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Commento all’ordinanza della Corte Costituzionale sull’ammissione al gratuito patrocinio per gli immigrati irregolari

Ammissione al patrocinio a spese dello Stato dello straniero privo di codice fiscale perché irregolare nel territorio italiano

Non è necessario il codice fiscale, ma basta indicare le proprie generalità e il domicilio all’estero.

Affrontiamo un’altra questione di illegittimità costituzionale.

Si tratta di una decisione della Corte Costituzionale del 14 maggio 2004 (ordinanza n. 144), avente ad oggetto la questione di legittimità costituzionale dell’art 79 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, contenuto nel Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, che disciplina le condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

Si premette che, nei procedimenti penali, civili ed amministrativi, oggi la legge disciplina in maniera più organica il diritto di tutte le persone di essere assistite da un avvocato scelto di propria fiducia e pagato a spese dello Stato nel caso non abbiano sufficienti mezzi di sostentamento.

La questione di cui si occupa in questo caso la Corte Costituzionale riguarda una specifica problematica che è sempre stata sofferta dai cittadini stranieri, che al momento in cui hanno avuto bisogno di difendersi attraverso il gratuito patrocinio, se lo sono quasi sempre visti negare perché non erano in possesso del famoso codice fiscale.

La Corte Costituzionale esamina la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79 del D.P.R. 115/2002 di cui sopra nella parte in cui prevede a pena di inammissibilità della domanda di ammissione al patrocinio dei non abbienti, l’indicazione del codice fiscale, anche nel caso si tratti di cittadino straniero irregolarmente presente nel territorio italiano. Si precisa che questi non potrà mai avere il codice fiscale, perché ormai è prassi costante presso gli uffici competenti, il rifiuto del rilascio del tesserino di codice fiscale a chi non dispone di un permesso di soggiorno.

La questione di cui si occupa la Corte Costituzionale trae spunto da un procedimento penale che si svolse davanti al Tribunale di Roma (che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con ordinanza del 15 luglio 2003) nei confronti di un cittadino straniero che chiese di essere ammesso al gratuito patrocinio e di poter dunque avere un avvocato di sua fiducia pagato dallo Stato, dichiarando di non avere nessun mezzo di sussistenza né in Italia né all’estero.
Ma tutto venne bloccato perché questo signore non era in grado di dichiarare il proprio codice fiscale e, quindi, si ritenne di non poter ammettere la domanda dello stesso al gratuito patrocinio poiché mancante di uno degli elementi richiesti dalla legge.

I principi cui si riferisce la Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale sostanzialmente richiama i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico in materia di diritto di difesa. Prima di tutto l’art. 24 della Costituzione che sancisce la garanzia di accesso alla giustizia anche ai non abbienti, garanzia che costituisce un diritto inviolabile, riconosciuto all’uomo in quanto tale a prescindere dal fatto che si tratti di una persona straniera o italiana e che sia in condizioni regolari o irregolari di soggiorno in Italia.
Inoltre la Corte Costituzionale non manca di richiamare il diritto alla difesa e alla difesa gratuita sancito a livello internazionale. Infatti l’art 6, comma 3, lettera c) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge n. 848 del 4 agosto 1955), garantisce al cittadino italiano o straniero di poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio.
L’art 14, comma 3, lettera d) del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (reso esecutivo in Italia con legge n. 881 del 25 ottobre 1977) prevede espressamente il diritto dell’imputato a vedersi assegnato un difensore d’ufficio gratuitamente, qualora non abbia i mezzi per pagarlo.

Queste garanzie sono evidentemente riferibili anche allo straniero, senza che si debba opeare una distinzione rispetto alla presenza regolare o irregolare dello stesso. E’ chiaro che una persona accusata di reato ha il diritto di difendersi indipendentemente dal fatto che abbia o non abbia il permesso di soggiorno, anche perché il diritto di difesa è un diritto riferibile a tutte le persone, secondo la Costituzione, e non soltanto ai cittadini.

Sulla base di queste convenzioni internazionali – sottoscritte dall’Italia e, dunque, vincolanti – oltre alla violazione dell’art 24 della Costituzione, la Corte Costituzionale ritiene violato anche l’art 10 della Costituzione che, appunto, vincola il legislatore italiano per quanto concerne specificamente la condizione giuridica dello straniero, a conformarsi ai principi stabiliti negli accordi internazionali.

Se gli accordi internazionali citati sono assolutamente chiari nel garantire che il diritto di difesa, nel caso in cui non vi siano mezzi economici, è a spese dello Stato, è chiaro che una legge italiana che fosse interpretata nel senso di non consentire (per motivi puramente burocratici) la difesa gratuita, sarebbe incostituzionale in quanto violerebbe l’obbligo del legislatore italiano di conformarsi ai trattati internazionali.

La questione può essere in realtà definita senza sancire l’illegittimità costituzionale, ossia senza che vi sia la necessità di abrogare la legislazione in materia di esercizio del gratuito patrocinio – art. 79 del D.P.R. 115/2002 citato – ma semplicemente interpretandola nel senso di non considerare obbligatoria la tessera del codice fiscale. E’ stata la stessa Avvocatura dello Stato a costituirsi in giudizio osservando che la questione può essere in realtà agevolmente superata attraverso una corretta interpretazione, che per esser tale deve essere anzitutto “letta” in conformità con i parametri costituzionali richiamati.
L’Avvocatura precisa che l’art. 6, comma 2, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 605 (Disposizioni relative all’anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti), prevede espressamente che l’obbligo di indicazione del numero di codice fiscale dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato, cui tale codice non risulti attribuito, si intende adempiuto con la sola indicazione dei dati di cui all’art. 4 – dello stesso d.p.r. – con l’eccezione del domicilio fiscale, in luogo del quale va indicato il domicilio o sede legale all’estero. Il richiamato art. 4, comma 1, lettera a), del d.p.r. n. 605 del 1973 richiede, ai fini dell’attribuzione del numero di codice fiscale delle persone giuridiche, esclusivamente i seguenti dati: cognome, nome, luogo e data di nascita, sesso e domicilio fiscale. La legge 605/1973 che ha istituito il codice fiscale, si basa essenzialmente sulle generalità del soggetto.
Ecco che, nel caso in cui fosse materialmente impossibile ottenere il codice fiscale, come per lo straniero irregolare, sarà possibile in alternativa far valere comunque il diritto al gratuito patrocinio, semplicemente indicando i dati di cui sopra che vengono poi utilizzati per comporre il codice fiscale.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che questa interpretazione fosse la più corretta.

Si tratta evidentemente di una questione che in molti casi ha dato luogo alla impossibilità di esercitare il diritto di difesa.
Confidiamo che questo non accada più perché sarà possibile scegliere un avvocato che potrà serenamente essere pagato (prima o poi) dallo Stato per l’attività svolta, senza rischiare di vedere bloccato questo meccanismo del gratuito patrocinio soltanto perché manca il numero di codice fiscale.