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da La Gazzetta del Mezzoggiorno del 14 febbraio 2004

A rischio gli immigrati ed i «flessibili»

Roma – Gli immigrati sono più a rischio di infortuni sul lavoro degli italiani: pur rappresentando solo il 3,4% degli occupati in totale, essi detengono una quota del 9,1% sugli infortuni indennizzati.

E’ quanto emerge da una ricerca sul rischio infortunistico tra i lavoratori immigrati, presentata dall’Istituto italiano di medicina sociale in collaborazione con la Caritas di Roma. Tra le etnie maggiormente a rischio di incidenti sul lavoro, marocchini, tunisini, senegalesi e pachistani.
Nel nostro Paese – evidenzia lo studio – uno straniero su 10 incorre in un incidente di lavoro. Proporzione più che doppia rispetto agli infortuni tra i lavoratori italiani, che colpiscono una persona su 25. L’indagine, realizzata sui dati Istat e Inail del 2001, dimostra come gli immigrati, delegati alle mansioni più pericolose o non adeguatamente formati, siano esposti a un rischio infortunistico molto più alto rispetto agli italiani. E questo in tutti i settori e in tutte le regioni.

Nel 2001 – informa la ricerca – in Italia sono stati indennizzati nel totale 641.106 infortuni. Di essi 58.494 hanno riguardato lavoratori nati all’estero con questa ripartizione: agricoltura 5,5%, industria 57,3%, servizi 28%, altri settori 9,2%. La ricerca stima che gli immigrati occupati regolarmente (assunti, interinali, collaboratori) siano stati, sempre nel 2001, 677.304. Il rapporto tra le due entità numeriche restituisce un’incidenza infortunistica tra gli stranieri superiore al 9%. Di molto superiore, dunque, rispetto al 4,2% degli italiani. Si tratta, tra l’altro, di dati sottostimati, visto che, data l’incidenza del lavoro nero tra gli immigrati, molti infortuni, specie nelle piccole imprese e nel settore agricolo, non vengono denunciati.

I casi mortali (111) sono stati uno ogni 500 infortuni indennizzati; i settori più a rischio per i lavoratori stranieri sono l’edilizia (dove si è verificato il 14,5% degli infortuni), l’industria dei metalli (14,3%), le attività immobiliari (6,8%), i trasporti (6,1%), l’agricoltura (5,5%) e l’industria meccanica (5,3%). Ma, avvertono i ricercatori, il dato sull’agricoltura è ampiamente sottostimato, a causa appunto dell’alto livello di irregolarità del lavoro straniero nelle campagne: non a caso è l’unico settore in cui il dato generale sugli infortuni, comprendente quindi anche i lavoratori italiani, è superiore a quello specifico degli immigrati (8,5% contro, appunto, il 5,5%).

La regione col più alto numero di incidenti di lavoro tra gli stranieri è la Lombardia (13.063), seguita dal Veneto (11.010) e dall’Emilia Romagna (10.823). A distanza le altre regioni: Piemonte con 3.658 incidenti, Toscana con 3.379, Marche con 3.130, Friuli Venezia Giulia con 2.979, Trentino Alto Adige con 2.259, Lazio con 1.650, Umbria con 1.602 e Abruzzo con 1.162.
Tra le province la prima è Milano con oltre 3.500 infortuni. Seguono Treviso, Vicenza, Brescia, Bologna, Modena e Bergamo con un numero di infortuni compreso tra mille e 2 mila. Tra le aree territoriali la più a rischio è il Nord Est, con un’incidenza degli infortuni pari al 13,6%. Seguono il Nord Ovest col 9,2%, il Centro col 7,7%, il Sud col 3,4% e le Isole col 2,6%. Le regioni sopra la media sono il Friuli Venezia Giulia (15%), il Trentino Alto Adige (13,3%), le Marche (11,4%) e la Lombardia (11,3%). La ricerca ha invece riscontrato valori più contenuti in regioni di grande immigrazione come la Toscana (6,5%) e il Lazio (5,1%). Un sesto degli incidenti denunciati ha riguardato lavoratrici donne (tre quarti delle straniere sono occupate nel settore della collaborazione domestica, notoriamente a più basso rischio).

A forte rischio infortuni anche gli atipici: tra i lavoratori temporanei, secondo una ricerca, i tassi di mortalità e di infortunio sono almeno due, tre volte superiori a quelli dei lavoratori stabili e permanenti. Secondo un recente studio della Cgil Lombardia, il peso della componente lavorativa più flessibile e precaria (parasubordinato, lavoro nero, ecc.) nell’ambito del fenomeno infortunistico è decisamente in crescita. La frammentarietà e temporaneità delle mansioni lavorative, gli stress ed i deficit formativi costituirebbero possibili fattori di rischio.