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da Il Manifesto del 2 settembre 2003

Diritto d’asilo, ma in gabbia di Luca Tomassini

In Olanda centri di detenzione per migranti sempre più grandi, anche per bambini

Si fa sempre più caldo in Olanda il clima politico sulla delicata questione della gestione delle richieste di asilo e dei diritti dei rifugiati. E l’approvazione sabato scorso di un provvedimento ad hoc del Parlamento che concederà a circa 2200 persone un permesso di soggiorno di cinque anni appare nel migliore dei casi un palliativo. Si tratta di «witte illegalen», individui da anni in attesa di una decisione sul loro destino. Le loro condizioni erano state portate sotto i riflettori nel mese di maggio da uno sciopero della fame di una ventina di immigrati di origine marocchina ad Amsterdam, interrotto dopo l’intervento del sindaco Job Cohen. Ma durante la scorsa settimana le cronache dei principali quotidiani erano dedicate al problema dei minorenni in attesa di espulsione e internati in due campi di detenzione a Vught e Deelen, nella parte centrale del paese. Quindici giorni fa si era infatti svolta una azione di una sessantina di attivisti in tuta bianca che, arrivati a bordo di due autobus, avevano smantellato le recinzioni per poi sparire all’arrivo della polizia.

I due campi sono un «esperimento» ispirato a un metodo di origine statunitense per il recupero di giovani criminali e saranno oggetto di una valutazione tra circa un mese.

Fino ad oggi i risultati ottenuti sono stati innumerevoli tentativi di suicidio e atti di autolesionismo e a Deelen un incendio doloso e una maxirissa con il personale che oramai accede ai campi solo protetto da guardie a loro volta protette da cani dopo le dieci di sera.

Ma è veramente dell’Olanda che stiamo parlando? Purtroppo sì, di un’Olanda finalmente in linea con la nuova Europa e le sue politiche dell’immigrazione, dove il folgorante e tragico successo del defunto Pim Fortuyn e della sua retorica antistranieri (e antiaraba in particolare) ha posto al centro della politica nazionale quel quotidiano razzismo, quell’ossessione securitaria che in Italia conosciamo così bene. Per lungo tempo prevedibilmente, anche causa della subalternità della sinistra alle presunte inviolabili leggi del mercato elettorale – se è vero che persino i GroenLinks (i verdi locali) e il Socialistische Partei (la Rifondazione olandese) si sono distinti per il loro silenzio sull’argomento mentre attendibili sondaggi mostrano come circa due terzi della popolazione ritenga che le politiche dell’immigrazione debbano essere rese più umane.

I «successi» della mano dura sono comunque innegabili: per tornare al caso delle richieste d’asilo di minorenni, si è passati dalle 6705 del 2000 (circa il 18% delle complessive 43895) alle 3233 del 2002, con un’incidenza sul dato generale scesa al 17%. Un’efficacia resa ancora più micidiale dal fatto che, sempre nel 2002, solo il 12% delle domande portava alla concessione di un permesso di soggiorno provvisorio per ulteriori approfondimenti.

Sarebbe comunque un errore ritenere che tutto sia frutto esclusivamente della recente svolta a destra del paese: le basi legislative delle attuali politiche sono state gettate durante il secondo mandato del governo del socialdemocratico Wim Kok, tanto apprezzato da molti riformisti nostrani. Protagonista del giro di vite è stato proprio Job Cohen, allora sottosegretario alla giustizia e estensore della nuova legge sull’immigrazione entrata in vigore nell’aprile del 2001. La parola rifugiato veniva definitivamente cancellata (e così indebolito il riferimento al relativo Trattato di Ginevra) ma il pezzo forte della norma era l’istituzione degli Aanmeld Centra, uffici gestiti dal Servizio immigrazione e naturalizzazione (Ind, dipendente dal ministero della giustizia) dove ogni richiesta d’asilo deve essere evasa nel giro di… 48 ore. Risultato, in circa due ore un impiegato decide sulla fondatezza di una domanda magari affidandosi ad una apposita lista di paesi a rischio che oggi non include neanche Afghanistan e Iraq del Nord.

La storia degli ultimi due anni, infine, è quella dell’estensione della pratica dell’internamento nei centri di detenzione. Oltre ai già citati casi di Deelen e Vught e al campo di Ter Apel (aperto nel 1996), la svolta è stato lo stanziamento nel 2002 di 13,5 milioni di euro da parte dell’ex ministro dell’immigrazione Hilbrand Nawijn (Lista Pim Fortuyn) per la costruzione di vere e proprie piccole carceri (600 celle ciascuna) oramai operative presso gli aeroporti di Schiphol e Zestienhoven. Si tratta, è facile immaginarlo, di siti strategici e il ritmo delle espulsioni è così intenso che i voli di Klm e Martinair appositamente previsti nelle ore serali non sono più sufficienti. Aerei militari sono già stati più volte utilizzati e lo zelante direttore dell’Ind, Dick Schoof, ha annunciato che presto decolleranno direttamente da basi dell’esercito.