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Ricongiunzione familiare: un diritto boicottato da questure e ambasciate

Continuano a pervenire al sito del progetto Melting Pot segnalazioni sul “boicottaggio” (non riesco a definirlo altrimenti) delle procedure di ricongiunzione familiare, diritto che è garantito non soltanto dalla legge italiana ma anche da Convenzioni internazionali, in particolare dalla n. 143 del 1975 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti), cui la Repubblica italiana ha dato piena adesione e che è quindi a tutti gli effetti una legge dello Stato (L. 10 aprile 1981 n. 158).
Questo diritto riconosciuto dalla legge in maniera incondizionata – salvo la verifica sulla disponibilità di un alloggio e di un reddito sufficiente – è di fatto ostacolato da una prassi interpretativa delle questure e delle ambasciate che non trova alcun fondamento legislativo.

Il requisito della validità residua del pds
Ciò perchè si pretende di sostenere che la domanda di nullaosta al ricongiungimento familiare, può essere presentata presso la competente Questura soltanto dal lavoratore straniero che abbia ancora davanti a se una lunga durata di residua validità del permesso di soggiorno. Alcune Questure dicono che ci vuole un permesso di soggiorno che abbia davanti a se ancora un anno di validità, altre dicono che sono necessari nove mesi. Tale procedura viene giustificata asserendo che non si può rischiare di rilasciare l’autorizzazione all’ingresso per motivi di ricongiunzione familiare, nell’eventualità in cui il permesso di soggiorno del richiedente è nel frattempo scaduto.

Ne consegue che le questure e le ambasciate, per acquisire questa pseudo certezza sul fatto che i familiari potranno ricongiungersi con un lavoratore che è ancora in possesso di un valido permesso di soggiorno e per evitare il rischio che, in occasione del rinnovo, il lavoratore si veda rifiutato il pds e quindi i familiari arrivino a ricongiungersi con un clandestino, pretendono che la richiesta venga effettuata con un congruo anticipo rispetto alla scadenza del permesso di soggiorno.
Questa tesi interpretativa appare ulteriormente ridicola se si considera sia che ormai, in base alla legge Bossi – Fini, la maggioranza dei permessi di soggiorno hanno una durata di appena un anno, sia che molto spesso quando lo straniero si vede consegnare il permesso di soggiorno rinnovato, scopre che la data di rilascio indicata sullo stesso è di gran lunga diversa e anteriore rispetto alla data in cui effettivamente lo ha ricevuto.
In effetti normalmente la data di rilascio indicata sul permesso di soggiorno coincide con quella in cui il lavoratore ha presentato la richiesta di rinnovo con l’ evidente conseguenza che, dopo aver atteso settimane o mesi per ottenere il permesso di soggiorno, si scopre che una parte della durata di validità del permesso di soggiorno è già stata consumata proprio nel periodo in cui il permesso di soggiorno non era ancora stato rilasciato.

E’ pertanto evidente che di fronte a questi permessi di soggiorno sempre più corti, la pretesa delle questure di avere una durata residua piuttosto lunga del permesso di soggiorno (nove mesi, un anno ecc.) è rivolta di fatto a rendere sempre più difficoltoso l’esercizio del diritto soggettivo alla ricongiunzione familiare.

Peraltro ci è stato segnalato che nelle questure si comincia a spiegare che “non è possibile presentare la domanda di nullaosta alla ricongiunzione familiare perché poi, se le questure rilasciano comunque il nullaosta, saranno le ambasciate o le sedi consolari italiane a rifiutare il visto d’ingresso qualora verificassero che il titolare del nullaosta ha un permesso di soggiorno di prossima scadenza”.

Questa prassi, lo si ripete, è palesemente illegittima. D’altra parte il diritto soggettivo alla ricongiunzione è riconosciuto al lavoratore che ha un permesso di soggiorno in corso di validità, anche nel caso in cui sia prossima la scadenza, perché non si può dare per scontato che il lavoratore non riuscirà a rinnovare il permesso di soggiorno, ma anzi si deve presumere il contrario. La regola è infatti quella che il permesso di soggiorno è rinnovabile, e la sua eccezione è che in determinati casi previsti dalla legge, il lavoratore non riesca a rinnovare il permesso di soggiorno. Non si può però presumere che il lavoratore non riuscirà a rinnovare il pds al fine di impedirgli l’esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge, quale quello alla ricongiunzione familiare.
Da quanto appena esposto discende che i provvedimenti delle questure che rifiutano di ricevere la domanda di ricongiunzione familiare quando il pds è di prossima scadenza sono arbitrari (se si può definire “prossima” la scadenza di qui ad un anno o a nove mesi), come pure sono arbitrari i rifiuti di rilascio di visti d’ingresso per motivi familiari, nei confronti di persone che esibiscono correttamente il nullaosta rilasciato dalla questura a suo tempo.

Il ricorso al Tribunale
Ricordo che contro tutti i provvedimenti delle autorità amministrative a vario titolo competenti, che riguardano il diritto all’unita familiare, l’unico rimedio previsto dalla legge (e sarà opportuno farne uso anche per correggere questa prassi arbitraria degli uffici competenti) è il ricorso al Tribunale del luogo ove risiede il lavoratore straniero.

Tale rimedio è espressamente previsto dall’art. 30, comma 6, del Testo Unico sull’immigrazione, che prevede una procedura definita d’urgenza (ovvero con tempi relativamente rapidi di definizione), che può quindi comportare un obbligo perentorio nei confronti degli uffici competenti (questura, Ministero degli Esteri o Ministeri consolari) a rilasciare tempestivamente le autorizzazioni che costituiscono un diritto soggettivo del lavoratore, alla sola condizione che egli dimostri quanto richiede la legge.