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Tratto dal sito deriveapprodi.org

Libri – Lavoro migrante. Esperienza e prospettiva

a cura di Fabio Raimondi e Maurizio Ricciardi

Il libro
Negli ultimi decenni il lavoro dei migranti è divenuto un asse portante della produzione sociale. Parlare di lavoro migrante non significa tuttavia riferirsi unicamente al lavoro dei migranti, ma più in generale a tutto il lavoro contemporaneo nel suo divenire flessibile e precario, e insieme mobile e refrattario a farsi rinchiudere entro limiti e confini, sino essi quelli nazionali o della fabbrica. Il lavoro migrante anticipa così le trasformazioni del mercato del lavoro e le modalità con cui il lavoro nel suo complesso viene oggi erogato. Esso non rappresenta solo l’insieme delle occupazioni di uno strato determinato di forza-lavoro, ma il segno inequivocabile di una trasformazione ben più profonda della soggettività politica della classe operaia.

Il lavoro di inchiesta svolto in diverse aree italiane (dal Veneto alla Lombardia, dall’Emilia alla Campania, dal Piemonte alla Sicilia), danno voce ai migranti occupati nell’industria, nelle cooperative e nella “fabbrica verde”, mette in evidenza la molteplicità di percorsi, di aspettative e di potenzialità espressi oggi da donne e uomini che stanno trasformando la loro e la nostra esistenza. Sono proprio queste voci a mostrare la centralità politica del lavoro migrante.

Contributi di:
Vito Aita, Maurizio Avola, Paolo Benvegnù, Saïd Bouamama, Alfonso De Vito, Gruppo ricerca lavoro migrante di Torino, Felice Mometti, Sara Giorlando, Serhat Karakayah, Libera Università Contropiani, Emilio Quadrelli, Fabio Raimondi, Maurizio Ricciardi, Daniela Ruffini, Tavolo migranti dei social forum del vicentino, Vassilis Tsianos.

Il testo
“Lavoro migrante” è una categoria politica. In quanto tale, essa, in parte, descrive una condizione per così dire oggettiva, in parte, contiene l’indicazione di una tendenza relativa al lavoro contemporaneo nel suo complesso. Noi non pensiamo che i migranti siano un soggetto specificamente connotato da un punto di vista politico e per sua natura destinato a sovvertire l’ordine del lavoro, così come, d’altra parte, non lo sono i lavoratori precari, cognitivi o meno: i migranti sono piuttosto una presenza specifica e determinata nella costellazione del lavoro contemporaneo. Ed è da quest’ultimo che si deve partire se si vogliono cogliere contraddizioni e possibilità.

Questo volume, infatti, è il tentativo di mettere a tema il rapporto che incatena i migranti al lavoro contemporaneo, attraverso il rendiconto di una serie di esperienze e di analisi, che non pretendono di esaurire né lo spettro delle questioni né quello delle pratiche. Il loro scopo è solo quello di contribuire a impostare un dibattito di cui sentiamo particolarmente l’urgenza. Il volume raccoglie le storie del lavoro migrante in varie aeree italiane ed europee. In tutti gli interventi emerge quel doppio registro di cui abbiamo parlato. Emergono cioè sia le condizioni di sfruttamento sia le “convergenze parziali del lavoro vivo” che, sebbene ancora frammentarie, indicano la possibilità di mettere in discussione le modalità di comando e di messa al lavoro globale del tempo che caratterizzano la produzione sociale contemporanea.

Parlare di lavoro migrante significa assumere la contraddittorietà della congiunzione dei due termini, muovendo da considerazioni che spiazzano alcuni punti fermi del dibattito sopra richiamati. Significa cioè registrare che, per quanto incatenati al lavoro, i migranti anticipano alcune condizioni generali che riguardano il lavoro contemporaneo nel suo complesso. I migranti non sono soggetti nomadi che soddisfano l’immaginario di chi è più o meno stabilmente inserito nelle società occidentali. Attraversano le frontiere pagando il prezzo della svalorizzazione della loro capacità lavorativa, ma allo stesso tempo la mettono in movimento, la trasformano a contatto con le diverse condizioni che affrontano. Attraversano le frontiere non per affermare un astratto diritto di movimento, ma connettendo condizioni lavorative e di esistenza che sono tali nonostante le frontiere e le barriere.

Il lavoro migrante è perciò direttamente implicato nella produzione sociale contemporanea, non solo per le condizioni oggettive in cui è erogato, ma anche e, forse, soprattutto per la qualità di elementi di cambiamento che mette continuamente in gioco. Esso rende evidente la trasformazione radicale sia del soggetto sia del modo industriale di produrre. Può rappresentare la possibilità di un rovesciamento del modo usuale di pensare e di fare lavoro politico con i migranti, consentendo allo stesso tempo di gettare uno sguardo sulle modalità generali che sta sempre più assumendo la produzione sociale. Non è necessario partire dal presupposto che i migranti siano un soggetto debole. Non è necessario pensare che la loro posizione sia totalmente determinata dall’apparato repressivo e di contenimento che le legislazioni nazionali e quella comunitaria stanno mettendo in campo.

[…]

Fare riferimento al lavoro migrante vuole perciò rompere sia con ogni residuo di concezione nazionale della forza-lavoro sia con il tentativo di rinchiudere questa negazione del confine dentro gli spazi minori delle comunità etniche. Farvi riferimento significa prendere le mosse da ciò che, come abbiamo detto, resta necessariamente oscuro e nascosto nei percorsi dell’integrazione. Parlare di lavoro migrante significa, in primo luogo, partire dalle concrete condizioni di erogazione della forza-lavoro migrante, dalle fabbriche delle più diverse dimensioni, alle famiglie che impiegano le colf e le badanti, alla “fabbrica verde” in Italia o in Spagna, alle forme della piccola distribuzione che appare come lavoro autonomo. È evidente, che a tutte queste modalità corrispondono diverse condizioni di salario e di controllo. Ciò che le unifica, al di là della diversa occupazione, è il fatto che il lavoratore migrante è costretto a una condizione di insicurezza lavorativa e sociale che non è né occasionale né temporanea. Sosteniamo, quindi, che il lavoro migrante oggi è la condizione che anticipa e condivide le condizioni generali in cui viene erogato il lavoro contemporaneo nel suo complesso. In questo senso, si può dire che tutto il lavoro contemporaneo sta divenendo migrante. Il carattere d’anticipazione che gli deve essere riconosciuto, tuttavia, non è relativo solamente a questa sua situazione oggettiva. È cioè certamente vero che i lavori dei migranti vengono generalmente svolti in condizioni di precarietà, flessibilità e ricattabilità, che si avviano a diventare, e in gran parte già sono, le caratteristiche di tutto il lavoro contemporaneo. Proprio questa condizione ha mostrato, con largo anticipo, quanto sterile fosse distinguere e persino contrapporre un lavoro ipoteticamente garantito a uno non garantito. Ha mostrato che oramai il confine non è solo labile se si guarda alle garanzie giuridiche, ma soprattutto non esiste se si considerano gli elementi di precarietà lavorativa e sociale, che innervano i contratti a tempo indeterminato sia nel settore privato sia nel pubblico impiego. Vi è certamente una specificità che non va mai dimenticata. I lavori dei migranti corrono sempre il rischio di essere marchiati come “lavoro in pelle nera” e, anche quando la pelle non fa la differenza, come lavoro che può essere discriminato, incarcerato ed espulso solo perché straniero.