Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 23 ottobre2003

La Lega sotto processo a Verona. Per razzismo

di Paola Bonatelli e Giovanna Bousier

Riprende stamattina a Verona il processo che vede imputati per «istigazione all’odio razziale» sei esponenti della Lega Nord scaligera, tra cui Flavio Tosi, consigliere comunale e regionale ed ex-segretario provinciale. I sei – tutti variamente coinvolti nelle istituzioni locali – erano presenti alla conferenza stampa in cui la Lega lanciò, nell’estate 2001, una raccolta di firme per cacciare gli zingari dalla città. Obiettivo, i sinti veronesi – tra cui moltissime donne e bambini – che la giunta di centro-destra aveva costretto a vagare da un parcheggio all’altro per tutta quell’assolata estate dopo svariati sgomberi, di cui uno a suon di spintoni. La comunità aveva trovato infine rifugio in un piazzale concesso dal presidente della 6a circoscrizione Luigi Fresco (centro-sinistra), per tornare poi, con la nuova amministrazione, nel luogo da cui erano stati sgomberati (un parcheggio nei pressi dello stadio). L’inchiesta, avviata grazie ad un esposto presentato dalle associazioni antirazziste cittadine e condotta dal procuratore Guido Papalìa, ha un risvolto d’eccezione: è stata infatti accolta la costituzione di parte civile dei sinti veronesi e dell’Opera Nomadi, presentata dai tre giovani avvocati Enrico Varali, Paola Malavolta e Federica Panizzo. Una vittoria civile che, oltre a «fare giurisprudenza», ha scosso l’opinione pubblica anche perché i leghisti sono difesi da Pietro Longo, dello studio padovano di cui è cliente il presidente del consiglio. Oggi l’udienza è dedicata all’audizione dei testi della procura, mentre le udienze successive sono fissate per la settimana prossima, il 28 e 30 ottobre.

Un processo importante, quindi, non foss’altro per il fatto che una forza politica al governo nel nostro paese viene – ed è forse la prima volta – accusata esplicitamente di razzismo e che tra le parti civili sono compresi anche quelli normalmente rappresentati da altri, i sinti. Questa volta tutti prenderanno la parola in un’aula di un tribunale italiano, anche se la Lega, attraverso i suoi avvocati, potrebbe chiedere di avvalersi (e gira voce che lo farà) della legge sul patteggiamento allargato varata l’estate scorsa – e far slittare così l’udienza di un mese e mezzo.

L’accusa, che riguarda precisamente la violazione della legge Mancino sulla discriminazione razziale, prevede pene severe per chiunque diffonda idee «fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico» o inciti a commettere atti di discriminazione e violenza razzisti. Pene che diventano più gravi quando riguardano «organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che abbiano tra i loro scopi finalità» di discriminazione o di odio etnico o razziale. E così, evidentemente, il procuratore Papalia ha inteso i comportamenti e le parole della Lega nord veronese. Documentandosi, anche, con precisione storica dato che il processo si apre proprio con l’audizione di Marcella Filippa, storica e studiosa torinese, autrice di saggi e libri sul razzismo, che ha compilato una perizia dettagliatissima sulla storia delle persecuzioni contro i rom. L’ipotesi della procura veronese è infatti che prima ancora degli atti razzisti veri e propri esistano teorizzazioni e atteggiamenti capaci di renderli possibili. Come è accaduto, ad esempio, nel periodo delle dittature nazifasciste che portarono rom e sinti fino ai forni di Auschwitz. Il loro sterminio – non a caso ancora oggi troppo spesso dimenticato – fu certamente anche la conseguenza, più o meno diretta, del giudizio che la società europea aveva maturato nei loro confronti, in una storia secolare di discriminazioni, violenza e separazione legislativa che in qualche modo ci riguarda ancora oggi. Perché la costruzione degli stereotipi e dell’immagine del diverso – da perseguitare e persino eliminare – può entrare nelle case, nelle famiglie, attraversare le strade di chi utilizza frasi fatte e modi di dire. Che diventano molto pericolosi quando si trasformano in apatica accettazione o complicità.