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da Il Manifesto del 15 ottobre 2003

Nuove proposte (e barriere) per l’asilo in Europa di Cinzia Gubbini

Un seminario europeo studia il modo di «filtrare» i rifugiati tenendoli lontani. Con qualche chance in più
Alternative

Una proposta punta su nuove quote di ingresso da paesi terzi già meta di asilanti; un’altra su «ambasciate» speciali Ue. E su canali sicuri verso l’Europa

Roma – Di che morte morirà il diritto d’asilo se si rafforzerà l’idea – dal ministro italiano Pisanu che ritiene gli asilanti persone furbe che conoscono bene la legge, fino alle insofferenze inglesi – che si tratta di uno strumento abusato? O esiste una medicina? Il dibattito in Europa cresce, in vista dell’armonizzazione delle politiche su immigrazione e asilo – uno dei pilastri dell’Unione non solo economica ma anche politica, le cui fila si stanno tirando proprio sotto la presidenza italiana. Purtroppo, spesso, a porte chiuse: come nel caso del seminario europeo che si è tenuto ieri a Roma dal titolo «Verso un più ordinato e gestito ingresso nell’Unione europea delle persone che necessitano di una protezione internazionale». Organizzato dal ministero degli interni italiano, con il supporto della Commissione europea e la collaborazione del Cir (Consiglio italiano dei rifugiati), il seminario aveva un importante obiettivo: presentare una proposta organica sulla possibilità di gestire l’ingresso dei richiedenti asilo in Europa al prossimo consiglio interni e giustizia del 27 novembre. Perché importante? Perché la proposta della Gran Bretagna di costruire centri chiusi fuori dell’Europa per selezionare i «veri» rifugiati non è affatto morta e sepolta, nonostante abbia ricevuto un’accoglienza fredda. Se non altro perché ha esplicitato il malessere di numerosi governi, stanchi del carico rappresentato dai rifugiati. D’altro canto, però, ancora tiene l’idea che l’Ue non possa buttare nel cestino una lunga tradizione di rispetto dei diritti umani calpestati altrove (e teoricamente anche nei singoli stati dell’Unione), tradizione sostanziata dalla Convenzione di Ginevra e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Durante il seminario sono stati presentati due studi, ordinati dalla Commissione europea per esplorare i sistemi – in parte già sperimentati da alcuni stati europei, Usa, Australia e Canada – finalizzati a far accedere legalmente in Europa gli asilanti. Il «reinsediamento», studiato dal «Migration policy institute» di Washington, e il cosiddetto Pep (entrata protetta), su cui si è cimentato il professore danese Gregor Noll. Due strategie che dovrebbero migliorare la protezione degli asilanti tenendo conto della richiesta dei governi – cioè di gestire più oculatamente i flussi.

Il primo approccio, il reinsediamento, prevede che l’Europa metta a disposizione ogni anno delle quote di ingresso per persone il cui status di rifugiato sia già stato accertato in paesi terzi, per esempio quelli che da anni si fan carico di migliaia di rifugiati come Kenya, Pakistan e Iran. Gli Usa lo hanno fatto per molto tempo, per esempio con i bantu somali rifugiati in Kenya, ma dopo l’11 settembre la quota messa disposizione è crollata. Il Pep, invece, prevede la possibilità per i richiedenti asilo di potersi rivolgere fuori dall’Unione europea alle ambasciate dei singoli stati, oppure a un vero e proprio ufficio dell’Unione appositamente creato, al fine di ottenere un particolare visto, che permetta loro di entrare nell’Ue senza affidarsi ai trafficanti, e qui di poter accedere alle procedure per la richiesta del diritto d’asilo.

Due proposte interessanti, anche se – visto il contesto – possono essere lette in due modi: o come un tentativo di tenere lontani i richiedenti asilo dai confini dell’Unione, oppure come un tentativo di assicurare la possibilità di una via legale per accedere alla «fortezza Europa». Su quest’ultimo punto sarebbe senz’altro necessario aprire un dibattito, perché non è possibile che in Europa arrivi soltanto quella parte di rifugiati abbastanza «ricchi» e abbastanza sani da affrontare viaggi allucinanti, con gravissimi rischi fisici.

Le stesse preoccupazioni interessano anche il Cir, che aderisce all’Ecre (il Consiglio europeo dei rifugiati e degli esiliati), in quanto organizzazione non governativa: «Le preoccupazioni ci sono, non c’è dubbio – osserva Cristopher Hein, direttore del Cir – dal punto di vista dell’Ecre c’è pieno appoggio per un programma europeo di reinsediamento, perché è innegabile che l’Europa debba fare di più per condividere le responsabilità con i paesi che ospitano grandi numeri di rifugiati, come l’Iran. In secondo luogo occore dare la possibilità alle persone che non l’avrebbero di rifarsi una vita normale, invece di vivere e morire nei campi. In terzo luogo è necessario offrire alle persone un’alternativa ai trafficanti. In altri termini – continua Hein – è necessario costruire un ponte verso la fortezza Europa, che per ora non può essere abbattuta, ma è certamente possibile trovare quanto meno delle alternative».

Punto essenziale, ribadisce Hein e con lui l’Ecre, è che questi due sistemi non siano pensati in alternativa ai sistemi nazionali di asilo, ma come complementari. Per cui occorre stabilire che sia ancora «concesso» arrivare in Europa illegalmente. L’altro tassello, che si ritrova in tutte le «raccomandazioni» della Commissione (ma servono orecchie che vogliano ascoltare) è che per garantire un buon uso del diritto d’asilo è necessario assicurare anche ai cosiddetti «migranti economici» la possibilità di entrare in Europa.