Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Regolarizzazione: l’orientamento della giurisprudenza sulla questione dei “tre mesi”

Commento a due sentenze del TAR Friuli Venezia Giulia

Si era già precisato che l’orientamento della giurisprudenza relativamente all’interpretazione della normativa (art. 33, della Legge 30 luglio 2002, n. 189 e art.1, comma 1, del D.L. 9 settembre 2002, n. 195, convertito dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222) che prevede i “tre mesi” di lavoro, come requisito necessario per poter perfezionare la regolarizzazione, si sta consolidando in senso favorevole ai lavoratori. E’ stata, infatti, pubblicata la sentenza n. 769/2003 del Tar Emilia Romagna del 12 giugno 2003, ove si precisa che la regolarizzazione deve essere consentita non solo nei confronti dei lavoratori che avessero iniziato il rapporto di lavoro almeno dal 10 giugno e che l’avessero in corso di prosecuzione alla data di entrata in vigore del decreto legge sulla regolarizzazione, ma anche relativamente al lavoratore che avesse iniziato in data successiva il rapporto di lavoro. In questo senso anche le due sentenze recentissime del TAR Friuli Venezia Giulia NN. 682/2003 e 683/2003, del 26 settembre 2003. Viene fornita, quindi, una interpretazione che ci sembra corretta e, soprattutto, aderente alla formulazione letterale della norma. Si evidenzia però che tale orientamento non è stato seguito da tutte le Prefetture che hanno emanato numerosi provvedimenti di rifiuto della domanda di regolarizzazione basati unicamente sul motivo sopra evidenziato. Non, quindi, perché vi erano precedenti penali o espulsioni eseguite con accompagnamento alla frontiera, o segnalazioni nei sistemi di segnalazione Schengen (c.d. SIS), ma unicamente perché le parti (datore di lavoro e lavoratore) avevano dichiarato la verità, ovvero che il rapporto di lavoro era iniziato non a partire dal 10 giugno, bensì in data successiva, ma precedente rispetto all’entrata in vigore del decreto legge di regolarizzazione.

Si specifica che la norma non richiede necessariamente che il rapporto di lavoro abbia una durata minima pari a tutti e tre i mesi antecedenti la data di entrata in vigore della norma e che, quindi, sempre in base alle sentenze sopra menzionate, deve essere interpretata nel senso che sono regolarizzabili i lavoratori che abbiano comunque prestato la loro opera nel corso del trimestre indicato, anche se non per tutto il periodo.
Inoltre nelle due sentenze citate del TAR Friuli Venezia Giulia si sottolinea un altro aspetto importante, cioè che non necessariamente il ricorso al TAR deve essere proposto dal datore di lavoro, ovvero da colui che formalmente ha richiesto la regolarizzazione, ma che invece il ricorso avrebbe potuto (come è avvenuto in realtà) essere proposto anche da parte del solo lavoratore in quanto lo stesso ” è sicuramente titolare di un interesse legittimo al corretto espletamento della procedura in questione ed ha quindi interesse a ricorrere avverso l’atto terminale di questa che non sia a lui favorevole“. Ciò contrariamente a quello che continuano a sostenere molte prefetture, che escludono il diritto del lavoratore di presentare da solo il ricorso contro il diniego della regolarizzazione.

Riassumendo, si precisa che anche il lavoratore da solo può promuovere ricorso al TAR contro il diniego di regolarizzazione, sia quando il provvedimento è motivato in base alla mancanza dei tre mesi continuativi di lavoro e sia in ogni altro caso in cui egli ritenga di poter mettere in dubbio la legittimità del provvedimento.

Continueremo a fornire tutte le informazioni relative alla questione e invitiamo chi fosse interessato a proporre un ricorso contro tali provvedimenti ad utilizzare le sentenze sopra menzionate, richiamando esattamente gli stessi principi. Non si tratta certo di una interpretazione che richiede sforzi di fantasia, dal momento che essa risulta del tutto aderente al testo della norma.
In altre parole, la politica è un’altra cosa…..La legge, prima di tutto, va sempre interpretata in base a quello che dice.