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da Il Manifesto del 26 giugno 2003

Bambini pronti da espellere di Tiziana Barrucci

«Come si può rinchiudere un minore in un palazzo per sessanta giorni per poi rispedirlo da dove è arrivato senza chiedergli neanche cosa ne pensa parlando di rispetto del suo interesse superiore?». Non usa mezzi termini Elena Rozzi di Save the Children Italia quando le chiediamo degli accordi italiani con i paesi di provenienza a proposito di immigrazione giovanile. I soggetti in questione sono i cosiddetti «nanetti», i ragazzini tra gli otto e i quattordici anni che si aggirano per le strade delle nostre città spacciando o rubacchiando portafogli. Di loro non si sa molto: che arrivano da situazioni di grave disagio, che la maggior parte non vuole a nessun prezzo tornare nei paesi d’origine e che le stime sul loro conto sono difficili da stilare. Se il Comitato dei minori stranieri parla di 23.000 ragazzi tra il 2000 e il 2003, di cui 12.000 sono ormai maggiorenni, (circa l’80% proveniente dalla Romania, dal Marocco, dall’Albania e dall’ex Jugoslavia) la Caritas ne conta almeno il doppio, denunciando che i censimenti ufficiali vengono fatti soltanto sulle denuncie. L’accordo in questione invece – destinato a diventare un progetto pilota – è quello siglato tra i governi marocchino e rumeno con il comune di Torino e il ministero delle politiche sociali: «rimpatrio assistito dei minori vittime di sfruttamento». In sostanza, il ragazzo non accompagnato che si trovi su territorio italiano «a commettere un reato o per cui si renda necessario un intervento di protezione e tutela, viene segnalato al servizio di pronto intervento del comune e accompagnato in una struttura opportunamente individuata». Quindi vengono raccolte le informazioni per l’identificazione e «nel caso si ravvisi che tale intervento sia il più idoneo nell’interesse del minore», rimpatriato.

E’ categorico l’assessore alle politiche sociali di Torino Stefano Lepri quando assicura che «non si tratta di espulsioni, ma di reinserimento dei minori nel contesto familiare e sociale d’origine», ma le organizzazioni che lavorano con i minori sul territorio non sono d’accordo. Denunciano che nel testo dell’accordo non si parla di inchieste sociali che possano far veramente luce sulla situazione dei ragazzi e sulla loro famiglia. «I bambini che arrivano in Italia sono diversi – spiega Freddo Oliviero, direttore dell’ufficio migranti della Caritas – marocchini che arrivano per reti familiari o amicali, che scappano da istituti, zingari rumeni che scelgono di lasciare il loro ambiente o che vengono ceduti dalle famiglie. E’ importante che con tutti loro si dialoghi. Come si può pensare di lasciarli per sessanta giorni chiusi a chiave in una prigione? Peraltro spendendo 800 milioni di vecchie lire per otto posti».

La struttura in questione è quella di via Lassalle, a Porta Palazzo a Torino «un monito per i ragazzi e una forma di rassicurazione per i cittadini – rincara la dose Giovanni Amedura del Tavolo migranti nazionale – la manovra di questi giorni è solo una risposta agli episodi ripetuti di microcriminalità avvenuti soprattutto durante il periodo natalizio, non si può certo affermare che abbia qualcosa a che fare con il bene di quei giovani. Tanto più che questi ultimi nella maggior parte dei casi verrebbero reimpatriati e affidati in strutture d’accoglienza dove probabilmente non avrebbero gli stessi diritti che hanno da noi». E in effetti è lo stesso Lepri che ammette: «Negli ultimi anni la voce di bilancio dedicata all’assistenza dei minori non accompagnati è stata cospicua, ma non può essere questa l’unica soluzione. Abbiamo anche una forma di responsabilità nei confronti dei cittadini, soprattutto verso le fasce deboli che richiedono maggiore sicurezza».

Una voce di dissenso arriva pure dalle associazioni che lavorano con i minori nei paesi d’origine. Franco Aloisi, di Parada, organizzazione non governativa nota per il suo lavoro con i bambini delle strade di Bucarest ricorda: «Perché da nessuna parte si fa riferimento all’assenso del minore? Tanto più che molti giovani partono da diverse regioni della Romania in maniera consapevole e senza nessuna intenzione di tornare. E come si può pensare che i bambini rimpatriati tornino nelle loro famiglie se molti di loro partono scappando da istituti o addirittura dalla strada? L’esperienza francese, vale a dire l’intesa firmata tra governo rumeno e di Parigi fino ad ora ha semplicemente dimostrato che questi ragazzi una volta tornati nelle loro città tornano anche alla loro vecchia vita. Visto che tra l’altro ben poco si fa invece contro gli adulti che sulle loro teste speculano».