Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 23 settembre

Niente asilo agli oppositori africani di Ornella Bellucci

A Bari un gruppo di congolesi rischia la deportazione immediata nelle mani del regime che li vuole morti

La commissione centrale per il riconoscimento del diritto d’asilo non fa sconti. Stessa prassi per tutti: dieci, quindici minuti di audizione e risoluzioni lampo per centinaia di esistenze in cerca di salvezza. Puoi scriverci il nome del tuo partito? Come continuerai a combattere il governo di Kabila? A queste domande hanno risposto anche Roger Shamba, Mangoyo Ngoma, Guylain Matiti, Alphonse Kamba e Blaise Muzinga, militanti del Movimento di resistenza del popolo congolese, autodenunciatisi appena entrati in Italia ed ora detenuti nel cpt Regina Pacis di San Foca in attesa di espulsione: oggi inizierà la discussione sul loro ricorso. A loro infatti il visto è stato negato, nonostante la stessa commissione, lo stesso giorno, lo abbia accordato a tre loro connazionali tra cui Benoit Mukenga, segretario generale del Mprc: il quale ha sottoscritto una dichiarazione, ora agli atti, che attesta il rischio di uccisione che corrono i suoi compagni se rimpatriati. Roger Shamba fino a qualche mese fa insegnava matematica e fisica in una scuola media di Kinshasa. E’ entrato nel Mprc dopo il colpo di stato di Joseph Kabila del 16 gennaio 2001; per il movimento si occupava di comunicazioni. Ma è stato accusato di cospirare per il rovesciamento del governo. Crimine capitale per Kabila, che ha ordinato ai servizi di sicurezza di ucciderlo, come ha già fatto con Justine Tshibaka, presidente regionale del movimento. Così Roger si è rifugiato prima nel Congo Brazzaville e poi, dopo un lungo viaggio, in Italia: da dove sarà espulso e consegnato alle autorità congolesi. Il suo interrogatorio, avvenuto nella roulottopoli di Bari Palese dove con i suoi compagni è stato trattenuto per qualche giorno, è durato 10 minuti. Era presente un legale del Cir e un interprete di lingua francese.

Ngoma Mangoyo, originario di Boma, ha 31 anni. A 14 ha cominciato a lavorare in una bottega tessile a Kinshasa. Sua moglie è morta d’infarto durante una delle incursioni delle truppe di Kabila. A pesare sulla vicenda di Ngoma, i segni delle torture subite già nel `97 dai militari che hanno fatto irruzione nella sua abitazione in cerca del padre, seguace di Mobutu. Gli sono state procurate profonde ferite da taglio: oggi cammina grazie a delle protesi. Nel `99, quando si è trasferito a Baduliti, si è trovato nel mezzo dei combattimenti tra le milizie di Mobutu e quelle di Bemba. Conquistata la città, gli uomini di Bemba hanno fatto una strage. Sotto i nuovi occupanti Ngoma seppelliva i morti. Nel 2002 riuscì a fuggire dirigendosi prima verso il Ciad e poi verso la Libia, e da lì in Italia. Trattenuto nel centro di Bari Palese, è stato interrogato dalla commissione centrale che ha rigettato la sua richiesta. Ora è detenuto nel cpt Regina Pacis in attesa di espulsione. Ma la stessa dirigenza del centro ha rilevato, come conferma il referto della Asl, «l’incompatibilità del soggetto con la struttura».

Matiti Guylain, anche lui congolese, ha 21 anni. Fuggito all’assalto delle truppe ruandesi, nel `98 si rifugia a Kinshasa, guadagnandosi da vivere suonando nei locali. Nel 2002 è arrestato dalla polizia poiché i testi delle sue canzoni invocano la pace. Detenuto per mesi in una cella inumana, durante l’ora d’aria riesce a evadere. Raggiunge prima il Sudan, poi la Libia e infine l’Italia. Anche per lui c’è il diniego della commissione e il trasferimento al Regina Pacis. Se rimpatriato, sarà giustiziato dal regime.

Alphonse Kamba è del `78. Fino a 5 anni fa viveva a Kinshasa dove lavorava in un allevamento di polli. Sostenitore del Mrpc, è ricercato dai militari per attività di propaganda. Anche nel suo caso la richiesta è stata rigettata ed è stato emanato un decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera.

Blaise Muzinga ha 29 anni. A Kinshasa lavorava come falegname. Viene arrestato nel 2001. Dal carcere fugge grazie all’aiuto di un prete; raggiunge Brazzaville e da lì il Benin. Dopo un soggiorno di 4 mesi raggiunge prima il Niger, poi la Libia e infine l’Italia. Per lui l’interrogatorio davanti alla commissione è durato 30 minuti perché l’interprete non parlava correttamente il francese.

A questi casi si aggiunge quello di un giovane ghanese, Abubakar Osman, giunto in giugno a Bari Palese con evidenti segni di torture; presenta subito richiesta d’asilo ma il 31 luglio la commissione gli notifica il decreto di espulsione. L’ambasciata del Ghana, dal canto suo, ha riconosciuto Abubakar presentando un certificato d’identità alla questura di Bari e accettandone il rimpatrio. Ma il caso presenta una gravissima anomalia: il documento dell’ambasciata è datato 25 luglio 2003, cioè un giorno precedente a quello della notifica del diniego. Ciò significa che ad Osman non è stato garantito il diritto di tutela, né la commissione ha richiesto un referto medico che accertasse le torture subite, poi comprovate dalla Asl di Lecce.

Su tutti questi casi Mauro Bulgarelli, deputato verde, interroga il ministro degli interni. Ai 5 congolesi non è stato riconosciuto quel diritto d’asilo che invece è stato accordato ai loro compagni. Nel caso del ghanese chiede invece come mai il riconoscimento sia stato anticipato e le torture non accertate. Su tutte queste vicende grava inoltre la pratica sbrigativa delle audizioni flash.

Dall’inizio della guerra, nel ’98, in Congo sono morte tre milioni di persone. Due milioni sono state sradicate dalle loro case, altre 400mila hanno abbandonato il paese. Ma la commissione queste tragedie continua a valutarle in dieci minuti.