Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Liberazione del 29 novembre 2003

Diritto d’asilo salvo (per ora), ma l’Unione resta fortezza

«Respingere tempestivamente le domande infondate» di asilo era una priorità del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea. Lo aveva spiegato il 9 luglio scorso alla commissione affari interni dell’Europarlamento il ministro Pisanu. La riunione dei ministri dell’interno di ieri e l’altro ieri era l’ultima possibilità a sua disposizione di presiedere a un accordo fra i Quindici per una direttiva che andasse in tale direzione. Fortunatamente, il risultato è stato fallimentare.
E’ in effetti un impegno mancato che fa tirare un sospiro di sollievo all’Alto Commissario delle Nazione Unite per i Rifugiati, al Consiglio europeo sui rifugiati e gli esiliati, ad Amnesty International, a Statewatch e a molte altre ong: tutti avevano gridato allo scandalo per un progetto che avrebbe posto i richiedenti asilo in condizioni talmente restrittive da collocare l’Europa al di fuori del diritto internazionale. L’aspetto più critico riguardava il concetto di «liste di paesi terzi sicuri», sia di destinazione che di origine. Nel primo caso, la lista avrebbe consentito di rispedire uno straniero nel cosiddetto “paese sicuro” senza bisogno di approfondimento sulle reali conseguenze personali del rimpatrio; il secondo avrebbe comportato l’automatica irricevibilità di qualunque richiesta di asilo proveniente dagli Stati della lista. Il problema non riguarda solamente l’affidabilità dell’etichetta di “paese sicuro”, ma anche la possibilità di espellervi delle persone che, da lì, verrebbero poi spedite in paesi terzi con ancor minori garanzie in materia di diritti umani: la Bielorussia è un “paese sicuro” per la Lituania, dove ha perciò recentemente rispedito 26 richiedenti asilo ceceni: la polizia lituana ha allora provveduto a estradarli a Mosca, da dove erano fuggiti.

Da quel poco che filtra dalle segrete stanze del Consiglio, sembra che il concetto di “destinazione” sia stato depennato per volontà di alcuni Stati. Ma sembra anche che nessuno contesti quello di “paesi sicuri di origine”: non c’è l’accordo solamente perché divergono le liste proposte. Nessuna illusione dunque, non siamo a un cambiamento di rotta degli indirizzi politici dei governi che siedono in Consiglio, nemmeno di quelli di ispirazione socialdemocratica. L’orientamento rimane quello dell’Europa-fortezza, che in effetti predispone speditamente programmi di formazione di guardie europee di frontiera, schedature biometriche, espulsioni collettive, manette da agitare in conferenze stampa, e che ignora come un fastidioso impiccio i paletti posti in nome dei diritti umani non solamente dalle Ong, ma anche dallo stesso Europarlamento. Le più fondate speranze di chi sogna un’altra Europa riposano dunque ancora nell’endemica incapacità di dialogo fra le destre europee.