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da Il Manifesto del 27 luglio 2004

Profughi tutti espulsi, caso chiuso di Giorgio Salvetti

Via tutti. L’odissea italiana dei naufraghi della Cap Anamur è finita. Ieri le autorità italiane hanno spedito in Ghana anche gli ultimi 6 profughi che erano detenuti nel centro romano di Ponte Galeria, dopo che nei giorni scorsi erano riusciti a ritardare la partenza ribellandosi al rimpatrio forzato quando già erano sull’aereo. In mattinata sono stati trasferiti dal cpt a Fiumicino, ognuno scortato da due agenti di polizia in borghese. Li hanno fatti aspettare due ore in un androne nascosto, poi, con i polsi legati da manette di plastica, sono stati imbarcati alla volta di Malpensa. Nel pomeriggio sono stati trasferiti su un altro volo diretto alla capitale ghanese, Accra. Poco importa se non hanno mai smesso di dichiarare di non essere ghanesi ma sudanesi, l’Italia se ne è liberata senza tanti complimenti, senza fornire informazioni sulle procedure con cui sono stati effettuati gli accertamenti per stabilirne la provenienza e infischiandosene del diritto internazionale. Gli avvocati Fabio Baglioni e Simona Sinopoli, che hanno seguito la loro vicenda, raccontano che domenica pomeriggio i sei erano stremati e rassegnati all’idea di dover partire, ma ancora chiedevano di tornare in Sudan. Sabato scorso i due avvocati erano riusciti ad entrare a Ponte Galeria, grazie all’intervento del senatore Antonello Falomi (lista Occhetto-Di Pietro). «Finalmente eravamo riusciti a visionare i fascicoli che li riguardano – racconta Baglioni – ma contenevano solo un certificato di richiesta per un viaggio d’emergenza dell’ambasciata ghanese e i biglietti aerei: nessuna carta che spiegasse come si è arrivati a sostenere che fossero davvero del Ghana».

Quale sarà il loro destino è difficile dirlo, dal Ghana giungono notizie frammentarie sulla sorte toccata agli altri 26 profughi che li hanno preceduti. Da un paese vicino ad Accra gli avvocati sono riusciti a contattare Silvester, uno dei 26 già costretti a partire che sin dall’inizio ha dichiarato di essere originario della Sierra Leone. Le autorità ghanesi, raccontano, dopo aver accettato di farlo entrare nel paese, non gli avrebbero dato nessun documento che accerti formalmente la sua nazionalità né il permesso di restare in Ghana: dunque Silvester è «senza patria» e starebbe cercando di procurarsi i documenti per poter ritornare in Sierra Leone. Domani, intanto, l’avvocatura dello Stato è chiamata a dare una prima spiegazione sulle procedure con cui è stata determinata la nazionalità dei profughi della Cap Anamur di fronte al tribunale civile a cui è stata presentato il ricorso contro le espulsioni. La discussione di merito è fissata per l’autunno. Ma ormai i profughi della Cap Anamur sono tutti partiti.

La storia di questi disperati può solo servire da esempio emblematico nella discussione sull’immigrazione. Se ne è riparlato anche ieri durante il meeting internazionale sulle migrazioni organizzato a Loreto dai padri scalabriniani. Il segretario della Cisl, Savino Pezzotta, ritornando sulla Cap Anamur ha detto che si tratta di una vicenda «di cui dobbiamo vergognarci». E la colpa, ha aggiunto Pezzotta, in una sorta di autocritica, «non è sempre degli altri: se il clima presso l’opinione pubblica fosse stato diverso, tutto questo non sarebbe accaduto». Appunto. E’ stato un intervento, il suo, per ribadire anche che «l’Italia è l’unico paese ancora privo di una legislazione sul diritto d’asilo» e che il governo deve rivedere la legge Bossi-Fini. Niente di più lontano dall’autocritica, invece, l’atteggiamento del ministro Pisanu, il quale continua a dare i numeri a milioni sulla presunta invasione africana e, tanto per svelenire il clima, rispolvera il progetto di prendere le impronte digitali agli stranieri. Per Paolo Cento (Verdi) il ministro farebbe meglio a «rispondere ai rilievi mossi all’Italia in sede internazionale per la vergognosa gestione dei profughi della Cap Anamur»; per Gabriele Pistone (Pdci), «evidentemente la vicenda della Cap Anamur non è servita a niente». Evidentemente.