Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

da Il Manifesto del 19 febbraio 2004

I sorvegliati speciali del mercato di Sergio Finardi

Se ricerca scientifica è quel tipo di ricerca che conduce ad individuare le modalità in cui si forma e si sviluppa l’oggetto, il libro di Ferruccio Gambino Migranti nella tempesta rientra pienamente nel novero dei lavori scientifici. Ed è questa caratteristica a farne anche un lavoro direttamente politico – come tanti altri, pubblicati in Italia e all’estero -, capace di fornire strumenti volti alla comprensione dei problemi posti dalle migrazioni internazionali. Fuori d’ogni schema pietistico, ma conscio delle tragedie che accompagnano le migrazioni, il lavoro di Gambino pone al centro dell’analisi le questioni essenziali. Innanzitutto, la relazione di causa ed effetto tra la continua modificazione della divisione internazionale del lavoro dentro l’attuale ciclo liberistico e gli enormi flussi di migrazioni che essa provoca (in provenienza da e all’interno di regioni come l’Estremo e il Medio Oriente, l’Africa, l’Europa Orientale, l’America Centrale). Da qui il richiamo dell’autore alla centralità dei diritti di cittadinanza universali nelle difesa dei singoli: diritti individuali che vengono calpestati ogni volta che prende l’avvio la spirale del «noi e loro» e la classificazione e ghettizzazione dei migranti secondo l’etnia, la provenienze, la religione.

Per Gambino è altresì rilevante il legame tra il declino della forza sindacale e contrattuale dei lavoratori e la formazione progressiva di economie grigie o nere. In primo luogo, perché il lavoro migrante – illegale o meno che fosse all’origine – viene inserito in condizioni di assoluta precarietà nel processo lavorativo; poi perché la precarietà diventa lo «standard» offerto al lavoro in generale.

A mo’ di cornice l’autore affronta il «modo di produzione» dei migranti. Da una parte i conflitti bellici che le potenze del centro del sistema mondiale alimentano periodicamente nelle tante periferie del mondo come strumento di regolazione delle proprie e altrui ambizioni egemoniche; dall’altra la vita degli uomini e delle donne dei paesi coinvolti nelle guerre. In ogni caso, il cuore del volume è dato dall’analisi delle politiche emergenziali avviate dai paesi «ricchi» nei confronti dei migranti. Si tratta di «dispositivi» legislativi che assegnano alle forze di polizia un potere discrezionale fonte di arbitri e violazioni dei diritti civili. Ma per Gambino, anche in questo caso, i migranti sono un vero e proprio laboratorio: le politiche di controllo applicate nei loro confronti diventano in un secondo tempo lo standard per l’insieme della società. Una delle conseguenze delle politiche dell’immigrazione hanno anche un effetto niente affatto collaterale. Rendono infatti «illegale» la maggioranza dei migranti, un’illegalità sfruttata dalle reti criminali che li «incanala» verso le sedi del lavoro nero e clandestino, ove ripagheranno il «servizio» ricevuto. Per Ferruccio Gambino, va dunque radicalmente messo in discussione lo schema che fa dei migranti dei disperati in fuga da qualche inferno.

I sei capitoli del libro – solidamente costruiti su una straordinaria messe di dati, informazioni e inchieste – sono stati scritti (e riportati con modifiche solo tecniche) in periodi differenti, dal 1981 al 1998. Quattro di loro sono stati precedentemente pubblicati in riviste italiane ed estere, gli altri due sono inediti. L’ordine cronologico in cui sono disposti i capitoli rende inoltre un prezioso servizio ai lettori, soprattutto ai più giovani. In primo luogo testimonia lo sforzo di alcuni studiosi e militanti politici di introdurre in Italia – paese di emigrazione che negli anni 70 si stava appena affacciando ai fenomeni di immigrazione da altre parti del mondo – elementi di discussione e d’analisi sino allora assai poco frequentato. I loro contributi testimoniano che era possibile anticipare rispetto al delinearsi e all’affermarsi del ciclo liberista una strategia politica di sinistra che affrontasse i problemi degli effetti sul mercato del lavoro italiano ed europeo della nuova divisione internazionale del lavoro che si stava realizzando in quel tempo e delle migrazioni internazionali che l’avrebbero accompagnata.
Quello sforzo e tentativo è particolarmente visibile sia nel primo che nel secondo capitolo. In Alcuni aspetti della erosione della contrattazione collettiva in Italia (1981), l’analisi del mercato del lavoro italiano – e della sua parte giovanile – è posta di fronte agli effetti della nuova divisione internazionale del lavoro, alle dislocazioni produttive e all’ingresso di lavoratori migranti. In L’Italia, paese di immigrazione. Rapporti sociali e forme giuridiche (1984), la documentazione della portata e dei tassi di sviluppo molto modesti dell’immigrazione verso l’Italia e gli altri paesi europei viene contrapposta alle reazioni dei poteri pubblici, che da un lato utilizzano congiuntamente delocalizzazioni e lavoro dei migranti come arma di ricatto contro il lavoro organizzato e le sue conquiste degli anni `60 e ’70.

Dai primi anni 80, la cronologia dei contributi passa direttamente al 1992, con il terzo capitolo (Migranti nella tempesta. Flussi di lavoratori senza diritti e di petrodollari nel Golfo Persico). Un salto temporale frutto dell’impossibilità dell’autore a sviluppare sul campo i temi affrontati nei primi due saggi. «Per motivi di forza maggiore», scrive con sommessa ironia Gambino, costretto lui stesso ad una lunga «migrazione forzata» da accuse, da cui verrà in seguito assolto, maturate all’interno dell’offensiva politica e giudiziaria contro «Autonomia operaia organizzata», iniziata il 7 aprile del 1979 con l’arresto di molti suoi dirigenti che sconteranno lunghi periodi di carcerazione preventiva prima di essere assolti dalle accuse principali loro ascritte.

Scopo del capitolo che dà il titolo al volume, scrive l’autore, «è di esaminare la Spedizione alleata nella regione del Golfo Persico e di collocarla in un contesto al quale pochi commentatori, sia conservatori, sia liberali, sia di sinistra si sono riferiti. Tale contesto è il destino della gente comune nei Paesi del Golfo: civili e militari, autoctoni e migranti di fronte all’invasione irachena del Kuwait e alla reazione alleata a questa», analizzando in particolare il destino della gioventùùù irachena e dei migranti del Golfo.

Il quarto capitolo, inedito e basato su una relazione presentata ad un congresso internazionale a Lisbona ancora nel 1992, affronta il tema della relazione tra immigrati e «una popolazione autoctona [quella della provincia di Vicenza, ndr] priva di esperienza di immigrazione [che] si accorge che gli immigrati non sono soggetti che campano in modo transitorio in un dato territorio, bensì gente ordinaria che vuole sistemarsi in modo permanente». Il saggio è ben ancorato agli esiti di una ricerca sul campo, con relative inchieste ed interviste, ideata ed effettuata dal 1989 al 1991 da Laura Corradi su quel Nordest italiano che è stato terreno di molte «sperimentazioni»: dalle logiche cattoliche e sindacali d’accoglienza a quelle di becero rifiuto sostenute dal nascente leghismo razzista (condite da profittevoli utilizzi nascosti del lavoro immigrato); dalle invenzioni burocratiche di politici e poteri pubblici per rendere difficile e quanto più possibile transitoria la presenza dei migranti, alla messa in opera nel Nordest di un vero e proprio modello economico da «zona di sviluppo speciale» asiatica, sostenuta negli anni 80 «dall’euforia ideologica della vitalità della cosiddetta economia sotterranea italiana» e dall’attacco ai diritti del lavoro.

Il quinto (Aporie delle migrazioni internazionali, 1996) e sesto capitolo (Convergenze parziali del lavoro vivo, inedito sulla base di una relazione presentata ad un seminario della rivista «Altre ragioni», 1998) presentano una riflessione sistematica dei temi emersi in questo lungo percorso di ricerca.

Il libro, dunque, non solo affronta temi di estrema importanza ed attualità, ma anche parla – e non solo a chi si è accostato in questi anni per la prima volta alla politica – di come si può intendere il rapporto tra ricerca scientifica e intervento politico e di come non vi siano scorciatoie al duro compito di ricomporre in un «fronte unito» transnazionale i segmenti del lavoro che l’offensiva neoliberista ha disarticolato e reso nemici, o più spesso estranei, l’uno all’altro.