Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Ordinanza Tribunale di Genova del 26 giugno 2004

Partecipazione ai concorsi pubblici dei cittadini non comunitari

Il Giudice monocratico, provvedendo sul ricorso presentato da *** in data 29.6.2004;

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Con ricorso in data 28.5.2004, la cittadina peruviana ***, residente in Genova e munita di regolare Carta di soggiorno in Italia, faceva presente di avere presentato domanda di ammissione alla selezione per “posti di operatori professionale sanitario ctg. B, livello economico super Bs. Operatore Socio Sanitario, bandito dalla Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova”. Precisava la ricorrente che l’avviso pubblico di selezione, alla voce “requisiti generali di ammissione” prevedeva, tra l’altro: “cittadinanza italiana, salve le equiparazioni stabilite dalle leggi vigenti, o cittadinanza di uno dei Paesi dell’Unione Europea”. Sottolineava inoltre la signora *** che, successivamente, a mezzo missiva in data 9.6.2004, sottoscritta dal Direttore U.O. Risorse Umane della menzionata Azienda Ospedaliera, Dr.ssa Claudia Storace, le veniva comunicato che, con provvedimento n. 1531 del 31.5.2004, era stata disposta la sua esclusione dall’Avviso pubblico in oggetto, “in quanto l’attuale legislazione italiana (…) parifica, alla luce della normativa comunitaria, i cittadini CEE a quelli italiani, dando implicitamente atto che l’accesso al Pubblico Impiego è precluso ai candidati extra-comunitari.”

Tutto ciò premesso la ricorrente si rivolgeva a questo Tribunale per ottenere:
a) la rimozione degli effetti della discriminazione, e/o l’ordine alla convenuta di cessare dal comportamento operato con il provvedimento di non ammissione alla selezione pubblica e/o annullare e/o dichiarare inefficace il provvedimento di esclusione detto, “nonché con riguardo ad ogni altro provvedimento e/o comportamento presupposto, connesso o consequenziale”;
b) l’ordine alla Azienda Ospedaliera di ammettere senza riserve la ricorrente “alla formulazione della graduatoria per cui venne emanato l’Avviso Pubblico de quo per titoli a posti di operatore professionale sanitario ctg. B. livello economico super Bs, Operatore Socio Sanitario”;
c) la condanna dell’Azienda Ospedaliera a risarcire alla ricorrente il danno causato dall’atto di discriminazione de quo, patrimoniale e non patrimoniale, nella misura di euro 20.000,00 o da liquidarsi nella misura maggiore o minore meglio vista se del caso in via equitativa.

In occasione della prima udienza interveniva nel presente giudizio, ad adiuvandum della ricorrente, la Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori di Genova, chiedendo l’accertamento delle eventuali discriminazioni compiute dalla Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino, l’accoglimento del ricorso proposta dalla signora *** e, conseguentemente, l’ordine nei confronti della Azienda ospedaliera convenuta di rimuovere le “discriminazioni accertate”, nonché l’ordine alla predetta Azienda “di definire (…) un piano di rimozione delle discriminazioni accertate”.

In considerazione di quanto sopra esposto non è contestato nel caso in esame che l’esclusione della ricorrente dal concorso in questione sia stata decisa dall’Azienda Ospedaliera sul presupposto, già sopra esplicitato, che l’attuale legislazione italiana “parifica, alla luce della normativa comunitaria, i cittadini CEE a queffi italiani, dando implicitamente atto che l’accesso al Pubblico Impiego è precluso ai candidati extracomunitari.”

L’Azienda Ospedaliera, nella sua memoria di costituzione, dopo avere affermato di essere “totalmente indifferente al fatto che soggetti non comunitari partecipino alle selezioni per l’assunzione di personale”, e di essere quindi disponibile ad “accettare di buon grado qualsiasi decisione del giudice”, ha sostenuto di non avere assolutamente inteso operare discriminazione alcuna nei confronti della ricorrente in ragione dell’essere la stessa extracomunitaria, ma di avere semplicemente fatto applicazione del DPR n. 220/2001, “espressamente emanato per disciplinare le assunzioni nel Servizio Sanitario Nazionale”, il quale al suo art. 2, tra i “requisiti generali di ammissione”, prevede appunto la cittadinanza italiana, salve le equiparazioni stabilite dalle leggi vigenti, o cittadinanza di uno dei Paesi dell’Unione europea”.

Sotto il profilo strettamente processuale la convenuta ha inoltre eccepito la carenza di giurisdizione del Tribunale adito, poiché, ai sensi dell’art. 63 del D. Leg.vo n. 165/2001, “restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.”

Tutto ciò esposto si deve preliminarmente risolvere l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla convenuta. Ad avviso di questo giudicante l’eccezione non pare cogliere nel segno in quanto, per le ragioni che saranno esplicitate nel prosieguo della motivazione (e che sono strettamente connesse con il merito del presente ricorso), gli effetti insiti nell’esclusione posta in essere dall’amministrazione ospedaliera comportano un’oggettiva discriminazione nei confronti della ricorrente. In proposito l’art. 43 del D. Leg.vo n. 286/1998 recita espressamente che “costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata su (…) l’origine nazionale o etnica (…), e che abbia (…) l’effetto di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.”. E’ chiaro quindi, da un lato, l’irrilevanza nel caso in esame di una volontà discriminatoria o meno dell’azienda ospedaliera, essendo sufficiente, per le ragioni di cui si dirà nell’immediato prosieguo, il verificarsi di un effetto discriminatorio, e dall’altro che non può dubitarsi del fatto che per un extracomunitario, per di più dotato di un diploma di infermiere conseguito in Italia, e regolarmente soggiornante nel nostro paese, il venire escluso, per il solo fatto di una diversa origine nazionale rispetto a quella degli altri concorrenti, da un concorso pubblico, compromette gravemente quell’esercizio “in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali” e, in particolare, il diritto al lavoro che è costituzionalmente tutelato. Non è un caso, del resto, che l’art. 2 del D. Leg.vo citato, al suo comma 3, preveda espressamente che la Repubblica Italiana garantisce (in attuazione della Convenzione OIL n. 143/1975, ratificata con legge n. 158/198 1) “a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio (…) parità di trattamento e piena uguaglianza di diritto rispetto ai lavoratori italiani.”. Evidentemente, proprio per la rilevanza del principio affermato, il legislatore ha inteso inserire all’interno dello stesso Testo Unico sull’immigrazione, e segnatamente nel suo art. 44, una procedura rapida e facilmente accessibile (in quanto esperibile presso tutti i Tribunali della Repubblica), finalizzata alla opposizione da parte dello straniero, avanti alla autorità giudiziaria ordinaria, di un’azione civile contro la discriminazione subita.

Venendo al merito la tesi di fondo della resistente, secondo cui gli infermieri professionali potrebbero essere assunti da enti ospedalieri solo se cittadini italiani o comunitari è, ai sensi della vigente normativa, destituita di ogni fondamento. Se, infatti, come in precedenza esposto, è incontestabile che il bando di concorso pubblico in questione tra i requisiti generali di ammissione indicava la cittadinanza italiana (o di uno dei Paesi dell’Unione Europea), “salve le equiparazioni stabilite dalle leggi vigenti”, non pare dubbio che, come confermato dalla giurisprudenza anuni.nistrativa (si v. ad es. TAR Liguria, 22 marzo – 13 aprile 2001, ne. Rehhal Oudghough)~ il requisito della cittadinanza non debba intendersi “necessario per i soggetti equiparati per legge ai cittadini italiani”. Del tutto condivisibilmente il giudice amministrativo, nel caso esaminato (riguardante proprio l’esclusione di un cittadino extracomunitario da un concorso pubblico per infermiere professionale), ha affermato che limitare l’equiparazione in questione alla sola ipotesi di datori di lavori “privati” risulterebbe “palesemente illogico per violazione del fondamentale principio di uguaglianza”, aggiungendo non essere ravvisabile alcuna lesione di interessi fondamentali ed inderogabili della collettività nel fatto di consentire ad uno straniero di partecipare a pubblico concorsi per la copertura di posti “che, per esplicita previsione, non sono riservati in via esclusiva a cittadini italiani”.

In sostanza si può affermare che la attuale normativa in materia di stranieri ha di fatto abrogato la regola generale in forza della quale esisteva una riserva di accesso al pubblico impiego a favore dei soli cittadini italiani. Restano ferme, invece, le precedenti disposizioni inerenti allo svolgimento di “determinate attività” (o finzioni) quali ad esempio quelle svolte dai poliziotti, dai militari, dalle guardie giur.’te, dai magistrati, ecc. (si v. in tal senso Trib. Genova, ord. 19 aprile 2004, est. Martinelli, ne. Ei Mostafa). Analogamente si esprime il terzo comma deli’art. 27 del D. leg.vo n. 286/1998 che fa appunto salve “le disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per io svolgimento di determinate attività.”. La stessa dizione è utilizzata dai più recente D. Leg.vo 30 marzo 2001, n. 165, il cui art. 38, 2° comma, riserva espressamente ad un decreto del Presidente del Consiglio la
facoìtà di individuare quei “posti” e quelle “funzioni” per i quali non si può prescindere dal possesso della cittadinanza italiana. Da ciò deriva che, in assenza di disposizioni restrittive in relazioni a specifiche attività, vale la regola generale enunciata dalla legislazione speciale in tema di immigrazione, e segnatamente il già citato art. 2 attestante “la parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti” tra il lavoratore straniero regolarmente soggiornante nel nostro paese, e il lavoratore italiano. Per quanto ancora specificamente concerne il nostro caso la riprova che l’attività di infermiere non sia compresa tra quei “posti” determinati per i quali la cittadinanza italiana è presupposto di assunzione, lo si ricava espressamente dalla lett. r-bis dell’articolo 27, comma l~, del D. Leg.vo n. 286/1998 (tra l’altro espressamente aggiunto dalla c.d. legge Bossi – Fini, la n. 189/2002), che riguarda appunto “gli infermieri professionali assunti presso strutture pubbliche”. Tra le categorie di lavoratori indicati dalla norma da ultimo citata emerge la natura “professionale” di numerose attività indicate, ed è significativo, a questo proposito, che l’art. 37 dello stesso testo normativo consenta agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (in possesso dei “titoli professionali legalmente riconosciuti”) l’iscrizione agli Albi professionali “in deroga alle disposizioni che prevedono il requisito della cittadinanza italiana”.

Tornando al tema dello svolgimento di attività lavorativa da parte degli stranieri, è vero che il legislatore, in via prudenziale, proprio nello stesso art. 27, 10 comma, ha previsto che il regolamento di attuazione possa disciplinare “particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro”, ma è altrettanto vero che tale facoltà, sino ad oggi, non è stata esercitata, con la conseguenza che deve trovare applicazione la regola generale della parità tra lavoratori italiani e stranieri come sopra si è specificato. In altre parole, posto che nella sede propria, vale a dire quella regolamentare, il Governo non ha ritenuto di intervenire, il diritto dello straniero regolarmente soggiornante a svolgere un’attività lavorativa consentita dalle leggi dello Stato, in forza dei titoli professionali in suo possesso e dell’avvenuto superamento di im pubblico concorso per esami e titoli, non può certo essere compresso secondo l’arbitrio delle singole amministrazioni.

Alla luce di quanto sopra esposto si può quindi ribadire che l’esclusione della ricorrente dal concorso pubblico in questione costituisce un atto discriminatorio non fondato su altro che non sia la cittadinanza extracomunitaria della signora Sofia Nancy TORES MENDOZA.

Poiché, ai sensi dell’art. 44 del D. Leg.vo n. 286/1998, è compito del giudice “ordjnare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo (….) a rimuovere gli effetti della discriminazione”, va ordinato alla Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova di procedere immediatamente a tutti gli atti necessari per consentire alla ricorrente di essere ammessa, senza riserve, alla selezione per posti di operatori professionale sanitario ctg. B, livello economico super Bs. Operatore Socio Sanitario bandito dalla Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova, di cui alla delibera n. 185 del 22.1.2004, previa revoca del provvedimento di esclusione di cui al provvedimento n.

1531 del 3 1.5.2004..

Per quanto concerne le domande di natura risarcitoria proposte dalla ricorrente, esse devono venire respinte poiché non sono state accompagnate da nessuna prova, essendo comunque auspicabile che l’ammissione della signora *** alla selezione sopra precisata, per quanto successiva, le consenta di evitare i pregiudizi paventati.
Per quanto riguarda, infine, la materia delle spese, tenuto conto delle difficoltà interetative rese inevitabili dai silenzi della normativa, e dalla sostanziale novità della questione, sussistono giusti motivi per una declaratoria di integrale compensazione delle stesse.

P.Q.M.

Visto l’art. 44 del D. Leg.vo n. 286/1998 e successive modifiche; ORDINA all’Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche. Universitarie Convenzionate di procedere immediatamente a tutti gli atti necessari per consentire alla ricorrente di essere ammessa, senza riserve, alla selezione per posti di operatori professionale sanitario ctg. B, livello economico super Bs. Operatore Socio Sanitario bandito dalla Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova, di cui alla delibera n. 185 del 22.1.2004, previa revoca del provvedimento di esclusione di cui al provvedimento n. 1531 del 31.5.2004.. Respinge la domanda di risarcimento del danno formulato dalla ricorrente. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite.

Il Giudice

Dr. F. Mazza Galanti

Genova, 19 luglio 2004.