a reclamare soldi e dopo poco la trattoria dove si svolgeva la pausa pranzo si rifiuta di somministrare i pasti perché avanza troppi soldi. Così, a pranzo, deve tornare a mangiare nell’appartamento dove alcuni suoi connazionali lo ospitano e gli danno una mano.
Quando Mohamed viene a sapere della sanatoria in corso torna alla carica con il datore di lavoro che lo tranquillizza ma in cambio chiede molti soldi perché dice :”si tratta di un operazione molto costosa”. Siccome “servono 3 mila euro” il titolare spiega che ci si può mettere d’accordo trattenendoli dalla paga (che Mohamed non ha mai ricevuto). Mohamed porta 200 euro (soldi che era riuscito a mettere da parte per le emergenze) ma il datore di lavoro dice che non bastano così si fa promettere di portarne ancora e di continuare a lavorare gratis.
Passa il tempo e Mohamed, parlando con i suoi amici che stavano facendo la sanatoria, capisce che qualcosa non va, intanto, il titolare dell’impresa, aveva chiesto più soldi. Gli porta altri 300 euro, ricavato di prestiti, facendosi assicurare che la domanda di regolarizzazione sarebbe stata inoltrata. Si avvicina la data dell’11 novembre, giorno della scadenza della sanatoria, e Mohamed torna dal datore di lavoro che prima si nega e poi gli da un appuntamento. A quel punto il titolare dell’impresa mostra a Mohamed una specie di domanda di regolarizzazione, perché si trattava di una semplice fotocopia di un modello compilato, senza nessuna firma e di una fotocopia del modello del versamento che si vede chiaramente contraffatta. Inoltre Mohamed constata che su quella domanda è indicato un nome diverso dalla ditta presso la quale lavora da mesi. Il ragazzo tunisino chiede spiegazioni e il datore, farfugliando, risponde che non poteva regolarizzarlo altrimenti perché lo avrebbe dovuto fare anche con altri, per cui si era rivolto ad un suo amico il cui nome era indicato nei moduli. Però sarebbero serviti ancora soldi, che Mohamed avrebbe dovuto portare. In seguito il nome della seconda ditta si è verificato essere di fantasia.
Sempre durante l’incontro, avvenuto nell’auto del datore di lavoro, questi presenta un permesso di soggiorno senza fotografia e propone a Mohamed di usarlo fino a quando non si sarebbero sistemate le cose. Però servono almeno altri mille euro, altrimenti la pratica non può proseguire. Mohamed si dimostra molto preoccupato e perplesso ma il datore di lavoro lo rassicura però, aggiunge che il suo nome non sarebbe mai dovuto venir fuori. A quel punto, il titolare estrae una pistola (solo in seguito risultata finta) e la punta contro Mohamed con tono eloquente, per far capire che non avrebbe mai dovuto denunciarlo sennò gli sarebbe capitato qualcosa di brutto.
Mohamed é stato vittima di un’estorsione perché era stato costretto a dare dei soldi per una cosa che non avrebbe dovuto pagare, inoltre capisce la truffa che ha subito e quindi decide di chiedere aiuto e si rivolge allo sportello dell’Asgi, ad Arzignano (Vicenza).
La storia viene compresa in tutta la sua gravità e Mohamed viene invitato a denunciare i fatti rivolgendosi alla Questura di Vicenza. Nella denuncia fa presente che questa persona lo sta minacciando e racconta quello che è successo. Anche la Squadra Mobile ha subito constatato che la ricevuta in possesso di Mohamed era palesemente falsa.
A questo punto concorda un appuntamento con il datore di lavoro che, nel frattempo lo stava chiamando spesso perché voleva ancora soldi e, all’appuntamento si presenta anche la Polizia.
Il datore di lavoro viene arrestato in flagranza di reato mentre riceve soldi per una falsa regolarizzazione.

Viene dunque sottoposto ad indagine per una serie di reati: favoreggiamento della permanenza irregolare di uno straniero a scopo di sfruttamento, di cui all’art.12, comma 5, e occupazione illegale di lavoratore straniero di cui all’art.22, comma 12, del T.U. (questi reati avrebbero potuto essere estinti se il datore di lavoro avesse provveduto realmente alla regolarizzazione); é stato denunciato anche per il reato di estorsione, avendo costretto una persona a pagare una somma non dovuta, nonché per il reato di contraffazione, in relazione alla falsa ricevuta.
In tutta questa vicenda quello che conta è che Mohamed, vittima di questo raggiro, riesca poi ad ottenere la sospirata regolarizzazione o comunque un permesso di soggiorno.

Mohamed ha denunciato il datore di lavoro tempestivamente, prima della scadenza dell’11 novembre, in più è vittima di minacce che potrebbero concretizzarsi perché ha fatto arrestare il datore di lavoro ora sottoposto a obblighi restrittivi. Si potrebbe ipotizzare che i familiari o gli amici potrebbero vendicarsi per quello che è successo anche perché Mohamed è un testimone alquanto scomodo. Il rischio di un’eventuale vendetta potrebbe allontanarlo dal territorio italiano e rendere più difficili gli accertamenti nei confronti dei responsabili di questi comportamenti criminali.
Si è ritenuto, di conseguenza, che i questo caso si possa applicare il famoso art 18 del T.U., che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale nei confronti delle persone che, anche a causa della denuncia o dell’esistenza di procedimenti penali anche per i reati di cui abbiamo parlato, possano temere per la propria incolumità fisica.

In questo caso, la Procura della Repubblica di Vicenza ha espresso parere favorevole al rilascio di un permesso di soggiorno di questo tipo per Mohamed che gli permetta, inoltre, di svolgere attività lavorativa. Questo dopo aver verificato che Mohamed è stato assistito da una organizzazione sindacale e affidato al servizio sociale del Comune di Vicenza per essere seguito nel suo percorso di integrazione che risulterà ovviamente facile dal momento in cui potrà lavorare in regola e vivere più serenamente.
Ed è proprio quello che sta succedendo. Ogni tanto abbiamo qualche buona notizia anche se sappiamo che è una goccia nel mare perché è uno dei tanti casi che si sono verificati. A differenza di altri però questo caso è emerso perché ha trovato adeguata tutela.