Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Ordinanza Tribunale di Genova del 19 aprile 2004

Diritto dello straniero ad accedere al pubblico impiego

osserva:

in linea di fatto, deve anzitutto rilevarsi che, nella fattispecie qui in esame, il ricorrente non è stato escluso dall’ammissione al concorso né da alcuna delle sue fasi successive. Al contrario, egli è risultato 59° nella graduatoria approvata con deliberazione 24/12/2003, per cui in questo caso non sono pertinenti i richiami che la ASL convenuta fa alla giurisdizione amministrativa sulle controversie concernenti la regolarità delle procedure concorsuali per assunzione dei dipendenti della P.A.. In questa sede non è richiesta tanto, per la verità, una distinzione tra giurisdizione ordinaria o amministrativa, quanto una precisazione tra competenza (e rito) relativi alle controversie sull’instaurazione del rapporto di lavoro e competenza e rito relativi agli atti discriminatori.
Ma nella specie la discriminazione lamentata dal sig. El Mostafa Albaz non riguarda né un atto del concorso, né –a ben vedere- una mancata assunzione, ma soltanto la comunicazione del suo esito; è proprio nell’atto che comunicava al ricorrente che egli aveva superato il concorso, anzi, che il Direttore amministrativo della ASL ha introdotto una riserva motivata dalla cittadinanza marocchina dell’infermiere in questione, ed è solo di questa comunicazione (ripetuta dagli atti precedenti, i quali sono rimasti però assorbiti nella comunicazione finale) che deve discutersi in questa sede.

Se la ASL avesse infatti comunicato al sig. El Mostafa la sua esclusione dall’assunzione, allora egli avrebbe potuto ricorrere alle sedi giurisdizionali competenti per un provvedimento di mancata assunzione; ma contro una riserva “di acquisire il parere, a tutt’oggi non ancora pervenuto” da parte del Dipartimento della Funzione pubblica e del Ministero della Salute, non resta allo straniero se non rilevare il carattere discriminatorio di una simile comunicazione, che lo pone in una sorta di limbo giuridico, di dipendenza dai tempi e dall’arbitrio della P.A., quasi che in Italia la materia dei concorsi pubblici potessero regredire ad una sorta di compiacente beneplacito di qualche sovrano.
In questo caso, dunque, non è necessario ordinare alla ASL 3 alcuna assunzione, avendo già essa riconosciuto al ricorrente il diritto ad essere assunto; ciò che deve essere rimosso (e su ciò non possono esservi dubbi in tema di giurisdizione) è solo quella arbitraria riserva, che degrada di fatto il diritto dello straniero ad essere assunto (o al limite ad essere escluso, potendo poi ricorrere alla tutela giurisdizionale) ad una indeterminata aspettativa di beneficio.

Sebbene, dunque, i termini di questa vertenza non lo rendano necessario, il giudicante ritiene comunque doveroso rilevare alcune inesattezze contenute negli atti difensivi della ASL, nella parte in cui gli stessi affermano che gli infermieri professionali possono essere assunti da enti ospedalieri solo se cittadini italiani o comunitari. Infatti in materia di impiego pubblico è tradizionale la distinzione tra posti e funzioni per i quali è prescritto, per la particolare natura delle funzioni, la cittadinanza italiana come requisito indefettibile, ed altri posti che, invece, non presentano questa specifica problematica. Questa distinzione trova espressione nell’art. 27 del dlgs 286/1998, che al comma 3 conferma l’efficacia (“rimangono ferme”) delle disposizioni precedenti “che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per lo svolgimento di determinate attività”; la stessa distinzione ritorna, del resto, anche nell’art. 38 del DL 30 marzo 2001, n. 165, nel quale nuovamente solo ad un decreto del Presidente del Consiglio è data facoltà di individuare quegli specifici “posti e funzioni” per i quali non può prescindersi dalla cittadinanza.

E’ quindi la lettera stessa della legge che chiarisce senza possibilità di dubbio l’abrogazione, da parte della legge speciale sull’immigrazione, delle disposizioni precedenti riguardanti non “determinati attività” (il ricorrente ha giustamente ricordato le funzioni di polizia, i militari, le guardie giurate, magistrati anche onorari ecc.) ma l’impiego pubblico in generale.

Per tutte le altre vale dunque il principio enunciato dall’art. 2 della legge speciale sull’immigrazione, che riconosce “i diritti in materia civile riconosciuti al cittadino italiano” allo straniero regolarmente soggiornante. E che la specifica attività di infermiere non sia inclusa tra le attività “determinate” per le quali la cittadinanza italiana è presupposto di assunzione lo conferma, in modo altrettanto chiaro, il primo comma dell’art. 27 che nomina, alla lett. r-bis) gli “infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche”; per tutte le categorie indicate nel primo comma la legge prevede, in verità, la possibilità introdurre con regolamento di attuazione “particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro”, ma tale facoltà non è stata esercitata dal Governo, per cui non può, ad oggi, che darsi attuazione (senza che possano essere di volta in volta improvvisate “modalità e termini” non in sede di regolamento di attuazione ma ad arbitrio dai singoli funzionari pubblici) alla regola generale della parità tra cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornati.

Del resto, la portata abrogativa della legge sull’immigrazione trova ancora più esplicita enunciazione, per quanto attiene all’iscrizione agli Albi professionali, nell’art. 37 (dove si parla di “deroga alle disposizioni che prevedono il requisito della cittadinanza italiana”; ed è sufficiente scorrere le categorie indicate dal primo comma dell’art. 27 (oltre agli infermieri vengono nominati i professori universitari, i dirigenti, i traduttori) per rilevare la natura sostanzialmente professionale di molte delle attività indicate.

A compimento del già avvenuto superamento del concorso, è dunque necessario confermare il decreto 19 marzo 2004, che ha rimosso gli effetti della riserva illegittimamente apposta alla comunicazione di assunzione. Ma proprio l’emanazione di quel decreto rende dubbia richiesta risarcitoria, del resto non accompagnata da alcuna prova.

Quanto alle spese, si deve riconoscere che la tecnica legislativa, che affida (come nella specie) ai silenzi la soluzione dei problemi più delicati, costringendo la PA ad esercizi, non agevoli, di interpretazione normativa può costituire ragione di compensazione, almeno sino a quando il legislatore non decida di emanare i provvedimenti attuativi limitativi annunciati e mai approvati, o sino a quando non si sia formata una risposta giurisprudenziale che possa orientare gli amministratori.

PQM

disattesa ogni i diversa domanda ed eccezione, conferma il decreto 19 marzo 2004. Compensa integralmente le spese del giudizio.

Genova 19 aprile 2004

Il giudice monocratico

dott. Paolo Martinelli