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da Il Manifesto del 19 giugno 2004

Meno rifugiati, più cacciati di Tiziana Barrucci

Non bastano gli accordi di pace o i cessate il fuoco per fare in modo che i rifugiati tornino alle loro case, ma ci vogliono investimenti e più risorse da parte dei paesi industrializzati». Va subito al dunque Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) quando parla della situazione di più di diciassette milioni di persone sparse per il mondo. «Pensate a quello che sta avvenendo in Sudan e nella regione del Darfur – ricorda – una crisi invisibile annunciata da tempo che però solo ora, e in forte ritardo, sta attirando l’attenzione dei paesi ricchi». L’occasione per parlare di rifugiati arriva a Boldrini dalla conferenza stampa indetta ieri a Roma per celebrare la Giornata mondiale del rifugiato, prevista in tutto il mondo per domani e «intitolata», quest’anno, «Un posto chiamato casa». Perché «perdere la propria casa può tradursi nella perdita della propria identità – continua il rappresentante Unhcr in Italia Walter Irvine – ma nonostante la loro sofferenza, i rifugiati non abbandonano mai il sogno di tornare ad avere una `casa’ e tutto ciò che vuol dire: affetti, calore, sicurezza e senso di appartenenza».

Numeri in calo
Quale la soluzione per queste persone, quindi? L’Unhcr ne individua tre. Secondo Irvine si deve «permettere al rifugiato di tornare a casa, oppure di farsene una nuova nel paese che temporaneamente gli ha concesso l’asilo o, ancora, inviarlo in una terza nazione disposta ad accoglierlo». Soluzioni, ritiene oggi l’Alto commissariato, che assieme al «rinnovato impegno della comunità internazionale» hanno contribuito alla diminuzione del numero di rifugiati nel mondo nel 2003 , calato secondo le cifre ancora provvisorie compilate dalla Population data unit dell’agenzia Onu del 18 per cento rispetto all’anno precedente. Una situazione «dovuta in buona parte alla conclusione, seppure a volte non in maniera completa, di situazioni di crisi e di conflitti – spiega Boldrini – come quella afgana, o di molti stati africani quali l’Angola, il Burundi, la Liberia, la Sierra leone». Ma non solo. «E’ indiscutibile – prosegue – che questa diminuzione del numero dei rifugiati, sia frutto anche delle politiche di restringimento di molti governi dei paesi d’arrivo. Che vuol dire, anche, «rimpatri non del tutto volontari».

Caso Italia
D’altronde di una politica di restringimento, anche se non esattamente in questi termini, ha parlato anche ieri Andrea Ronchi, del coordinamento di Alleanza nazionale, puntando soprattutto l’attenzione sul tema della sicurezza. «Siamo concentrati soprattutto perché possano andare di pari passo avanti il concetto di solidarietà, quindi il diritto di accoglienza e il concetto di sicurezza – ha spiegato parlando dell’Italia e della proposta di legge sull’asilo – un binomio sul quale non possiamo fare alcun tipo di passo indietro perché dobbiamo sì da una parte accogliere, ma dall’altra garantire la sicurezza del nostro paese».

Una questione, questa della sicurezza, che torna sempre in Italia quando si parla di diritto d’asilo, e si esplicita nelle contraddizioni politiche che stanno mettendo in difficoltà il varo di una legge specifica. Del suo iter e dei problemi che la normativa sta affrontando in parlamento ne ha parlato direttamente il suo relatore, Antonio Soda, presidente del comitato per la legislazione della camera. Sono diversi secondo Soda i nodi principali: scelta dell’organo di esame della domanda, delle procedure da mettere in atto, dello status da riconoscere ai richiedenti e della tutela giurisdizionale. Emendamenti incrociati da destra e sinistra stanno minando la legge, che forse a luglio passerà al varo della camera, dopo aver superato il parere della commissione affari costituzionali e giustizia, «ma se non si raggiungerà un equilibrio – ha annunciato Soda – sarò il primo io a dimettermi e questa sarà una legge solo della maggioranza. E i numeri italiani? E’ la Boldrini che, citando fonti del ministero degli interni, rivela quelli inediti per il 2003. «Nonostante non sia ufficiale l’ammontare delle domande d’asilo presentate – spiega, citando stime che parlano di circa 14mila persone – si sa che quelle esaminate dalla commissione centrale sono 12.912, di cui 3.207 respinte, 7.348 decadute perché il soggetto non è stato più reperibile e 1.678 si sono trasformate in permessi per motivi umanitari.