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da Il Gazzettino del 10 agosto 2004

A Venezia 475 profughi hanno trovato casa e lavoro

Mestre
A Venezia l’esperienza dei campi profughi ha funzionato: «Dopo 8 anni i due campi che c’erano in terraferma sono stati smantellati e dei 500 ospiti che nel tempo sono stati accolti nelle due strutture ben 475 si sono inseriti nel tessuto abitativo, lavorativo e sociale del Veneto».

A tracciare un bilancio di otto anni d’iniziative rivolte ai profughi della ex Jugoslavia nel comune di Venezia è l’assessore alle Politiche sociali Giuseppe Caccia (Verdi) che ha raccolto dal suo predecessore il testimone di questa esperienza e l’ha poi traghettata fino alla definitiva conclusione.

«La strategia con la quale è stata gestita l’emergenza profughi e i successivi interventi d’accoglienza fin da subito è stata nell’ottica della continuità e della progettualità – spiega Caccia -. Scopo dell’intervento infatti era quello dell’inserimento nel tessuto sociale di queste persone che scappavano da una guerra, e pensare solo ad interventi di tipo assistenziale non sarebbe bastato».

Attraverso progetti mirati che hanno accompagnato passo dopo passo il percorso d’integrazione dei profughi e delle loro famiglie, infatti, i più piccoli hanno potuto frequentare la scuola mentre per i più grandi c’è stata la possibilità di un inserimento nel mondo del lavoro che, ad esperienza campi terminata, ha consentito a tanti nuclei familiari di acquistarsi una casa».

«Il Comune ha dato loro solo un piccolo contributo, per il resto ogni famiglia s’è fatta carico delle spese ed ha comprato casa un po’ in tutto il Veneto ortientale; in qualche occasione, visto che si trattava di famiglie rom composte anche da una ventina di persone, sono stati comprati dei vecchi rustici che poi sono stati ristrutturati. Quello che abbiamo voluto evitare in quest’ultima fase di definitiva integrazione sociale con il territorio è che si creassero dei ghetti etnici, e così l’acquisto delle case è stato indirizzato guardando ad un ampio settore di territorio».

Alcune famiglie, meno di dieci, sono state invece ospitate in alloggi del comune o dell’Ater. «In quei casi si trattava di persone già in graduatoria» spiega Caccia.

L’uscita da un’ottica puramente assistenziale, dunque, s’è rivelata la chiave vincente di questa esperienza che comunque ha creato anche qualche problema di convivenza tra i profughi e la popolazione locale. Il fatto che si sia lavorato in termini di progettualità, poi, ha consentito ai campi profughi di Venezia di continuare ad esistere anche quando il ministero dell’Interno (correva l’anno 1999 e a capo del Governo c’era Massimo D’Alema,ndr) dichiarò chiusa l’emergenza e tagliò i fondi.

«A Venezia venne deciso di continuare lo stesso anche perchè il Governo decise per l’intervento militare nell’ex Jugoslavia con le conseguenti nuove ondate di profughi; fu ribattezzato Mila, dal nome di una traduttrice che ci aiutava nel nostro lavoro e che è prematuramente scomparsa – prosegue Caccia – ed è costato alla collettività veneziana poco meno di due miliardi di vecchie lire l’anno».

Il primo dei due campi, quello a Zelarino, è stato chiuso nell’ottobre del 2001, l’altro, a San Giuliano nel marzo dello scorso anno.

Andrea Ciccarelli