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Bologna – Bidonville a Borgo Panigale

Intervista al Dott. Antonio Curti dell'associazione di medici volontari Sokos

Carabinieri e polizia municipale hanno compiuto una retata sul Lungo Reno, in zona Borgo Panigale a Bologna.
L’accampamento di cartoni dove dormiva una comunità di rumeni è stato completamente distrutto. Sono circa 30 le persone prese, tra cui 6 donne e un ragazzo minorenne. 12 di loro sono stati rinchiusi nel CPT di Bologna, da cui sono stati subito rimpatriati.
Si tratta di un’operazione identica a quella di un anno fa, quando venne distrutta la baraccopoli lungo il fiume Reno dove vivevano i rumeni che hanno poi occupato lo Scalo Internazionale Migranti di Via Casarini, dove tuttora abitano senza luce e riscaldamento.

Ancora una volta sono state le ruspe e le forze dell’ordine ad occuparsi di una questione umanitaria, che ha come protagonisti donne e uomini che lavorano nei nostri cantieri e nelle nostre industrie, e che la legge Bossi Fini considera clandestini. Sono lavoratori invisibili, pagati a giornata per pochi euro all’ora, accettano condizioni lavorative di sfruttamento e condizioni di vita disumane perché sono considerati illegali. Restano nell’ombra e nel silenzio per non essere rispediti nei propri paesi, da cui sono scappati per sfuggire a miseria e disperazione.

Contemporaneamente, il rapporto dell’Agenzia Habitat delle Nazioni Unite
denuncia l’aumento del numero delle persone che nel mondo vivono in slums: quasi il 32% della popolazione mondiale vive in favelas, bidonville e baraccopoli.
La legge Bossi Fini si conferma così come uno strumento di ricatto che non solo favorisce il lavoro clandestino, ma che a Bologna ha inciso favorevolmente sull’introduzione del caporalato e sullo sviluppo di vere e proprie bidonville.

L’unità mobile dei medici dell’associazione Sokos si è più volte recata negli insediamenti lungo il Reno, e ha potuto vedere le situazioni descritte nell’intervista.

Domanda: Come si spiega la consolidata concentrazione di persone di nazionalità rumena in questa zona?

Risposta: E’ da circa due anni che lungo il fiume Reno tendono a concentrarsi persone di nazionalità rumena. Questo lascia pensare che qui sia più facile l’accesso in nero per lavoratori rumeni ai cantieri edili della zona e del territorio bolognese. Anche gran parte dei rumeni che sono stati sgomberati recentemente erano manovali edili impiegati in nero nel bolognese. Si possono dare anche altre spiegazioni: alcuni antropologi sostengono che i rumeni delle classi sociali più basse sono abituati nel proprio paese d’origine a vivere sotto la superficie del suolo e dunque sono maggiormente adattabili a vivere in condizioni simili a quelle sul lungo Reno. Personalmente posso dire che i rumeni lamentavano una condizione di estremo disagio e precarietà nel proprio paese d’origine.

D: C’erano sia uomini che donne?

R: Abbiamo incontrato prevalentemente uomini tra i 20 e i 30 anni, ma c’erano anche alcune donne, alcuni ragazzini, un bambino di due mesi, una donna incinta e alcune persone sui 50-60 anni. Tra le persone che si erano sistemate lungo il fiume ce n’erano anche alcune provenienti da uno stabile lungamente occupato nella stessa zona di Borgo Panigale e sgomberato lo scorso anno. Gli abitanti avevano raggiunto un accordo con il proprietario a cui pagavano un affitto e, avendo raggiunto una situazione di relativa stabilità, erano stati raggiunti da mogli e figli; si era così creato un nucleo di famiglie che Sokos aveva seguito lo scorso anno e che ha poi ritrovato sul fiume a costruire la propria piccola baracca.

D: Difficile dire dove siano adesso queste famiglie.

R: Il fiume Reno è una zona dove si alternano sgomberi a ripopolamenti, è una situazione di estrema provvisorietà e di assenza totale di progetto. Eccetto il gruppo delle famiglie, queste persone sono appena arrivate e aspettano il freddo per decidere se ritornare in Romania e poi tornare sul fiume Reno nel periodo primaverile ed estivo.

D: In quali condizioni vivevano queste persone?

R: Vivono in condizioni di estrema difficoltà e disagio, in “baracchine” – così le chiamano loro – costruite con legno o lamiera, o solo con tende. Prendono l’acqua potabile alle fontane del parco o da alcuni tubi nelle vicinanze. Si tratta di piccoli agglomerati di baracche separati e indipendenti l’uno dall’altro dove vive circa una ventina di persone, raggruppate per famiglie e per conoscenze. Vengono quasi tutti da una città di nome Krajova, dove sembra quasi che non sia rimasto più nessuno dal momento che tutti i rumeni che abbiamo incontrato vengono da questa stessa zona. Una libertà forzata che porta le persone ad andare e venire attraverso le frontiere per vivere in condizioni di invisibilità totale lungo il fiume dove è possibile nascondersi e mimetizzarsi grazie alla vegetazione di alti canneti. Ci sono poi delle discariche dove le persone con i propri materassi si riparano cercando di confondersi tra i rifiuti. Una situazione drammatica.

D: Siamo di fronte a condizioni di vita di terzo mondo metropolitano che immagino non si incontrino solo a Borgo Panigale.

R: Ci sono sicuramente altre situazioni simili, che sono però difficili da individuare per la paura che queste persone hanno di essere scoperte e rimpatriate violentemente. Per queste ragioni si nascondono in luoghi impervi. Spesso sono solo cunicoli, abbiamo visto rifugi sotto i binari delle ferrovie o in luoghi dove sarebbe impossibile pensare che qualcuno possa vivere. A Milano, dove tali condizioni di vita sono note da molto tempo, ci sono grandi agglomerati nelle aree dismesse della città dove ci sono persone di molte nazionalità.

D: Si possono fare analogie sul recente rapporto dell’Onu e quanto hai descritto?

R: Questo rapporto ha messo in evidenza come negli ultimi dieci anni sia sensibilmente aumentato nel mondo il numero delle persone che vive in baraccopoli, bidonville e favelas. Anche in Italia queste realtà si ascrivono al grande numero delle persone che nel mondo vivono in condizioni di baraccopoli. Interessante a tal riguardo la posizione del Questore di Milano, città dove i grandissimi insediamenti abitativi di immigrati sono stati progressivamente smantellati a mezzo sgombero per ridurne le dimensioni. Il Questore di
Milano ha denunciato l’inutilità di questa politica che anche da un punto di vista legalitario e securitario non conduce a esiti positivi.

Anche nelle nostre città si apre la questione delle aree dismesse dove le persone vivono in situazioni di emergenza igienica ed umanitaria. Con la politica dello sgombero queste situazioni aumenteranno invece di diminuire, in linea con l’andamento mondiale segnalato dal rapporto Onu.