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Immigrati in Italia: con il 4,2 sempre più vicini alla media europea

Intervista a Franco Pittau (Caritas) sulle anticipazioni del Dossier 2003

Sono 2.395.00 gli immigrati regolari in Italia all’inizio del 2003, secondo le stime del Dossier elaborate su dati forniti dal Ministero dell’Interno: 800.000 in più rispetto all’anno precedente.
Regioni – Il numero degli immigrati è aumentato più della media in Friuli, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo e Calabria. Stabili Piemonte, Lombardia, Molise e Basilicata. Le cifre sono invece in diminuzione in Campania e Puglia. Le altre regioni hano registrato incrementi al di sotto della media nazionale.

Lavoro – Nel 2002 le assunzioni di immigrati sono passate da 467.304 a 569.847: l’11,5 % dei nuovi assunti è cittadino non comunitario. Le differenze sono notevoli a seconda delle aree del paese: al Sud la percentuale è del 4% mentre nel Nord-Est sale addirittura al 17,7%.

Domanda: I dati dell’ultimo dossier contengono anche i lavoratori che sono in fase di sanatoria. Questo provoca un balzo in avanti delle cifre di immigrati regolari in Italia?

Risposta: Certamente. Va spiegato che nel fare la stima totale della popolazione straniera, soggiornante in Italia, abbiamo calcolato che per una lavoratrice o lavoratore domestico possono esserci stati più datori di lavoro a presentare la domanda di regolarizzazione. Quindi anziché calcolare 703 mila domande ne abbiamo calcolato 600 mila. Questa cifra non dovrebbe essere distante dalla realtà. Come lei diceva il grosso aumento è avvenuto a seguito della regolarizzazione però va detto che anche senza la sanatoria l’immigrazione è aumentata sia per i ricongiungimenti familiari, filone molto consistente per l’ingresso in Italia, sia perché lo scorso anno gli archivi risultavano incompleti ed erano stati conteggiati male il numero dei permessi di soggiorno. Dei soggiornanti in Italia, a prescindere dalla regolarizzazione, rincontriamo un aumento di 150 mila unità. Per concludere, ora siamo a 2 milioni 395 mila persone, un immigrato ogni 25 residenti e si tratta di una presenza significative che meriterebbe un attenzione particolare che non sempre riscontriamo.

D: L’Italia rimane “fanalino di coda” in Europa come presenza di nuovi cittadini nel proprio territorio?

R: Direi di no, ci stiamo avvicinando alla media europea. Quanto a percentuale di incidenza sulla popolazione residente rimaniamo sempre al di sotto della Germania, Austria, Belgio. Con la Gran Bretagna siamo quasi appaiati. Mentre, come numero complessivo di presenze continuiamo ad essere il quarto paese, forse terzo, preceduti da Germania e Francia. Siamo un grande paese di immigrazione ma non dobbiamo dimenticare che in altri paesi l’immigrazione aumenta poco perché sono molti quelli che acquisiscono la cittadinanza del posto. Per esempio in Francia le cifre parlano di 150 mila casi. L’Italia invece è un esempio negativo, siamo ad appena 10 mila casi. Gli altri paesi europei sono molto interculturali però l’immigrazione non aumenta di molto perché hanno una politica diversa da quella italiana che sinceramente auspichiamo che venga modificata. La normativa italiana sulla cittadinanza è troppo restrittiva.

D: Mi sembra importante riprendere il dato dei ricongiungimenti familiari. Quello che lei afferma significa un aumento delle famiglie e di una stabilizzazione maggiore?

R: Questo forse è il segno più caratterizzante insieme all’incidenza sul mondo lavorativo perché un tempo cioè agli inizi degli anni ’90, arrivavano immigrati molto giovani, spesso celibi, se sposati senza la famiglia. Se calcoliamo le percentuali attuali delle persone coniugate con chi arrivava subito dopo la legge Martelli vediamo che c’è una differenza enorme. C’è stato un aumento dei coniugati del 20%, forse anche più, mentre i celibi sono diminuiti. Se si sta attenti ai segni e si interpreta in maniera corretta le statistiche, questo dato dice che l’immigrazione tende alla stabilizzazione. Laddove una persona porta il coniuge o chiama i figli significa che l’Italia non è un paese di passaggio, come erroneamente a volte si pensa, ma di inserimento. Questo fatto dovrebbe influenzare maggiormente sia le scelte politiche in campo nazionale sia gli amministratori locali che in generale credo siano più attenti perché l’immigrazione è un loro problema. Voglio dire che non lo sentono esterno, come a volte si sente nei discorsi politici un po’ vaghi. In altre parole un immigrato che lavora in una città appartiene a quella città, a quel luogo. Ho molta fiducia negli amministratori locali perché possono aiutare a dimostrare (a prescindere dallo schieramento politico) alla cittadinanza che l’immigrazione fa parte di noi, è una dimensione della società italiana di oggi, tanto più che è destinata ad aumentare. Su questo non ci sono dubbi perché tutti gli indici demografici ci dicono che l’andamento così negativo della popolazione italiana potrà trovare conforto solo su una robusta presenza di immigrati.
Quindi abituiamoci già da adesso a convivere con altri cittadini perché più si perde tempo e più sarà difficile. Secondo me la diffidenza deriva da una suggestiva perché ci mettono in testa tante idee di paura e non è un sentimento positivo. Con il panico non si vincono molte battaglie.

D: La legge sull’immigrazione Bossi Fini rischia di rendere irregolari anche quelle persone che sono in Italia da anni con un regolare permesso di soggiorno. Il peso di questa normativa restrittiva la ritroveremo nelle statistiche del prossimo anno?

R: Abbiamo detto più volte che, con il nostro umile spirito di “artigiani” nell’interpretare i dati, alla fine di conti non ci trovavamo d’accordo su alcuni punti della nuova legge. Non sempre si danno buone risposte quando c’è una paura infondata. Un immigrato non può venire a lavorare nelle fabbriche e poi non esistere. La legge non ha risposto a nulla di tutto questo.
Riprendendo gli spunti su cui ci siamo soffermati in questa intervista ovvero la tendenza all’inserimento stabile, il crescente bisogno del mercato occupazionale, sono tutte cose che si compongono male con la filosofia della precarietà che troviamo nel “contratto di soggiorno”. Il nostro paese ha un mercato del lavoro complesso dove i meccanismi pubblici del collocamento non sempre sono agevoli e darebbe un certo sollievo il meccanismo dello sponsor, cancellato con la nuova legge. Noi non diciamo che non esistono problemi però non si deve far finta di niente, bisogna parlarne e risolverli. Bisogna abbandonare il sentimento di paura dell’immigrazione, che comunque sarà parte costitutiva della società italiana, altrimenti non si andrà da nessuna parte.