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Sportello informativo e percorsi di mediazione culturale nelle carceri dell’Emilia Romagna

Intervista al Dott. Antonio Martelli, responsabile del progetto per la Regione Emilia Romagna

Domanda: Come nasce il progetto dello sportello informativo per detenuti stranieri e quali realtà coinvolge attualmente?

Risposta: Il progetto sullo sportello informativo e percorsi di mediazione culturale nasce da due esperienze sperimentali che si sono realizzate negli istituti penitenziari di Modena e Bologna a partire da un quadro oggettivo delle realtà che vede nella nostra regione ormai una percentuale di detenuti immigrati del 40 – 50% delle persone detenute. In seguito a questa sperimentazione con i Comuni e le sedi dei carceri si è deciso di trasferire questa esperienza sperimentale a tutti gli istituti penitenziari, in accordo con l’amministrazione penitenziaria dal momento che per uno sportello inserito dentro ad una struttura penitenziaria era necessaria anche la collaborazione della stessa.
E’ un progetto di rete, con la necessità di offrire dei percorsi di comunicazione nei confronti di queste persone, favorire l’accesso dei detenuti immigrati ai diritti previsti, facilitare l’accesso all’informazione, creare uno spazio di sostegno psico-sociale, creare una rete di supporto e accompagnamento durante il trattamento collegato all’esterno, fornire informazione in materia di documenti e contribuire ad alleggerire il clima comunicativo permettendo ai detenuti di parlare nella propria lingua con un operatore mediatore. Queste, molto sinteticamente, sono le linee principali su cui si sviluppa questo progetto sullo sportello informativo.

D: Quali sono gli interventi che realizza la Regione Emilia Romagna attraverso il vostro Assessorato?

R: Come Regione ci siamo chiaramente fatti carico di costruire questa rete attraverso il trasferimento delle risorse necessarie per garantire ai comuni il supporto a questa iniziativa. Il nostro compito principale – lasciando piena autonomia nello sviluppo delle iniziative dello sportello pur mantenendo sempre connotati omogenei per garantirne il carattere di rete – è stato quello di prevedere un gruppo di pilotaggio. Si tratta di un gruppo che coordina le attività di tutti sportelli, affronta le criticità che possono derivare dal funzionamento di questi sportelli dentro ad un’istituzione particolarmente chiusa come quella penitenziaria e garantisce anche un accompagnamento attraverso una serie di seminari come quello che abbiamo fatto il primo aprile, che servono a garantire una formazione mirata agli operatori che poi faranno concretamente funzionare questo sportello e che nella maggior parte dei casi sono operatori culturali. Ad esempio abbiamo fatto un seminario sulla Bossi-Fini e per il 2003 abbiamo in previsione altri 4 seminari su temi che sono stati rilevati dagli operatori come bisogni espressi dai detenuti, per esempio il rapporto tra il detenuto immigrato e il disagio psichico, il ruolo delle comunità degli immigrati nel percorso di inserimento nel tessuto sociale, la questione delle detenute immigrate e la comunicazione interculturale nella gestione dei processi informativi durante i colloqui. Il nostro ruolo è quindi incentrato soprattutto nel mantenere un carattere di unitarietà del progetto all’interno di un quadro in cui le situazioni dei vari istituti sono completamente diverse, se non altro per le dimensioni delle strutture e per le relative problematicità che queste determinano in termini di sovraffollamento o di rapporti tra i percorsi di reinserimento – che sono possibili in istituti penitenziari più piccoli ma sicuramente molto più complicati se non addirittura assenti negli istituti penitenziari più grandi come ad esempio quello di Bologna.

D: E’ possibile – tenendo conto di quanto ci ha appena detto sulla diversità degli istituti – fare una valutazione degli obiettivi quantitativi raggiunti?

R: Sì, è possibile perché già l’anno scorso abbiamo cercato di verificare l’impatto che un progetto così particolare ha finora avuto all’interno degli istituti penitenziari attraverso un questionario che è stato diffuso negli istituti ad una parte degli operatori penitenziari. Abbiamo cercato di monitorare l’impatto di questo progetto attraverso gli operatori penitenziari, gli educatori e i mediatori culturali. Si trattava di un questionario con una decina di domande aperte che tendevano alla comprensione di come è stata vista questa iniziativa dopo tre anni di operatività e come questa iniziativa ha interagito con le funzioni proprie del personale penitenziario. Devo dire che c’è stata una risposta statisticamente importante per noi: hanno risposto circa 400 operatori tenendo conto che noi abbiamo distribuito il questionario esclusivamente agli operatori che hanno potuto interagire con lo sportello. Quest’anno stiamo invece lavorando per avere l’altra fotografia, quella più importante, ovvero come è visto lo sportello da parte delle detenute e dei detenuti immigrati. Non sarà sicuramente un’operazione semplicissima, ma a quel punto avremo un risultato un po’ più reale. Fino ad adesso abbiamo un dato per noi molto significativo di circa 5000 colloqui sviluppati all’interno degli sportelli con i mediatori culturali e gli operatori dello sportello. Inoltre, a Bologna lo sportello informativo è diventato il veicolo dei servizi che il territorio fornisce su queste tematiche, ad esempio lo sportello nel carcere della Dozza è diventato il veicolo per altre attività quali la mediazione sanitaria o lo sportello informativo per il lavoro e per eventuali percorsi di reinserimento una volta fuori dal carcere.