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Sentenza TAR Veneto n. 6195/2003

Ricorso promosso contro il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Ric. n. 2804/2003 Sent.n. 6195/03

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituito da:
Umberto Zuballi Presidente, relatore
Italo Franco Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

in forma semplificata ex art. 26, comma quarto, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come sostituito dall’art. 9, comma primo, della legge 21 luglio 2000 n. 205
sul ricorso n. 2804/2003 proposto da ****, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppina Grofcich e Bruno Alderuccio con elezione di domicilio presso lo studio del secondo in Venezia-Mestre, Piazza 27 Ottobre, n. 42;

CONTRO

Il MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;

la Questura della Provincia di Venezia, in persona del Questore pro tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento del provvedimento emesso dalla Questura di Venezia cat. A.11/2003/Uff. Imm. N. 136/03/Div. Amm.va e Soc. del 16.7.2003 con il quale viene respinta l’istanza del ricorrente volta ad ottenere il rilascio allo stesso del rinnovo del proprio permesso di soggiorno per “lavoro subordinato“ e con conseguente intimazione di lasciare il territorio Nazionale entro 15 gg. dalla notifica; provvedimento notificato il 21.10.2003;

Visto il ricorso, notificato il 19.11.2003 e depositato presso la Segreteria il 3.12.2003 con i relativi allegati;
Visti gli atti della causa;

Udito alla camera di consiglio del 16.12.2003 (relatore il Presidente Zuballi) – l’avv.to Grofcich per la parte ricorrente;

Rilevata, ai sensi dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come integrato dall’articolo 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205, la completezza del contraddittorio processuale e ritenuto di poter decidere la causa con sentenza in forma semplificata;

sentite sul punto le parti costituite;

richiamato quanto esposto dalle parti nel ricorso e nei loro scritti difensivi;

F A T T O

Il ricorrente, cittadino albanese, in Italia da quando aveva nove anni, fa presente che gli è stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato in quanto ritenuto socialmente pericoloso. Considera illegittimo il provvedimento per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’articolo 7 della legge 241 del 1990 violazione dell’articolo 1 della legge 1423 del 56, violazione dell’articolo 3 della legge 241 del ’90, carenza di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti mancata considerazione di fatti e circostanze determinanti; il ricorrente fa presente che non gli è stato dato avviso di avvio del procedimento, e che inoltre non può essere considerato socialmente pericoloso.

2) Violazione dei diritti fondamentali violazione degli articoli 27 e 28 del dPR 448 del 1988 e dell’articolo 166 del codice penale, carenza di motivazione, travisamento dei fatti contraddittorietà con altri provvedimenti. I precedenti penali del ricorrente sono di lieve entità e in un caso si sono conclusi con l’estinzione del reato. Inoltre nell’ultimo caso c’è stata una sospensione della pena.

3) Violazione dell’articolo 5 del decreto legislativo 286 del ’98 istruttoria insufficiente e carente violazione di legge. Non è stata effettuata un’adeguata istruttoria.

D I R I T T O

Tra i requisiti che uno straniero deve possedere per ottenere e mantenere un permesso di soggiorno va annoverato, oltre a quelli ben noti dell’attività lavorativa e dell’alloggio, quello di tenere una condotta corretta.

I requisiti non devono essere posseduti unicamente al momento dell’ingresso in Italia e del rilascio del permesso di soggiorno, ma devono permanere anche durante il soggiorno nel nostro Paese e possono (e devono al momento della domanda di rinnovo) essere soggetti a verifica in ogni momento da parte dell’autorità, per cui, se vengono a mancare, provocano la revoca del permesso già in essere ovvero, se risultano carenti al momento della scadenza del permesso, giustificano il diniego di rinnovo. Invero, ai sensi dell’art. 5 comma 5, del d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.

Tra gli elementi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero tali da giustificare la sua revoca, vi è la cosiddetta pericolosità sociale, prevista dall’art. 13 comma 2, del d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, laddove si contemplano i presupposti affinché l’autorità prefettizia disponga l’espulsione dal territorio dello Stato e, segnatamente, nella lett. c), che menziona gli appartenenti a taluna delle categorie indicate nell’art. 1, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423, come sostituito dall’art. 2, l. 3 agosto 1988 n. 327, o nell’art. 1, l. 31 maggio 1965 n. 575, come sostituito dall’art. 13, l. 13 settembre 1982 n. 646.

A sua volta il giudizio di pericolosità sociale, riferisce il suo momento giustificativo a comportamenti o situazioni non ancora concretizzati in fatti o circostanze tali da rappresentare addebiti più puntuali e specifici, ed ha, quindi, riferimento ad una valutazione indiziaria fondata su circostanze di portata generale e di significato tendenziale e su contesti significativi nel loro complesso.

Va quindi tenuto presente come il giudizio di pericolosità sociale abbia contenuto meramente prognostico ovvero probabilistico, e non implica quindi un accertamento già intervenuto in sede penale, o meglio, ne può prescindere. In sostanza, qualora vi siano elementi di fatto, anche se concretatisi in un singolo episodio, sufficienti a generare un notevole allarme sociale, il giudizio di pericolosità deve ritenersi giustificato, anche tenendo presente che si tratta comunque di attività discrezionale della pubblica amministrazione, sindacabile unicamente in caso di illogicità, di carenza di presupposti, o di manifesta incongruità.

Per le stesse ragioni fin qui indicate i giudizi espressi in sede penale, ivi compresi quelli relativi alla concessione di alcuni benefici, quale gli arresti domiciliari, la condizionale o simili, non hanno rilievo diretto nel giudizio di pericolosità formulato ai fini del diniego di rilascio del permesso di soggiorno, che presenta diversi presupposti e parametri di valutazione.

Riassumendo, il riscontro va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita; d) insindacabilità dei giudizi discrezionali dell’amministrazione, se non per macroscopiche illogicità; e) indipendenza dai giudizi penali, ma possibilità di tener conto dei fatti emersi in detti giudizi.

Venendo al caso in esame, i precedenti penali della ricorrente sono tre. Il primo, risalente 1997, si è concluso con una pronuncia di non luogo a procedere. La seconda vicenda, risalente al 1999, si è conclusa con una pronuncia di estinzione esito positivo della messa in prova. Quanto all’ultima vicenda, risalente al 23 marzo del 2001, risulta che al ricorrente sono stati concessi gli arresti domiciliari poi sostituiti con la misura dell’obbligo di presentazione.
Orbene, l’intera vicenda dei precedenti penali del ricorrente, riguarda da un lato reati commessi quando lo stesso era minorenne, e d’altro lato una vicenda del 2001 per la quale il giudice penale ha ritenuto di concedere i benefici al ricorrente stesso.

Ne consegue come il giudizio di pericolosità sociale, pur possibile, doveva risultare motivato in maniera più puntuale, sia in relazione all’esito delle vicende risalenti al 1997 e al 1999, sia anche al giudizio di non pericolosità implicito nella pronuncia penale riguardante l’ultima vicenda. In sostanza il vizio di difetto di motivazione e di istruttoria appare fondato, in quanto, di giudizio di pericolosità sociale ai fini del diniego del permesso di soggiorno, doveva essere sorretto, nello specifico caso in esame, da una motivazione maggiormente incisiva rispetto a quella risultante dall’atto impugnato, che si limita ad una mera elencazione di fatti senza spiegare l’esito che ciascuno di essi ha avuto e i giudizi sostanzialmente positivi sulla personalità dell’interessato emessi dall’autorità penale.
La fondatezza della censura di difetto di motivazione risulta sufficiente per accogliere il ricorso e annullare il provvedimento impugnato, salvo naturalmente il potere dell’amministrazione di rideterminarsi in merito, tenendo conto della presente pronuncia.

Per completezza va aggiunto che non risulta fondata la censura di violazione dell’articolo 7 della legge 241, in quanto il procedimento si è iniziato su istanza di parte prodotta in data 4 gennaio del 2002, né si può affermare che il ricorrente non fosse a conoscenza dei propri precedenti penali.

Le spese di giudizio si possono compensare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,
lo accoglie, come da motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 16 dicembre 2003.

Il Presidente – Estensore