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Ricongiunzione familiare – La Questura di Vicenza impone nuove regole per i certificati

Com’è noto, il regolamento di attuazione (D.p.r. 394/1999) del Testo Unico sull’Immigrazione prevede (art. 6) che per il rilascio del visto d’ingresso alla ricongiunzione familiare si debba preventivamente ottenere il nulla osta da parte della questura competente; con il nulla osta le persone interessate alla ricongiunzione devono poi recarsi alla rappresentanza consolare italiana operante nel loro Paese, presentando i certificati di cui chiedono la legalizzazione ai fini del rilascio del visto d’ingresso.
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La documentazione da presentare:
1) il regolamento d’attuazione prevede che presso la questura ci si debba limitare a indicare le generalità delle persone aventi diritto per le quali si richiede il ricongiungimento e a documentare la situazione di reddito del richiedente e la situazione alloggiativa, con tanto di certificato di idoneità dell’alloggio.

2) I certificati che attengono al vincolo di tipo familiare che giustifica la richiesta di ricongiunzione familiare (i presupposti di parentela, matrimonio, minore età, inabilità al lavoro e convivenza), devono essere esibiti presso la rappresentanza consolare italiana che provvede a verificarli, legalizzarli e quindi – a fronte del nulla osta già rilasciato dalla questura – a rilasciare il visto di ingresso (v.art.6, comma 2, regolamento di attuazione D.P.R.394/99).

Il lavoratore interessato quindi si presenta in questura, limitandosi ad indicare le generalità dei familiari di cui vuole richiedere il ricongiungimento e a quel punto la questura rilascia il nulla osta. E’ solo con il nulla osta che i familiari si presenteranno al consolato italiano nel loro Paese portando i certificati rilasciati dalle autorità locali, in base ai quali risultano essere coniuge, figli, ecc.; in tale occasione questi certificati vengono controllati, legalizzati e, quindi, viene rilasciato il visto d’ingresso (v.art.6, comma 3, regolamento di attuazione D.P.R. 394/99).

In altre parole, il regolamento di attuazione ha a suo tempo stabilito una regola di organizzazione che evita di duplicare il lavoro e, soprattutto, di intasare le questure, essendo sufficiente che sia l’ambasciata o la rappresentanza consolare italiana a verificare che il certificato di nascita o di matrimonio sia autentico ed effettivamente rilasciato dalle autorità costituite in quel paese in base alla legge dello stesso, senza che questa verifica debba essere fatta dalla questura non avendo la stessa gli strumenti per procedere ad una verifica effettiva e diretta.
Si tratta quindi di una, pur limitata, semplificazione della procedura per ricongiunzione familiare che è tuttora vigente, in base al menzionato regolamento di attuazione.

Così sarà finché non entrerà in vigore il nuovo regolamento di attuazione, previsto in base alla legge Bossi – Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189), che dovrà peraltro regolamentare anche la procedura di autorizzazione alla ricongiunzione familiare che si prevede sia seguita direttamente dalle prefetture (U.t.g. – Uffici territoriali del Governo). Non che questo cambierà particolarmente le cose, ma va comunque sottolineato che il nuovo regolamento di attuazione non è stato ancora approvato e, quindi, per il momento si continua ad applicare la “vecchia” procedura presso le questure.

Ciononostante, ci viene segnalato da Vicenza che la questura ha inventato una nuova procedura, contraria alle regole tuttora vigenti e contenute nel regolamento di attuazione, stabilendo che non basta più che gli stranieri che vogliono chiedere la ricongiunzione familiare portino in questura la documentazione relativa al reddito e all’alloggio, ma devono portare anche i certificati relativi ai rapporti familiari già preventivamente legalizzati presso il consolato italiano del paese di provenienza.
Cosa che comporta un’enorme perdita di tempo e soprattutto un enorme rallentamento delle pratiche di ricongiunzione familiare; ma si può solo sperare che lo scopo non fosse questo.

Infatti non è sufficiente che il lavoratore che già vive e lavora regolarmente in provincia di Vicenza prepari la sua dichiarazione dei redditi, l’ultima busta paga, il contratto di affitto della casa insieme al certificato di idoneità dell’alloggio per presentarsi in questura. La Questura di Vicenza ha di fatto prolungato ulteriormente la procedura pretendendo che gli interessati si facciamo predisporre dai parenti ancora in patria i certificati, li facciano portare all’ambasciata italiana, attendano chissà quanto tempo per la legalizzazione dei medesimi, per poi reinviarli in Italia. Solo allora la Questura accetta di rilasciare l’appuntamento all’interessato – naturalmente con i tempi di attesa del caso – perché possa presentare tutti i certificati al fine del rilascio del nulla osta alla ricongiunzione familiare.
Ecco che poi il nulla osta viene rispedito in patria, dove i familiari si ripresentano presso il consolato italiano (con ulteriori tempi di attesa) per presentare il nulla osta insieme a tutta la documentazione che era stata precedentemente legalizzata dallo stesso consolato.

Questa procedura è assurda, e, si precisa, non assolve a nessuna reale esigenza di tutela della legalità, dal momento che prima dell’arrivo in Italia per ricongiungimento familiare e prima del rilascio del visto di ingresso, ci ha comunque sempre pensato (e con quanto zelo, basti pensare alla frequentissima casistica di rifiuto di legalizzazione per sospetta falsità o irregolarità dei certificati di matrimonio o di nascita !) il consolato italiano a controllare che le persone indicate nel nulla osta della questura, fossero effettivamente i parenti interessati in base alla legge e fossero effettivamente muniti di certificati ritenuti legali ed idonei.
Non vi è quindi una logica in base alla quale spiegare questa particolare procedura.
E’ da notare soprattutto che questa procedura è contraria all’art 6 del regolamento di attuazione che al comma 2 prevede chiaramente che “la questura rilascia il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione da parte dell’autorità consolare italiana della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età, inabilità a lavoro e di convivenza”.

In altre parole la norma presuppone che la questura non debba richiedere prima questi certificati, ma rilasci il nulla osta che potrà essere poi validamente utilizzato a condizione che presso la rappresentanza consolare italiana vengano successivamente prodotti questi certificati.

Si evidenzia che la questura di Vicenza non solo contraddice la sopra menzionata norma, ma anche una circolare – espressamente riferita all’entrata in vigore della legge Bossi-Fini – del Ministero dell’Interno del 26 novembre 2002 che fa riferimento alla formulazione dell’art. 29 del T.U. sull’Immigrazione come modificato dalla legge Bossi-Fini, spiegando che questa nuova norma ha demandato presso lo sportello unico delle prefetture lo svolgimento del procedimento connesso al rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare e ricordando che l’art. 34 comma 1 della stessa legge Bossi Fini ha previsto che il funzionamento dello sportello unico per l’immigrazione debba essere organizzato in base ad un nuovo regolamento d’attuazione.
La circolare precisa che durante il periodo necessario ad adottare il nuovo regolamento di attuazione – quindi ad organizzare l’attività di rilascio dell’autorizzazione alla ricongiunzione famigliare presso gli Uffici territoriali del Governo – continua ad applicarsi il regolamento di attuazione attualmente vigente (d.p.r. n. 394/1999).

In altre parole la circolare non ha inventato niente e né avrebbe potuto farlo, ma si limita a precisare che in attesa del nuovo regolamento vale ancora il vecchio regolamento e che questo espressamente esclude che le questure debbano richiedere i certificati provenienti dai Paesi di provenienza dei famigliari interessati alla ricongiunzione, confermando invece che – solo successivamente – devono essere esibiti direttamente presso il consolato italiano competente, unitamente al nulla osta già rilasciato dalla Questura.

È tutto molto chiaro e lo dice una norma di legge.
Non si comprende quindi perché la Questura di Vicenza abbia ritenuto di organizzare diversamente la procedura; senza contare poi che molti consolati continuano a rispettare le norme e quindi rifiutano di rilasciare attestati legalizzati quando i famigliari non hanno già ottenuto il nulla osta da parte della questura competente.
Ne discende che la procedura introdotta dalla questura di Vicenza non manca di generare confusione e di provocare l’inutile accesso presso le sedi consolari dei famigliari che magari devono partire da lontano chissà con quali sacrifici economici e attese per poter poi penetrare nella sede consolare. Un inutile accesso perché poi quando queste persone si presentano per richiedere la legalizzazione dei certificati, si sentono rispondere che “potranno chiederla solo quando si presenteranno muniti del nulla osta rilasciato dalla Questura”.

La Questura di Vicenza invece dice “io ti accetto la domanda solo se mi porti i certificati già legalizzati dal Consolato italiano”.

Insomma è il cane che si morde la coda.
Nessuno comincia perché qualcun altro deve cominciare prima e questo non assolve a nessuna esigenza di tutela dell’ordine pubblico perché semmai può spingere qualche famigliare ormai disperato a tentare la sorte e quindi ad entrare illegalmente nel territorio italiano.