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da Il Manifesto del 31 maggio 2004

La legge sull’immigrazione? Caccia all’infido straniero di Guido Ambrosino

Germania – Nel lontanissimo 1998, quando la Spd e i Grüne vinsero per la prima volta le elezioni, c’era un «progetto rosso-verde»: esprimeva la voglia di scrollarsi di dosso la muffa di Helmut Kohl, diventare un paese più tollerante, colorato. Contemplava una legge sull’immigrazione, che aprisse le porte del paese. Nonostante i milioni di stranieri chiamati a lavorare negli anni `60, rimasti con figli e nipoti, e gli altri che arrivarono cercando scampo da guerre, persecuzioni e miserie, il patriarca democristiano ripeteva come un disco rotto che la Germania «non è un paese di immigrazione». Un’asserzione fattualmente falsa. Ma utile per far capire agli ospiti che erano solo tollerati, e per rassicurare la clientela nazional-benpensante. Con questi precedenti rivendicare una legge sull’immigrazione sembrava una rivoluzione copernicana. La Spd non ha mostrato fretta di metterla in pratica. Ha preso tempo, cercato invano «larghe intese», impossibili nel clima creatosi dopo il crollo delle torri gemelle. Nel 2002, quando la coalizione aveva già perso la maggioranza al Bundesrat, ha cercato di far passare la legge con un trucco, conteggiando come favorevoli i voti del Brandeburgo che non si era espresso in modo univoco. La corte costituzionale ha constato l’irregolarità, e si è ricominciato da capo.

Quel che resta tradisce sin dal nome finalità opposte a quelle iniziali: «Progetto di legge per il controllo e la limitazione dell’immigrazione». E’ soprattutto un catalogo di misure di polizia contro il «terrorismo internazionale». Ancora quattro anni fa si vedeva negli immigrati una chance per lo sviluppo. Ora li si teme come rischio per la sicurezza.

Il funerale della «legge sull’immigrazione» si è celebrato alla cancelleria il 25 maggio, in un incontro tra Schröder e i capi dell’opposizione democristiana, la presidente della Cdu Angela Merkel e il presidente della Csu Edmund Stoiber. Quei rompiscatole dei verdi sono stati lasciati fuori della porta. I presenti si sono accordati su una bella lista di inasprimenti condivisi. E hanno affidato la stesura di un testo definitivo, che dovrebbe incontrare entro l’estate il consenso del Bundesrat, a un trio infernale: il ministro federale degli interni Otto Schily (Spd), il ministro degli interni bavarese Günther Beckstein (Csu), il primo ministro della Saar Peter Müller (Cdu).

Commenta sulla Sueddeutsche Zeitung Heribert Prantl: «Le trattative finali non si svolgeranno tra coalizione rosso-verde e opposizione nera, ma tra neri e neri». Non c’è da stupirsi di questa attribuzione cromatica anche a Schily. Il ministro si è schierato più volte con i democristiani, sconfessando ripetutamente i verdi. Ha persino scavalcato a destra l’Unione proponendo per primo una «carcerazione di pubblica sicurezza» fino a due anni per estremisti inaffidabili, qualora non sia possibile né condannarli né espellerli. E’ lo stesso meccanismo giuridico con cui Hitler mandava chi gli pareva nei campi di concentramento. E con cui adesso gli Usa rinchiudono ad libitum i sospetti.

Di «carcerazione di pubblica sicurezza», per il momento, non si parla più. Ma il catalogo concordato con l’Unione non è da poco. Per essere espulsi basterà «una prognosi di pericolo, sostenuta da fatti», laddove sarà difficile accertare se i «fatti» siano veri o presunti. Nullaosta obbligatorio dei servizi segreti per ottenere un prolungamento del permesso di soggiorno. Obbligo di frequentare con profitto corsi di «integrazione» (lingua tedesca e educazione civica) pena sanzioni fino all’espulsione. Chi caldeggi la violenza potrà essere espulso. Saranno costruiti «centri d’espatrio» per i candidati all’espulsione. Potranno essere imposti più facilmente obblighi di residenza e divieti di usare strumenti di comunicazione, come i cellulari.