Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

tratto da Migra news

“Siamo più europei di voi se non ce lo impedirete”: a Cecina una giornata con i rom

di Daniele Barbieri

Ecco la cronaca dettagliata di questo intenso incontro, con la sola avvertenza che proprio i tempi lunghi e il dibattito senza un attimo di respiro hanno reso difficile controllare tutto: dunque ci si scusa in anticipo per un paio di nomi omessi e qualche possibile storpiatura.

A coordinare il dibattito è Roberto dell’Arci. Ricorda come la situazione in Italia sia differenziata – e molto – fra regione e regione; come il diritto alla casa (che già è difficile da ottenere) non basti se poi si è esclusi dall’integrazione; infine che l’incontro odierno serve a verificare se/come potrebbe nascere una rete fra le associazioni già esistenti dei rom in Italia. Anche in Toscana, spiegheranno poi alcuni esponenti delle istituzioni, la situazione muta da zona a zona. Il numero dei rom è cresciuto in regione (soprattutto a Firenze e Pisa) dopo le guerre nell’ex Jugoslavia; e in effetti sarebbe più corretto parlare di profughi.

Inizia ricordando lo scomparso Dino Frisullo, “un grande amico nostro, come degli immigrati”, l’intervento del presidente di un’associazione dei rom a Firenze che pone subito una delle domande-chiave: “perché l’Europa nascente non ci riconosce come suoi cittadini?” e aggiunge che in molti Paesi (anche in Italia) “restiamo senza identità, visto che ai nostri figli non viene riconosciuta la nazionalità del luogo in cui nascono”. Altro punto che tornerà poi più volte nel pomeriggio: “Non è vero che ci siamo abituati alle roulottes o ai campi. Molti di noi vivevano da tempo in normalissime case che abbiamo dovuto lasciare perché bombardate. Il diritto a un alloggio è importante ma lo è altrettanto il riconoscimento della nostra storia, della nostra intellettualità”.

Viene da Venezia, “dove le cose non vanno male” Baskim. Per anni – racconta – ha fatto il giornalista in tv e radio di lingua rom a Pristina. “Morirono oltre tre milioni di rom sotto Hitler e nella seconda guerra mondiale, anche se pochi lo ricordano… Noi speravamo che tempi così bui non sarebbero più tornati e invece siamo stati quasi cancellati dall’ex Jugoslavia senza che il mondo chiedesse dove eravamo finiti”. Grazie a Bettin, il vice-sindaco, “a Venezia i campi sono stati chiusi e noi siamo in case popolari, assieme agli italiani, non in ghetti. Molti ragazzi lavorano. Vivere nei campi significa essere esposti al degrado, alla prostituzione, alle mafie”.

“Ci piacerebbe avere a Verona un vice-sindaco come Bettin e invece…” esordisce Lorenzo dell’associazione solidale Cesar K: “Per 10 anni le amministrazioni del centro-destra hanno impedito a rom e profughi di entrare a Verona, anzi hanno tentato di allontanare dalla città persino i sinti italiani. Poi è arrivato il centro-sinistra che ha aperto i campi, ripetendo gli errori di tante altre amministrazioni. E non è l’unica sciocchezza: pochi giorni fa alcune famiglie rom di origine rumena sono state sgomberate basandosi sulla legge Bossi-Fini: c’era già un aereo pronto e siccome con sono riuscito a riempirlo hanno rastrellato a casaccio un altro po’ di rumeni in città”.

Viene dai campi di vicolo Salvini, a Roma, Milovic. Denuncia che la città non ha una politica abitativa per i rom, “sono stati progettati solo pre-fabbricati ma i lavori adesso sono fermi e non si sa il perché”. Chiede – fra gli applausi – che ai rom venga riconosciuta una cittadinanza europea anziché nazionale.

“Mi considero un rifugiato, vengo dalla Mecedonia; quando alla polizia ho chiesto asilo mi hanno risposto che io ero un extra-comunitario e basta” spiega Dzevat Etem che è anche fondatore del Teatro Roma di Skopje: “Ora a Pisa c’è un sindaco pacifista che ci dà una chance. E’ previsto un villaggio con una quindicina di casa o forse dovremmo dire baracche. Ma mentre partiva questo programma è arrivata nel pisano altra gente in fuga dalla Macedonia dove si svolge una guerra non dichiarata e dunque quel progetto per 500 persone non funziona per il centinaio di nuovi giunti”. Anche per questo – insiste Etem – serve una catena solidale di tutte le associazioni dal Veneto alla Sicilia (questo tipo di appello, nel corso del pomeriggio, sarà sempre sottolineato da applausi). “Noi chiediamo lavoro non elemosina. E vogliamo che tutti i nostri figli vadano a scuola, come accade a Pisa. Ma in questo Paese oggi è difficile essere zingari, come ci chiamate voi, è un peso insopportabile”. Etem è co-autore, con Alessandra Genovesi e Michele Barontini, di un libro prezioso che fa circolare fra i presenti: Ma te bistra Romane – Per non dimenticare il Romanè è uscito a marzo dall’editore Felici, grazie alla “conferenza dei sindaci articolazione zona pisana”. E’ un prezioso excursus su storia e tradizioni rom ma anche feste, matrimoni, il comparatico (l’usanza dei compari), la circoncisione, religione, musica, teatro, cibo, abbigliamento, alfabeto, favole… Chi desideri una copia del libro può contattare (al 339 7046603) direttamente l’autore.

“Casa, lavoro, istruzione sono alla base di ogni civiltà ma a noi vengono negate, per questo siamo cittadini di serie B, C, D… I campi restano la più grande vergogna”. E’ a Firenze anche Demir Mustafa. “Come mediatore giuridico-culturale, in 4 lingue, di storie brutte ne conosco tante ma quelle che più mi colpiscono riguardano la discriminazione dei bambini”. Legge qualche brano dei tanti documenti ufficiali dell’Unione europea che riconoscono pieni diritti ai rom. “Si parla di integrazione, poi ci tengono separarati da tutti gli altri. Per noi droga e alcolismo sono una novità, trovata nei campi; in Kosovo non c’erano. Le nostre associazioni non hanno neppure un luogo per incontrarsi; gli enti locali dovrebbero darci questa possibilità. Propongo che la Regione Toscana si impegni almeno per creare un’Accademia della lingua e della cultura rom, simile a quella di Trieste”.

Da poche settimane Marzia Gentilini lavora all’ufficio del vice-sindaco di Firenze. “Qualcosa sapevo ma esser qui ad ascoltarvi è importante per me. Ci conosciamo pochissimo, ci parliamo poco e perciò anche chi fa politica in modo sincero è spesso impreparato; temo che sui diritti umani ancora si faccia demagogia e da qui nascono incomprensioni e quell’atteggiamento, così negativo, di sopportazione. Abbiamo firmato da poco un protocollo sui diritti dei rom, può essere una buona dose di partenza”. C’è una notazione da aggiungere; capita spesso, in convegni o incontri, che i politici o gli amministratori vengano a dire qualche (bella) parola per poi sparire – talvolta giustificandosi con impegni veri o verosimili – senza ascoltar nessuno. Va dato atto che Gentilini non si è mossa sino alla fine: a confermare con i fatti quella voglia d’ascolto che aveva annunciato.

Appunti interessanti anche da Lorenzo Monista che da due anni lavora con i rom a Pisa: “Siamo a metà strada. Oggi molte persone sono fuori dai campi. Il villaggio è la soluzione giusta o no? La discussione è sempre benvenuta. Sono progetti spesso impopolari: nella recente campagna elettorale l’assessore non poteva aprir bocca nei quartieri dove c’è una presenza rom. Eppure non abbiamo fatto nulla di speciale, solo restituire diritti che erano stati tolti”.

Senza neanche il tempo per rifiatare, si passa alla seconda parte del laboratorio, centrato sulle prospettive europee.

“Le problematiche rom hanno una dimensione tipicamente urbana ma anche sul livello di quell’Europa, così terremotata negli ultimi due decenni” introduce Sergio Giovagnoli dell’Arci. “E’ antica 10 secoli l’integrazione dei rom. Eppure in Italia come in altri Paesi, dove la situazione addirittura è regredita negli ultimi anni; la condizione dei bambini o degli anziani sarebbe considerata disumano per chi non fosse rom. E’ importante il riconoscimento della vostra storia e cultura. Girano ancora tante balle come l’idea che l’impiego fisso non è cosa per voi: eppure chi conosce Torino sa che quando la Fiat tirava c’erano tanti rom a lavorarci”. Scoppia un grande applauso quando Giovagnoli aggiunge che “voi e gli ebrei siete forse più europei di chiunque altro, proprio perché avete attraversato tante frontiere”. Le risoluzioni europee e locali ci sono – insiste – “manca la politica cioè la loro applicazione”. Per questo varrebbe forse la pena discutere se convenga partire con una campagna sulla “cittadinanza europea dei rom”, scavalcando per ora le questioni nazionali. Un’altra proposta interessante è creare un sito rom, in più lingue, aperto a tutti. Poi Giovagnoli passa il microfono, ricordando che “quest’ultimo triste anno, oltre che Frisullo e Benetollo, ci ha portato via anche Miki, un eccezionale mediatore culturale e un grande amico”.

Zoran Lapov che lavora a Scienze della formazione nell’università di Firenze racconta dei “progetti di ricerca europei per rom e sinti” fra cui RomEco che nel periodo 200-’06 dovrebbe monitorarne l’inserimento lavorativo e formativo nei 15 Paesi partner “nonché dare origine a una rete europea per scambiarsi informazioni e soprattutto buone pratiche”. Per decenni in Italia non si è riconosciuta l’esistenza di minoranze (d’antico insediamento) sinti e rom, dunque nessun accesso ai fondi – spiega Lapov – eppure qualcosa di positivo si è tentato, “anche l’esperienza, poco nota, delle cooperative dell’area fiorentina”.

Tocca al vulcanico, simpaticissimo ma anche lucido e arrabbiato Rudko Kawczynsky, da 70 giorni presidente dell’European Forum Roman, ong (organizzazione non governativa) riconosciuta anche come istituzione europea.

“Vorrei cominciare con un avvertimento: parole come migrazioni, integrazione, rifugiati e anche esperti vanno usate in modo preciso. Qui vedo persone che erano integrate in Jugoslavia, dove vivevano da 900 anni e sono dovute scappare; difficile definirli migranti, semmai profughi no? Ora la Jugoslavia non esiste più e in quei Paesi che ne sono usciti si danno etichette a tutti e fra esse quella di rom. Mi sembra d’ascoltare un disco rotto: si parla tanto di noi ma senza la nostra partecipazione. Potrebbe esistere un ministro rom? C’è stato in Bulgaria… ma preferiva non ricordare le sue origini. La parola esperti mi fa pensare a chi viviseziona le rane o a quei bianchi che vorrebbero tutti i neri ubbidienti come lo zio Tom. Ci sono tante raccomandazioni a livello europeo sui rom: in parole povere significa che chi non ci rispetta sta violando i diritti umani. Perché un rom non potrebbe frequentare una scuola normale? Eppure accade. Obbligare le persone a vivere separate da altre si chiama apartheid, razzismo. I ghetti dovrebbero scomparire subito. Potete immaginare che oggi gli ebrei non possano vivere in Europa dove vogliono o che ci siano esperti che decidano dove essi devono studiare e lavorare? Ma per noi accade. Oggi in Slovacchia il 20 per cento della popolazione è rom ma viene segregata e sono in corso programmi per sterilizzarne le donne. Vi chiedo: come può la Slovacchia far parte dell’Europa dei diritti? Capisco che non possiamo buttar fuori l’Italia (è una frase detta con tono sorridente) ma dovevamo prenderci pure questa Slovacchia? Sono circa 12 milioni i rom in Europa, come si fa a tenerli separati? Nel blocco dell’ex Unione Sovietica stanno accadendo cose gravi. A esempio in Romania dove il 90% dei rom ha perso il lavoro, è oggetto di duri attacchi fino a bruciare le loro case, non accede più ai servizi sanitari pubblici. Ma anche in Slovacchia i rom muoiono letteralmente di fame. Chi scappa da questi Paesi è un immigrato o un profugo? Si risponde purtroppo: sono zingari, creano problemi. Quello che è accaduto in Kosovo, nell’ex Jugoslavia mostra il fallimento della Nato, dell’Europa, della comunità internazionale: i rom avevano le loro case e ne sono stati cacciati”.

Dopo aver raccontato del recente accordo – “dopo negoziati e discussioni di tre anni” – fra le associazioni dei rom in Europa per creare il Forum, Rudko Kawczynsky annuncia che ci saranno le elezioni per creare un “Parlamento rom europeo”. Chiede, con tono volutamente provocatorio, che “dopo 30 anni di fallimenti, si smetta di finanziare progetti che ci riguardano… quei soldi devono servire a politiche sociali strutturali”. Esistono 200 sindaci rom in Europa, abbiamo i nostri partiti in Ungheria, Bulgaria eccetera “ma ancora non riusciamo a imporre che i nostri diritti siano rispettati”. Sarà l’impegno del prossimo decennio – annuncia – e sarà una lotta dura. I rom dovranno essere cittadini a pieno titolo nei luoghi dove vivono. Gli esperti potranno collaborare con noi… se decideremo che hanno le qualifiche giuste. Sì, siamo europei. Perciò dobbiamo combattere questa merda razzista che c’è in Europa”.

Alla lunga, calorosa relazione di Kawczynsky segue una serie di interventi, anch’essi molto applauditi. Una donna spiega i passi avanti fatti a Torino; Nando Sigona chiede “come lavorare in Italia dove non c’è una riconosciuta rappresentanza dei rom”; Sabatino Annecchiarico racconta che in Argentina nessuno si sognerebbe di impedire a un rom di abitare dove crede; “vi ringrazio” dice un’altra donna “perché siete forse l’unico popolo del mondo a non fare le guerre”.

Alla domanda di Sigona, Kawczynsky risponde che anche in altri Paesi non c’erano forme di auto-governo oppure c’erano tante rappresentanze, divise e litigiose: “bisogna imparare a unirsi e a negoziare, spero che nel 2004 accada anche in Italia”. A un altro quesito su come funziona l’European Forum Roman, si replica che “oltre ai 45 membri eletti nei Paesi del Consiglio d’Europa al Forum, che si riunirà almeno due volte l’anno, potranno assistere tutte le organizzazioni. I primi temi all’ordine del giorno sono i finanziamenti e la situazione dei profughi dell’ex Jugoslavia, ai quali sarebbe giusto che la Nato desse un rimborso per tutto ciò che hanno perso”.

Nonostante l’ora, ancora informazioni (“Il 30 luglio a Villa Strozzi di Firenze debutta il teatro rom”), domande. Chiede la parola Abdel, un immigrato africano che vive a Napoli: “So che a Strasburgo c’è una scritta: dove si vive in miseria, lì i diritti umani vengono violati. Se è così, non esiste diritto per i rom. Non è questione di budget ma di giustizia. Dobbiamo togliere di mezzo il muro che ci divide dai rom, illegale proprio come quel muro di Israele. Mobilitiamoci in Europa ma soprattutto a partire dai territori nei quali viviamo. Dove la situazione resta tragica: io vengo da Napoli dove da poco due rom sono stati assassinati nell’indifferenza quasi generale”. Poi una ragazza domanda se per le donne rom vige la “doppia esclusione”.

Grazie all’aiuto di un’ormai esausta traduttrice – ma anche facendosi capire con la mimica – Kawczynsky risponde a tutte le questioni poste. “Questo mi fa imbestialire. Volete sapere come si spendono i soldi stanziati dall’Europa per i rom profughi dell’ex Jugoslavia? Alcuni esperti molto ben pagati si riuniscono in alberghi a 5 stelle per sentenziare che sì, possono tornare, non ci sono più pericoli o forse che qualche problema ancora ci può essere e bisognerà fare altre ricerche, altri convegni per capire meglio. Le cifre davvero spese per i rom e con i rom sono ridicole, per questo dicevo che possono pure cessare. Io posso dimostrare che il 90 per cento di questi finanziamenti va in ricerche fatte su di noi per raccontare che viviamo male: è assurdo, perché sono gli altri che ci fanno vivere così. Ma i Paesi non cambiano le loro politiche ma solo chiedono agli esperti di studiare meglio la faccenda… Quanto alla doppia esclusione, credo che siamo l’unica ong in Europa ad avere inserito nello statuto l’obbligo alla pari rappresentanza dei sessi”.

L’orologio ha fatto gli straordinari: Kawczynsky deve prendere un volo per la Germania (“un tempo lì voi eravate tutti spaghetti, lo ricordate?”) e comunque bisogna sgombrare la sala. Ma fra i presenti è diffusa la sensazione che questo incontro di Cecina darà molti frutti.