Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Ordinanza Tribunale di Genova del 19 marzo 2004

Diritto dello straniero ad accedere al pubblico impiego

Il Giudice monocratico,

provvedendo sul ricorso presentato da Daniela Violeta Neamtu in data 19.3.2004;

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Con ricorso in data 19.3.2004, la cittadina rumena Daniela Violeta Neamtu, residente in Genova e munita di regolare permesso di soggiorno in Italia, faceva presente di avere presentato domanda di ammissione al Concorso per n. 29 collaboratori professionali sanitari, bandito dalla ASL n. 3 Genovese, a mezzo pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Liguria, in data 27.3.2002, concorso aperto a tutti i cittadini italiani “salve le equiparazioni stabilite dalle leggi vigenti”. Dopo avere sostenuto le relative prove, essa aveva ricevuto dalla ASL comunicazione, in data 22.1.2004, che, “essendo stata classificata al 48° posto con punti 66/100 nella graduatoria del concorso pubblico (…), con deliberazione n. 1744 del 24.12.2003”, era stata disposta la sua assunzione a tempo indeterminato quale “Collaboratore Professionale Sanitario – Infermiere 7 Categoria D”, con riserva di acquisire il parere, “a tutt’oggi non ancora pervenuto” del Dipartimento della Funzione Pubblica – Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della Salute. Nella stessa comunicazione veniva fatto presente all’interessata che sia la “assunzione a tempo indeterminato” sia “la conseguente immissione in servizio” erano differite, “ad ogni fine ed effetto, fino all’acquisizione del succitato parere”. Successivamente, nonostante alcune richieste formali di vedere riesaminata la sua posizione, di conoscere le ragioni della sua mancata e/o differita assunzione, e comunque “di essere assunta ed immessa in servizio avendone diritto”, la ricorrente non riceveva più alcuna comunicazione ufficiale da parte dell’Azienda sanitaria.
Tutto ciò premesso la ricorrente si rivolgeva a questo Tribunale per ottenere: a) la rimozione degli effetti della discriminazione, e/o l’ordine alla convenuta di cessare dal comportamento operato con il provvedimento di non ammissione al lavoro, e/o l’annullamento o la dichiarazione di inefficacia del provvedimento di esclusione e/o riserva, ed ogni altro provvedimento e/o comportamento presupposto, connesso o consequenziale; b) l’ordine alla ASL 3 di confermare senza riserve l’assunzione a tempo indeterminato della ricorrente quale Collaboratrice Professionale Sanitazria – Infermiere – Categoria D e/o comunque di ammetterla al lavoro fattivo; c) la condanna dell’Azienda ASL 3 a risarcire alla ricorrente il danno causato dall’atto di discriminazione, in misura pari alle retribuzioni perdute dalla data in cui essa doveva essere assunta, o nella quantità di retribuzione meglio vista; d) la condanna dell’Azienda ASL a risarcire alla ricorrente il danno, causato dall’atto di discriminazione de quo, ulteriore rispetto alle retribuzioni perdute, patrimoniale e non patrimoniale, ai sensi del comma 7 dell’art. 44 del D. Leg.vo n. 286/1998, da liquidarsi in via equitativa nella misura meglio vista.
Alla luce del contenuto del ricorso questo giudice, con decreto in data 22.3.2004, ordinava in via di urgenza alla ASL 3, in persona del legale rappresentante pro tempore, di procedere agli atti necessari per rendere attuale e perfetta l’assunzione di Daniela Violeta NEAMTU come “Collaboratore Professionale Sanitario – Infermiere 7 Categoria D” .
Successivamente si costituiva nel presente procedimento la ASL convenuta, eccependo in via preliminare la carenza di giurisdizione del Tribunale adito (sussistendo, a suo avviso, la competenza del giudice amministrativo, venendo contestata la regolarità della procedura concorsuale di assunzione), sostenendo la legittimità del comportamento tenuto dall’Azienda e, comunque, l’assenza di profili discriminatori nella sua condotta (non essendo mai stato abrogato l’art. 2 del T.U. delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato, che prevede la riserva di accesso al pubblico impiego a favore dei soli cittadini italiani), instando quindi per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ed evidenziando infine l’infondatezza di ogni pretesa risarcitoria.
Sulla base delle difese esposte, in sede di prima udienza, veniva anche richiesta la sospensiva del decreto inaudita altera parte emesso da questo giudice
In occasione della prima udienza interveniva nel presente giudizio, ad adiuvandum della ricorrente, la Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori di Genova, chiedendo l’accertamento delle eventuali discriminazioni compiute dalla ASL n. 3 “Genovese”, l’accoglimento del ricorso proposta dalla signora Daniela Violeta Neamtu e, conseguentemente, l’ordine nei confronti della Azienda sanitaria convenuta di rimuovere le “discriminazioni accertate”, nonché l’ordine alla predetta ASL “di definire (…) un piano di rimozione delle discriminazioni accertate”.
Sempre nel corso della prima udienza il difensore della ricorrente, richiamate tutte le proprie difese, insisteva per l’accoglimento del ricorso, opponendosi alla richiesta di sospensiva del decreto inaudita altera parte, e chiedeva altresì l’integrazione del decreto in questione, insistendo affinché venisse disposta l’assunzione in servizio della ricorrente nella posizione che essa avrebbe avuto “se chiamata correttamente al momento dell’introduzione in servizio”, secondo la graduatoria conseguita.
Questo giudice riservava al merito la decisione sulla richiesta di integrazione dell’originario provvedimento proposta dal legale di parte ricorrente, mentre accoglieva la richiesta di sospensiva dell’efficacia del decreto emesso inaudita altera parte formalizzata dalla parte convenuta.
L’udienza, sull’accordo delle parti, veniva rinviata per discussione e in tale sede i difensori, dopo un’ampia trattazione orale, richiamavano le conclusioni di cui alle precedenti difese, con la precisazione che il difensore della ricorrente rinunciava alla richiesta integrazione del provvedimento formalizzata in occasione della prima udienza, e chiedeva pertanto che la propria assistita venisse assunta “nella posizione ritenuta dall’Amministrazione”.
Per quanto riguarda le questioni pregiudiziali deve, innanzi tutto, essere esaminata l’eccezione preliminare, sollevata dall’azienda convenuta, di difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. L’eccezione è infondata in quanto, pacificamente, nel caso in esame, è già stata affermata dalla stessa amministrazione interessata il diritto della ricorrente all’assunzione, come si ricava dalla deliberazione n. 1744 in data 24.12.2003 dell’Azienda interessata. In altre parole, con l’approvazione della graduatoria finale, l’assunzione della signora Neamtu si è già perfezionata, e non possono quindi più entrare in gioco questioni attinenti alle modalità di svolgimento della procedura concorsuale. Neppure si potrebbe ipotizzare sussistere la competenza funzionale del giudice del lavoro proprio perché, come si è anticipato, nella presente fattispecie, non viene in discussione il diritto della ricorrente all’assunzione, ma l’esistenza o meno di un atto discriminatorio avente ad oggetto la comunicazione dell’esito del concorso da parte della ASL 3 “Genovese”. Ed infatti é proprio in tale fase di comunicazione che la convenuta, nel confermare che era stata disposta l’assunzione della ricorrente a tempo indeterminato, introduceva la “riserva” (non prevista dalla legge, né inserita nel bando di concorso) di acquisire un parere da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica e del Ministero della Salute.
In considerazione di quanto sopra esposto ricorre, quindi, senza dubbio alcuno, la competenza di questo giudice ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2 e 44 del D. Leg.vo 25 luglio 1998, n. 286 (così come modificato dalla legge n. 189/2002), in forza del quale lo straniero regolarmente soggiornante sul territorio italiano può rivolgersi alla magistratura per chiedere l’accertamento di una discriminazione commessa ai suoi danni da un privato o dalla pubblica amministrazione, e per ottenere in caso positivo la rimozione degli effetti.
Venendo al merito, il ricorso della signora Daniela Violeta Neamtu deve trovare accoglimento alla luce delle motivazioni che seguiranno.
Per quanto concerne l’aspetto normativo, deve innanzi tutto essere sottolineata la portata innovativa del citato decreto legislativo che ha consacrato, nel suo art. 2, il principio in forza del quale la nostra Repubblica (anche in attuazione delle convenzioni internazionali in vigore, e dei principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti) “garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani“.
In argomento non pare inopportuno richiamare qui la sentenza della Corte Costituzionale, n. 454/1998, la quale, sia pur con riguardo alla materia dell’avviamento obbligatorio, ha affermato il diritto dell’invalido civile extracomunitario, legalmente soggiornante in Italia, ad accedere al lavoro subordinato “in condizioni di parità con i cittadini italiani”. La dottrina, pur dando atto del carattere meramente interpretativo della sentenza (la quale affermava l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata sul presupposto erroneo che la normativa non riconoscesse tale diritto), aveva sottolineato la rilevante portata dei suoi effetti, tali da determinare una vera e propria “estensione” del diritto. Con tale pronuncia lo stesso Giudice delle Leggi, al di là della specificità del caso esaminato, aveva ribadito di non nutrire alcun dubbio circa il fatto che i diritti attribuiti dalla nostra Costituzione nella materia economico-sociale trovano applicazione a prescindere dalla cittadinanza (per una precedente affermazione del principio della “territorialità” della legislazione sociale, si v. sent. n. 369/1985).
Tornando alla presente fattispecie, se è incontestabile, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, che il bando di concorso pubblico in questione tra i requisiti generali di ammissione indicava la cittadinanza italiana (o di uno dei Paesi dell’Unione Europea), “salve le equiparazioni stabilite dalle leggi vigenti“, non pare dubbio che, come confermato dalla giurisprudenza amministrativa (si v. ad es. TAR Liguria, 22 marzo – 13 aprile 2001, ric. Rehhal Oudghough), il requisito della cittadinanza non debba intendersi “necessario per i soggetti equiparati per legge ai cittadini italiani“. Del tutto condivisibilmente il giudice amministrativo, nel caso esaminato (riguardante proprio l’esclusione di un cittadino extracomunitario da un concorso pubblico per infermiere professionale), ha affermato che limitare l’equiparazione in questione alla sola ipotesi di datori di lavori “privati” risulterebbe “palesemente illogico per violazione del fondamentale principio di uguaglianza”, aggiungendo non essere ravvisabile alcuna lesione di interessi fondamentali ed inderogabili della collettività nel fatto di consentire ad uno straniero di partecipare a pubblico concorsi per la copertura di posti “che, per esplicita previsione, non sono riservati in via esclusiva a cittadini italiani”.
In sostanza si può affermare che la attuale normativa in materia di stranieri ha di fatto abrogato la regola generale in forza della quale esisteva una riserva di accesso al pubblico impiego a favore dei soli cittadini italiani. Restano ferme, invece, le precedenti disposizioni inerenti allo svolgimento di “determinate attività” (o funzioni) quali ad esempio quelle svolte dai poliziotti, dai militari, dalle guardie giurate, dai magistrati, ecc. (si v. in tal senso Trib. Genova, ord. 19 aprile 2004, est. Martinelli, ric. El Mostafa). Analogamente si esprime il terzo comma dell’art. 27 del D. leg.vo n. 286/1998 che fa appunto salve “le disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per lo svolgimento di determinate attività.”. La stessa dizione è utilizzata dal più recente D. Leg.vo 30 marzo 2001, n. 165, il cui art. 38, 2° comma, riserva espressamente ad un decreto del Presidente del Consiglio la facoltà di individuare quei “posti” e quelle “funzioni” per i quali non si può prescindere dal possesso della cittadinanza italiana. Da ciò deriva che, in assenza di disposizioni restrittive in relazioni a specifiche attività, vale la regola generale enunciata dalla legislazione speciale in tema di immigrazione, e segnatamente il già citato art. 2 attestante “la parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti” tra il lavoratore straniero regolarmente soggiornante nel nostro paese, e il lavoratore italiano.
Per quanto ancora specificamente concerne il nostro caso la riprova che l’attività di infermiere non sia compresa tra quei “posti” determinati per i quali la cittadinanza italiana è presupposto di assunzione, lo si ricava espressamente dalla lett. r-bis dell’articolo 27, comma 1°, del D. Leg.vo n. 286/1998 (tra l’altro espressamente aggiunto dalla c.d. legge Bossi – Fini, la n. 189/2002), che riguarda appunto “gli infermieri professionali assunti presso strutture pubbliche“. Tra le categorie di lavoratori indicati dalla norma da ultimo citata emerge la natura “professionale” di numerose attività indicate, ed è significativo, a questo proposito, che l’art. 37 dello stesso testo normativo consenta agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (in possesso dei “titoli professionali legalmente riconosciuti”) l’iscrizione agli Albi professionali “in deroga alle disposizioni che prevedono il requisito della cittadinanza italiana”.
Tornando al tema dello svolgimento di attività lavorativa da parte degli stranieri, è vero che il legislatore, in via prudenziale, proprio nello stesso art. 27, 1° comma, ha previsto che il regolamento di attuazione possa disciplinare “particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro”, ma è altrettanto vero che tale facoltà, sino ad oggi, non è stata esercitata, con la conseguenza che deve trovare applicazione la regola generale della parità tra lavoratori italiani e stranieri come sopra si è specificato. In altre parole, posto che nella sede propria, vale a dire quella regolamentare, il Governo non ha ritenuto di intervenire, il diritto dello straniero regolarmente soggiornante a svolgere un’attività lavorativa consentita dalle leggi dello Stato, in forza dei titoli professionali in suo possesso e dell’avvenuto superamento di un pubblico concorso per esami e titoli, non può certo essere compresso secondo l’arbitrio delle singole amministrazioni. Come già affermato da questo Tribunale in relazione ad analoga fattispecie (decreto 19 marzo 2004, est. Martinelli, ric. El Mostafa), non vi è infatti rispondenza alcuna “tra il dettato legislativo e l’attribuzione ad una qualsiasi Autorità amministrativa del potere di definire la portata dei diritti soggettivi spettanti al singolo cittadino straniero in base alla legge”.
Alla luce di quanto sopra esposto il quesito se l’avere differito, da parte della ASL 3 Genovese, l’assunzione e l’immissione in servizio della ricorrente fino all’acquisizione del parere da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica – Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministro della Salute (non previsto né dalla legge, né dal bando di concorso), integri “una discriminazione per motivi razziali” è certamente positiva. Si può quindi concludere che la mancata assunzione del ricorrente, vincitore di concorso pubblico, quale collaboratore professionale sanitario, costituisce un atto discriminatorio non fondato su altro che non sia la cittadinanza extracomunitaria della signora Daniela Violeta Neamtu.
D’altro canto la nozione di discriminazione (“diretta”), che si ricava dall’art. 2 del D. Leg.vo 9 luglio 2003, n. 215, è proprio il “trattamento” meno favorevole che una persona riceve a causa della sua razza o della sua origine etnica”, e che un’altra persona , non di quella razza o non di quella origine etnica, “in situazione analoga” non avrebbe ricevuto.
Ai sensi dell’art. 44 del D. Leg.vo n. 286/1998 è quindi compito del giudice “ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo (…) a rimuovere gli effetti della discriminazione”. A tal fine deve essere qui confermato il decreto in data 22.3.2004, emesso inaudita altera parte, previa revoca della sospensiva degli effetti esecutivi (disposto con provvedimento interlocutorio in data 2.4.2004) del suddetto decreto, con il quale era stato ordinato alla ASL 3 Genovese di procedere immediatamente a tutti gli atti necessari per rendere attuale e perfetta l’assunzione di Daniela Violeta Neamtu come “Collaboratore Professionale Sanitario – Infermiere 7 Categoria D”.
Per quanto concerne le domande di natura risarcitoria proposte dalla ricorrente, esse devono venire respinte poiché non sono state accompagnate da nessuna prova.
Per quanto riguarda, infine, la materia delle spese, tenuto conto delle difficoltà interpretative rese inevitabili dai silenzi della normativa, e conseguentemente della delicata posizione in cui, anche per l’assenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati, si è venuta a trovare la ASL 3 Genovese, sussistono giusti motivi per una declaratoria di integrale compensazione delle stesse.

P.Q.M.

Visto l’art. 44 del D. Leg.vo n. 286/1998 e successive modifiche;
disattesa ogni diversa domanda ed eccezione conferma il decreto emesso in data 22 marzo 2004;
dichiara integralmente compensate tra le parti del giudizio le spese di lite.

Genova, 21 aprile 2004.
Il Giudice
Dr. F. Mazza Galanti