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da Brescia Oggi del 14 aprile 2004

L’immigrazione a Brescia si tinge di rosa è arrivata una donna ogni due maschi di Mimmo Varone

In genere non se ne parla, ma anche tra gli immigrati c’è l’altra metà del cielo. E si ritaglia una fetta interessante, anche se non proprio numerosa, delle presenze extracomunitarie nel Bresciano. Da noi sono il 36.3 per cento dei 71 mila e 400 immigrati tra residenti (46.700), regolari ma non residenti (5.500) e clandestini (19.300). A conti fatti, poco più di una ogni due maschi. Sono mediamente più giovani degli uomini, con il 34.2 per cento sotto i 30 anni, il 49.2 tra i 30 e i 40, il 14.6 oltre i 40. E soprattutto vivono in una condizione socio-economica svantaggiata rispetto ai maschi. I dati emergono dal primo rapporto provinciale realizzato dall’Osservatorio provinciale immigrazione (Opi) attivo alla Cattolica di via Trieste, nell’ambito dell’inchiesta curata dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità in collaborazione con Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) e Fondazione Bresciana. E dicono, tra l’altro, che la provenienza delle donne e extracomunitarie è assai diversa da quella maschile, ad eccezione del gruppo dell’Africa subsahariana.

Rispetto ai maschi sono più rappresentate le cittadine dell’Est e dell’America Latina. Le prime sfiorano il 26 per cento contro il 14 dei maschi (insieme fanno il 17.5 per cento degli immigrati). Le latinoamericane sono l’8.2 contro il 3 (quota totale di 4.6 per cento). Asiatiche e nordafricane, invece, si trovano in quote minori: 17.4 per cento contro il 27 le prime (consistenza totale del 24 per cento), 22.3 contro 29.9 le seconde (consistenza del 27.6).
Un terzo di esse sono arrivate negli ultimi tre anni (contro il 20 per cento dei maschi). Di conseguenza hanno un numero inferiore di figli, ma sono anche più dipendenti nella scelta migratoria giacchè arrivano per ricongiungimento al coniuge. In genere, dunque, abitano con marito e figli, al contrario dei maschi che spesso condividono la casa con amici e parenti.

Le nubili si trovano soprattutto tra le donne dell’Est (35.5 per cento), molto mento tra le asiatiche (9.1), mentre tra le africane superano di poco il 20. Secondo l’analisi suggerita dai ricercatori dell’Opi, lo stato civile assume un ruolo cruciale sulla condizione delle immigrate. Le non sposate risultano mediamente più giovani rispetto a coniugate e separate/vedove, e possiedono un livello d’istruzione superiore. D’altro canto, come cittadine in Italia si trovano in una condizione più precaria, tant’è che non essendo in regola con il permesso di soggiorno non sono neanche iscritte all’anagrafe. Di conseguenza manifestano minori intenzioni di stabilità.

L’influenza dello stato civile si fa sentire pure sull’accesso ai servizi. Se, in generale, le donne utilizzano meno degli uomini i servizi sanitari e socio-assistenziali, sono le coniugate a dichiarare di averli usati di più nell’ultimo anno, con scarti fino al 25 per cento rispetto alle nubili.
Anche per religione, la componente femminile è molto diversa da quella maschile. Il 31.3 è di fede cattolica contro il 14.2 dei maschi. Per contro le musulmane sono il 41.3 per cento, laddove i maschi sfiorano il 70. Il 15.3 appartiene ad altre religioni cristiane.

La maggiore diversificazione rispetto ai maschi si ripete in relazione al titolo di studio. Tra le donne, ad esempio, sono più presenti i livelli estremi della scala d’istruzione. Il 20.7 per cento è senza titolo, il 35 ha il diploma superiore, il 13 la laurea. In ogni caso, nel lavoro sono in condizione di maggiore precarietà e di maggiore svantaggio economico. Mentre gli uomini trovano occupazione in quasi tutti i settori, le donne immigrate sono più concentrate nei mestieri del terziario, nella cura delle persone e nella sanità. E la percentuale più alta di lavoro regolare si trova tra chi fa la domestica fissa (55.6).
Comparando i redditi, a perderci sono ancora le donne, come si diceva. La maggioranza di esse non guadagna più di 500 euro al mese contro la media di 850 degli uomini. Ad avere, in ogni caso, un salario più alto sono le nubili e le separate/vedove, in ragione della maggiore flessibilità d’occupazione (co.co.co, orari notturni, domenicali, ecc.) e in qualche caso anche del doppio impiego.

La diversa provenienza, con le culture che si porta dietro, si fa sentire anche nel lavoro. Il numero più alto di disoccupate si trova tra le europee dell’Est e le subsahariane con percentuali dell’8.6 e 8.1 nell’ordine. Le casalinghe, invece, abbondano tra le asiatiche (49.1 per cento) e le nordafricane (41.8). A godere di un’occupazione regolare sono soprattutto quelle dell’Africa a sud del Sahara con il 50.1 per cento, ma le altre non sono troppo distanti con il 39.4 delle europee dell’Est, il 41.7 delle latinoamericane, il 39.5 delle asiatiche. Ultime, le nordafricane con il 33.2 per cento.

La massima diffusione del lavoro irregolare, invece, si trova tra le latinoamericane (33.3 per cento) e le europee dell’Est (32.3), con ogni probabilità a causa della loro prevalenza tra le badanti.
A mettere insieme il tutto, la conclusione è che le immigrate, tanto casalinghe che lavoratrici, si trovano in condizione socio-economica svantaggiata rispetto ai maschi. E nemmeno fa una gran differenza che siano di età elevata e dipendenti dal progetto migratorio della famiglia d’origine, o che siano più giovani, in possesso di un buon bagaglio culturale e alla ricerca di un miglioramento delle condizioni di vita.