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da Il Manifesto del 21 luglio 2004

Suicidi e rivolte nel cpt di Londra di Orsola Casagrande

Gli comunicano che sarà rimpatriato e si impicca nella stanza. E' l'ultimo caso di suicidio a Harmondsworth, il centro di permanenza chiuso ieri dopo l'ennesima protesta dei profughi

Gli hanno comunicato che la sua richiesta d’asilo non era stata accolta e che sarebbe stato rimpatriato. Il giovane trentenne si è ritirato nella sua cella e lì si è impiccato. L’hanno trovato senza vita verso le otto di lunedì sera. Difficile sapere il nome e la nazionalità dell’uomo, anche perchè il centro di detenzione per stranieri di Harmondsworth (nei pressi dell’areoporto di Heathrow) rimane inaccessibile da lunedì sera. Verso le 23 infatti, quando cioè la notizia del suicidio è trapelata, è scoppiata una rivolta. I quasi 440 uomini (tutti richiedenti asilo politico) rinchiusi nel centro si sono barricati nelle loro stanze. Qualcuno ha cominciato a distruggere letti e sedie, altri hanno acceso fuochi. Azioni disperate. L’ultimo atto di una tragedia che per molti dei detenuti è cominciata nei loro paesi: torturati, incarcerati, costretti a fuggire in esilio. Hanno raggiunto l’Inghilterra con la speranza di trovare accoglienza, magari di rifarsi una vita. Certamente di sfuggire alle persecuzioni dei loro paesi. Invece hanno trovato il carcere.

Infatti la Gran Bretagna del neo laburista Tony Blair i profughi (uomini, donne, bambini) li sbatte nei centri di detenzione. Carceri di massima sicurezza, solitamente gestiti da privati (Harmondsworth lo gestisce la Uk Detention Service, figlia della multinazionale Sodexho). Una sorta di terra di nessuno dove tutto diventa lecito. Perché controlli ce ne sono pochi. Le uniche denunce sono quelle delle associazioni che lavorano con e per i profughi che, tra mille difficoltà, riescono ad entrare, ad allacciare contatti con i detenuti e quindi a sapere che cosa davvero succede dentro questi non-luoghi.

«E’ un inferno – dice Ray, del comitato closedownharmondsworth – questa mattina (ieri, ndr) alle due mi hanno telefonato due ragazzi rinchiusi nel centro per dirmi che era in corso una rivolta. Mi hanno detto che si è suicidato un ragazzo e che le guardie del centro hanno chiesto l’intervento della polizia antisommossa. Adesso – aggiunge Ray – il ministero degli interni dice che è stato il suicidio a scatenare la rivolta. Ma la storia comincia molto più lontano». Infatti Harmondsworth è uno dei centri «peggiori» (ammesso che si possa fare una classifica del peggio) del paese. Aperto nel 2001, il centro può rinchiudere oltre 500 persone. Nel suo primo rapporto l’ispettrice delle carceri, Anne Owers, ha scritto che il centro è da ritenersi «un luogo non sicuro nè per i detenuti nè per lo staff». Le guardie sono «inesperte e incapaci di gestire un numero così alto di detenuti – ha scritto Owers – non hanno alcuna preparazione su come affrontare tentativi di suicidio e di autolesionismo». Che sono numerosissimi. E poi ci sono le denunce per le aggressioni delle guardie. «Abbiamo visto profughi con le ossa spezzate – dice Ray – persone che sono state umiliate e picchiate a sangue, con violenza inaudita. Alcuni ragazzi sono sottoposti a cure psichiatriche perché ormai hanno i nervi a pezzi».

La rivolta era nell’aria. «Un profugo è stato recentemente ucciso da un altro profugo – aggiunge Ray – poi c’è stato un altro suicidio. I tentativi di togliersi la vita non si contano. La tensione e lo stress sono altissimi». E questo dovrebbe essere un centro di «smaltimento veloce delle pratiche» (come si dice asetticamente in gergo). Eppure ci sono uomini rinchiusi qui dentro anche da nove mesi. In un regime di carcere duro. Per non aver commesso nessun reato, per non avere alcuna colpa: sono fuggiti dai loro paesi per rimanere vivi. Ieri il ministero degli interni ha confermato che i detenuti sono stati trasferiti in altri centri di detenzione. Impossibile sapere dove e se ci sono feriti.

A marzo 2004 erano 1600 i profughi rinchiusi nei centri di detenzione inglesi (80 da oltre un anno e 130 fino a 12 mesi), tra cui almeno 30 bambini. Mantenere in galera i profughi costa al governo dalle 400 alle 1600 sterline (dipende dal centro). Anche per questo il ministro degli interni David Blunkett ha annunciato che a settembre partirà in Scozia un progetto pilota di controllo elettronico di 70 profughi in attesa di sapere se verrà loro concesso asilo. Il controllo avverrà non attraverso i braccialetti elettronici usati per i detenuti in libertà condizonata, bensì attraverso speciali telefoni cellulari. I profughi verranno chiamati due o più volte al giorno. Un operatore rivolgerà alcune domande al profugo nella sua lingua per consentire al computer (che avrà preventivamente registrato la voce del profugo) di identificare se la persona che risponde è effettivamente il profugo e quindi di verificare la sua posizione. Le associazioni dei diritti umani hanno già annunciato battaglia.