Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da ilcorriere.it del 27 settembre 2004

Fortezza elvetica

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

La valanga di «no» alle due domande sulla cittadinanza agevolata è una notizia cattiva per gli stranieri che vivono in Svizzera, ma pessima per gli svizzeri che hanno a cuore la Svizzera. La crisi è seria, perché quasi il 60% degli elettori e più della metà dei Cantoni mettono in difficoltà il governo federale, respingendone le proposte su un tema centrale per l’integrazione. L’innovazione sarebbe stata essenziale in un Paese la cui popolazione quasi per un quarto non ha la cittadinanza nazionale. Questi giovani, ai quali ieri è stata negata la possibilità di diventare svizzeri in tempi più ragionevoli, sono totalmente immersi nella realtà produttiva, sociale, anche sentimentale della Svizzera, qui studiano, si sposano, sono stimati e, quasi mai, discriminati. I razzisti sono una piccola minoranza, certamente sono meno che in Germania.

La Svizzera è già oggi il Paese di Europa con il maggior numero di naturalizzazioni. «Volevamo braccia, sono arrivati uomini», aveva scritto trent’anni fa Max Frisch, il maggior romanziere svizzero. Oggi a quegli uomini solo pochi vorrebbero dare ancora soltanto «pane e cioccolata». Il partito di centrodestra che ha condotto la campagna per il «no» raccoglie la metà dei voti andati all’autolesionistica maggioranza referendaria. Ecco perché il risultato è politicamente grave. Svela una crisi di paura, una sensazione di assedio che non ha riscontri con il senso comune del Paese stesso, oggi aperto alla solidarietà internazionale. L’io diviso degli svizzeri guarda al futuro con una paralizzante attitudine alla contraddizione, una stampa molto libera, una televisione di inchiesta e di fredda analisi, un rapido recupero di posizioni di eguaglianza effettiva fra i sessi, dopo un non lontano passato di discriminazioni assurde, fino alla negazione dei diritti elettorali alle donne. Dall’altra parte, c’è il timore di smarrire se stessi, singolare preoccupazione per un Paese di tre lingue (se non quattro, con le isole ladine), due anzi tre grandi religioni, i cattolici , i protestanti e, ora, i musulmani. Fra le domande per il passaporto rosso con la croce bianca, il 40% è avanzato da immigrati (in gran parte islamici) dai Balcani.

La paura della ibridazione delle radici tocca paradossalmente ex immigrati di recentissima naturalizzazione. Il sindaco socialista di Buchs, un importante centro del Cantone di San Gallo, è uscito ieri sera vittorioso da un confronto con il candidato del partito di centrodestra, un (ex) straniero che ha ottenuto la cittadinanza solo un anno fa. E’ un esempio.
Il ministro federale di Giustizia e di Polizia, che a nome del governo ha più volte esortato sugli schermi televisivi a votare «sì» alle nuove norme liberali, è lo stesso Christopher Blocher leader dell’Udc, il partito uscito vincitore da una incattivita campagna contro la mano tesa ai figli e nipoti degli immigrati. Maliziosi avversari hanno voluto ricordare che anche il nonno di Blocher era straniero. Ma non circola aria di piccolo pettegolezzo nelle stanze dell’economia. Sullo sfondo ci sono grandi temi. La via solitaria all’Europa, che il popolo scelse nel 1992, è già per suo conto assai ardua: la transizione ha grandi costi. Far convivere riformismo, federalismo e consociativismo è scommessa dura. Non servono davvero errori di immagine e di egoismo come quello di ieri. Perdere la partita con le lancette dell’Europa è il passo più falso che possa fare un Paese dove, sul lavoro come nel tempo libero, la puntualità è già per suo conto un ritardo.