Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Emilia-Romagna – Un approfondimento sulla proposta di legge regionale sull’immigrazione

Intervista all’Assessore alle Politiche Sociali e Immigrazione Gianluca Borghi e all’Avvocata Marina Prosperi

Approfondiamo alcuni punti enunciati nel testo della proposta di legge con
l’Assessore regionale alle Politiche Sociali e Immigrazione Gianluca Borghi.

Domanda: Nel testo della legge sono contenute disposizioni atte a promuovere e favorire le politiche di accoglienza e integrazione di competenza di Comuni e Province, ma non a determinarle direttamente. Ma quali strumenti contiene la legge per intervenire su politiche locali carenti in tema di tutele e servizi per gli stranieri impedendo che nel nostro territorio regionale si presentino situazioni disomogenee?

Risposta: Il tentativo di questo progetto che diventerà legge – perché c’è un accordo politico della maggioranza – è proprio quello di rendere concreta e di agire una nuova dimensione di politiche – sociali, abitative, associative – in grado di rappresentare per tutti gli enti locali dell’Emilia-Romagna un riferimento che noi riteniamo cogente. Per rispondere alla sua domanda, noi non abbiamo la gestione diretta degli interventi nemmeno in questo ambito, ma rimane un ruolo forte della Regione per andare a definire nuovi strumenti, nuove modalità di promozione degli interventi. In tal senso ci sembra che lavorare per accrescere sensibilizzazione e informazione sulle problematiche dell’immigrazione, promuovere conoscenza, sostenere iniziative volte a mantenere i legami dei cittadini stranieri immigrati con le culture e i paesi di origine, lavorare con misure contro la discriminazione, per contrastarne ogni forma e ogni pratica dell’esclusione, rappresenti nel quadro nazionale un’inedita assunzione di responsabilità da parte della Regione nel quadro delle competenze che ci sono date e che in alcune misure debbono però integrarsi con competenze assolutamente statali, così come confermato dalla pessima legge sull’immigrazione Bossi-Fini che noi in ogni modo abbiamo tentato di contrastare.

Domanda: Parliamo di partecipazione politica. Come mai si ripropone come innovativo il modello della Consulta, un’ esperienza nel segno di altre già sperimentate in Emilia-Romagna e di cui i rappresentanti stessi hanno ammesso i limiti? Perché non ci sono indicazioni per lo sviluppo di nuove ipotesi di partecipazione diretta alla vita pubblica approfittando anche per dare dei segnali specifici rispetto al diritto di voto?

Risposta: Concordo pienamente con la sua analisi sul fallimento delle pratiche delle esperienze di Consulta. Questo fallimento ha molte cause e io ne individuo almeno tre. In primo luogo la scarsa attenzione che questa istituzione ha dato alla Consulta precedentemente costituita e poi fallita; in secondo luogo il fatto che vi fosse in Emilia-Romagna una Consulta per affrontare i problemi sia della immigrazione che della emigrazione – mettendo dunque in relazione contesti ormai assolutamente incompatibili ed insostenibili in quanto le problematiche legate alla presenza di cittadini emiliano-romagnoli oggi in Cile e in Argentina non sono in nessun modo assimilabili a quelli dei cittadini stranieri presenti in Emilia-Romagna; e infine la difficoltà che i cittadini stranieri stessi hanno avuto nell’essere parte propositiva di questo strumento con alcuni vizi già in origine. Noi ci riproviamo forti di questa consapevolezza, con la diretta responsabilità politica della giunta sulla Consulta, con l’apertura ad organizzazioni sindacali e di impresa, oltre ovviamente ad una rappresentanza vasta e territorialmente comprensiva di tutte le istanze dei cittadini stranieri. Tuttavia la giunta, nell’ultimo esame del testo approvato e che oggi è all’approvazione della commissione, ha fatto qualcosa di significativo rispetto al diritto di voto, riaffermando il diritto di ciascuno di partecipare alla formazione delle leggi. Si tratta di un principio politico che noi riaffermiamo. Noi abbiamo scritto nel testo di legge che la Regione andrà a sostenere iniziative che Comuni e Province andranno a intraprendere per favorire la partecipazione diretta dei cittadini stranieri alle istituzioni. In altre parole, le pratiche di consigliere aggiunto, le pratiche di elezione di consigli comunali o provinciali di cittadini stranieri – l’ultimo caso felicemente risoltosi è quello di Rimini dove il 25% dei cittadini stranieri si è dato una propria rappresentanza parallela a quella del Consiglio provinciale – noi andremo allora concretamente a sostenere queste istanze. Ma non solo, il tema del diritto di voto non è nelle nostre mani, costituzionalmente spetta al parlamento legiferare, c’è un accordo di maggioranza tale per cui durante il confronto sulla legge si andrà ad assumere una posizione da esprimere al governo e al parlamento. Con forza noi faremo questa richiesta. Inoltre, all’interno della discussione dello statuto regionale noi stiamo valutando la possibilità di ampliare le nostre competenze il più possibile e quindi riuscire a prevedere per i consigli di circoscrizionali, per i referendum o alla definizione di proposte di legge di iniziativa popolare regionali anche ai cittadini stranieri residenti. Faremo tutto quello che è nelle nostre mani.

Domanda: Venendo invece alla formazione e orientamento professionale, nel testo è scritto che la legge intende promuovere e favorire iniziative per l’acquisizione di competenze e professionalità, anche nei Paesi di origine, “congruenti alla domanda del mercato del lavoro” – questa è la dicitura.
Cosa intende fare in tal senso la legge per evitare che orientamento e formazione contribuiscano all’attuale etnicizzazione del lavoro per cui gli immigrati svolgono solo ed esclusivamente lavori manuali e di cura?

Risposta: Il richiamo alla legge Turco Napoletano, e quindi la previsione della promozione di programmi per l’attività di formazione nei paesi di origine è dato anche dall’osservazione che lei ha fatto. Attualmente la realtà è quella che ha ora descritto, in particolare il lavoro di cura è sostitutivo, spesso agito in condizioni che non appartengono ad un contesto certo nel quale siano state acquisite competenze. Ciò detto noi non andremo a chiedere a questo o ad altri governi una diretta coerenza tra collocazione professionale, provenienza e percorso formativo di ogni cittadino straniero che avrà la possibilità attraverso il permesso di raggiungere il nostro paese, coerenza che, devo dire, sempre più frequentemente le categorie produttive ci stanno invece domandando. Per quanto ci riguarda, nella legge c’è la volontà di favorire un raccordo con gli interventi previsti rispetto alla formazione professionale e che a 360 gradi possano promuovere opportunità per i cittadini che anche privi di un titolo professionale possano nel corso del tempo, data l’acquisizione della cittadinanza, lavorare in Emilia-Romagna.

Domanda: Ma rispetto ad esempio a quei cittadini stranieri immigrati che già hanno competenze e titoli di studio, è possibile arrivare ad un’equiparazione di tali titoli?

Risposta: Questo è un tema sul quale si sta dibattendo da tantissimo. Ci sono competenze regionali che intersecano anche in questo caso competenza nazionali. Già si è fatto un ragionamento su questo, faremo di tutto per consentire la valorizzazione dei percorso nei paesi di origine e quindi il conoscimento delle competenze. Faremo di tutto. Quello che questa legge tenterà di favorire rispetto ad una nuova dimensione dell’integrazione e delle politiche abitative e della formazione professionale con l’aspetto delle politiche sociali potrà rappresentare uno strumento. Abbiamo scritto a quattro mani con l’Assessorato competente la parte riguardante la formazione professionale, da parte nostra c’è la volontà politica di andare in quella direzione, stante fermo il punto che non sempre è nelle competenze della Regione la possibilità di andare in questa direzione. Una volta approvata la legge approfondiremo il tema e faremo di tutto per poter andare in quella direzione.

Domanda: Infine un tema che riteniamo emblematico rispetto alla realtà dell’immigrazione nella nostra Regione. Come ritiene possibile che una legge che parla di tutele, di diritti di cittadinanza, di percorsi di accoglienza e integrazione conviva nello stesso territorio con ben due strutture dove i migranti trovano invece la sistematica violazione di tutto ciò? Come intende agire concretamente la Regione Emilia-Romagna rispetto all’esistenza di due CPT nel suo territorio?

Risposta: Divido in due parti la mia risposta. La prima parte è politica, la seconda sia politica che istituzionale. Io faccio parte di una forza politica – i Verdi – che a suo tempo aveva espresso e tuttora continua ad esprimere fortissime perplessità per quella parte della legge Turco-Napolitano che andò ad istituire i Centri di Permanenza Temporanea. Sulla base dell’esperienza di quanto è accaduto a Modena e Bologna mi sono rafforzato in questi mesi di quella convinzione. Dal punto di vista delle me competenze ho lavorato insieme al Presidente di questa Regione e con il precedente Prefetto di Bologna per andare a costituire insieme ad un gruppo di giuristi un osservatorio sui diritti nel Cpt. Nel corso di questi ormai nove mesi non abbiamo ricevuto alcuna risposta dal Ministero degli Interni. La nostra proposta era chiarissima: non possiamo tollerare che nella regione siano violati i diritti in nessuna realtà e in nessuna condizione. Non è andata così e anche di recente il Presidente della Regione è tornato a ribadire questa richiesta. Ciò detto, la questione non è nelle nostre competenze, ma non me la cavo con così poco e faremo di tutto, anche dal punto di vista istituzionale, perché queste risposte siano invece date. Non sarebbe stato realistico né sensato che la Giunta e il Consiglio o la Legge andassero ad esprimersi su un tema che in tutta evidenza è di sola competenza statale. Ciò detto, come accaduto in consiglio regionale e come suppongo accadrà ancora, rimane un mio giudizio – condiviso da buona parte delle forze di maggioranza che governano la nostra regione – assolutamente negativo. Continueremo a lavorare affinché questa situazione
cambi.
Domanda: Anche perché risulta difficile garantire gli interventi previsti da questa legge ai profughi di guerra o ai perseguitati politici, spessissimo rinchiusi nei CPT perché non hanno avuto la possibilità di avviare le procedure di richiesta d’asilo.

Risposta: Sono d’accordissimo. Quando verrà approvata questa legge avremo uno strumento nuovo ed inedito sufficientemente forte non per imporre, ma per richiedere con ancora maggior autorevolezza quanto fino ad oggi ci è stato negato da questo pessimo governo.

All’avvocata Marina Prosperi dei Giuristi Democratici, che da lungo tempo si occupa di diritto e immigrazione, abbiamo chiesto quali sono a suo avviso i punti di maggiore criticità di questa proposta di legge.

Risposta: Come ho avuto modo di dire in altri convegni a cui ho partecipato a Bologna, questa proposta di legge è abbastanza importante in quanto manifesta una serie di ottime intenzioni racchiuse in alcuni obiettivi che la legge si propone di realizzare. Per quanto riguarda l’enucleazione dei principi, a cui il provvedimento cerca di essere conseguente, direi che sono assolutamente condivisibili e in linea con le indicazioni date da associazioni e da coloro che si occupano di questioni legate all’immigrazione. Il problema riguarda invece la concretezza, la reale fattibilità di quelli che sono gli obiettivi. Uno dei punti di criticità è proprio questo: dal punto di vista degli intenti la proposta di legge è ottima, mentre da un punto di vista di fattibilità degli stessi e di risorse e possibilità di metterli in esecuzione alla luce di un panorama restrittivo come la Bossi-Fini, la proposta di legge mi sembra discutibile. In particolare per quanto riguarda il principio che permette la realizzazione della libertà da sfruttamento in ambito lavorativo e il principio che sancisce il diritto ad una sistemazione dignitosa. Inoltre, un aspetto diverso da quelli che ho menzionato fin qui e che non condivido sono le premesse, ovvero la parte della relazione introduttiva alla legge, dove si presenta una sintesi delle attività svolte in Emilia Romagna in relazione alla situazione dell’immigrazione nella regione. Non le condivido perché pare che gli enti locali abbiamo fornito di loro spontanea avolontà una prima accoglienza; ciò è un fatto decisamente antistorico che collide con quelle che sono state le politiche degli enti locali in materia di immigrazione. Infatti ricordo che almeno a Bologna tutti i centri di prima accoglienza sono stati il prodotto di lotte ed occupazioni da parte di immigrati. L’intervento delle istituzioni è venuto a posteriori e non certo sulla base di una politica ragionata da parte degli enti locali. Credo che per quanto riguarda la ricostruzione del fenomeno ci sarebbe voluta una maggior attenzione a quella che è stata in tutti questi anni l’esperienza svolta dagli immigrati e dalle associazioni di immigrati.

Domanda: Rispetto invece al diritto d’asilo, la legge si impegna a garantire diritti e tutele ai richiedenti asilo. Credi sia possibile garantire questi diritti in assenza di una legislazione nazionale sul diritto d’asilo e di criteri e parametri certi per la valutazione delle domande?
Come valuti dunque questo capitolo nella proposta di legge?

Risposta: E’ vero che in Italia non esiste una legge che regolamenta l’esercizio del diritto d’asilo. Esiste tuttavia una norma di carattere costituzionale che riconosce questo diritto che ha dunque una sua fonte in un testo legislativo con una portata importante perché è l’architrave su cui si regge tutta la produzione legislativa successiva. E’ vero che la mancanza di una legge rende talvolta arbitrario il riconoscimento o meno del diritto d’asilo, in quanto non vengono previsti criteri in base al quale lo Stato procede verso il riconoscimento di questo diritto. Da questo punto di vista la Regione non può che scontare questa contraddizione di fondo. Infatti la Regione può impegnarsi solamente a sostenere economicamente la posizione dei richiedenti asilo e di coloro ai quali viene riconosciuto questo status, ma sicuramente nulla può rispetto ai criteri in base al qale l’asilo viene riconosciuto. Il capitolo della legge contiene comunque una posizione che io ritengo sia da sostenere poiché secondo la Bossi-Fini al momento della presentazione della domanda i richiedenti asilo sono obbligati a rimanere nei centri di permanenza temporanea in quanto un loro allontanamento verrebbe interpretato come rinuncia alla domanda, secondo l’interpretazione letterale della legge. Pertanto la proposta di legge che si impegna ad offrire una copertura finanziaria dei bisogni di chi si trova in questa condizione è da considerarsi come un’alternativa rispetto alla permanenza obbligata nei CPT. Da questo punto di vista l’intenzione della Regione è a mio avviso encomiabile. Sotto il profilo generale, è a mio avviso difficile che con una legge regionale si possano colmare delle lacune lasciate, non casualmente, da una legge dello Stato. C’è il rifiuto di occuparsi di una questione così importante perché naturalmente il riconoscimento del diritto d’asilo e la sua stessa definizione verrebbero in qualche modo ad aprire la possibilità d’ingresso a decine di migliaia di persone e ad inserire non solo la definizione di rifugiato politico ma anche quella – imprescindibile – di rifugiato economico. In questo modo si aprirebbe la questione degli ingressi rispetto agli accordi di Schengen. Fino a quando non ci saranno normative attuative della Bossi-Fini in relazione alla necessità di permanenza all’interno dei CPT per i richiedenti asilo, per gli enti locali è quasi un obbligo procedere a forme di tutela per coloro che chiedono di esercitare questo diritto.