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Libia – L’altra faccia degli accordi bilaterali

Intervista a Fabrizio Gatti, giornalista del Corriere della Sera

In Libia è in atto una caccia all’uomo, soprattutto se ha la pelle nera. L’Italia ha dato carta bianca alla Libia nel gestire il fenomeno migratorio, l’importante è che nel nostro paese non arrivi più nessuno .

DomandaDal tuo articolo emerge una situazione molto pesante in Libia, causa diretta degli ultimi arrivi consistenti a Lampedusa. Questo è l’effetto degli accordi bilaterali tra Italia e Libia?

Risposta – Gli ultimi arrivi in massa – un migliaio di persone solo nell’ultima settimana in Sicilia – sembra siano un risultato diretto dell’applicazione di questi accordi, un risultato non previsto ma che nei fatti sta scatenando una vera e propria fuga dalla Libia. La situazione è questa: gli accordi non sembrano aver tenuto conto dell’aspetto umano delle persone presenti in Libia, o perché lavorano lì, o perché sono in Libia nel tentativo di continuare poi il viaggio verso l’Europa; nello stesso tempo, gli accordi delegano alla polizia libica, tutti i tentativi di fermare questo flusso di immigrati. Il risultato è che la polizia applica metodi molto pesanti e – dalle segnalazioni che ricevo da tempo – essendo la Libia un regime dittatoriale, la polizia applica metodi duri. Arresti per chi si oppone all’espulsione, torture anche per chi protesta, veri e propri pestaggi che durano due o tre giorni nelle camere di sicurezza dei commissariati per convincere gli stranieri ad abbandonare il paese ed espulsioni verso il deserto.

D: Come si è arrivati a questa situazione?

R: La richiesta, le pressioni non solo dell’Italia ma anche dell’Unione Europea, hanno indotto la Libia ad impegnarsi a fermare questo flusso. Questo avviene in cambio di aiuti che poi non sono soltanto sul campo dell’immigrazione anche se la Libia ha usato l’immigrazione per mercanteggiare la sua uscita dall’isolamento internazionale dopo l’embargo.

D: Qual è la presenza di immigrati in Libia?

R: In Libia la situazione dell’immigrazione, se rapportata ai nostri parametri, è da considerare esplosiva perché su dati statistici, non essendoci dei censimenti precisi, i libici sono 5 milioni, a questi vanno aggiunti 2 milioni e mezzo di stranieri che lavorano da anni in Libia. Già nel 2000 Gheddafi aveva dato il via a delle grosse espulsioni in massa prendendo spunto da una serie di scontri, che noi chiameremmo tranquillamente scontri tra bande, in alcune città del nord. Gheddafi in questo caso, ottiene attraverso l’immigrazione due risultati. Il primo è quello di uscire o comunque di avviarsi verso l’uscita definitiva dall’isolamento: anche tenendo conto degli aspetti che riguardano il terrorismo internazionale, Gheddafi, che negli anni scorsi l’ha sostenuto, ora si pone in sostanza come un garante contro l’estremismo religioso. Dall’altro aspetto risolve un problema interno: la Libia sta affrontando una situazione di crisi e questa spinta dall’Italia copre le spalle a Gheddafi per usare dei metodi anche abbastanza energici e rapidi per liberarsi di un po’ di stranieri sul proprio territorio.

D: Dunque in Libia – a causa delle pressioni italiane e consecutivi accordi – è in atto una politica repressiva nei confronti dei lavoratori stanziali, residenti, che lavorano. Non solo verso chi è di “passaggio”.

R: Questo risultato è dovuto a tre fattori: il primo è che la Libia è uno dei Paesi più ricchi dell’area e quindi richiama manodopera dall’esterno; il secondo è che Gheddafi nel ’99, dopo aver rotto i rapporti con la Lega Araba, si era posto come leader dei Paesi dell’Africa subsahariana e aveva aperto a molti Paesi i propri confini, e quindi molte persone arrivando dal Mali, Ghana, Nigeria, Niger, Costa D’avorio e dai Paesi devastati dalle guerre civili, come Guinea, Sierra Leone e Liberia, molti cittadini si sono spostati in Libia per cercare lavoro, che poi hanno trovato. Il terzo fattore è che la Libia si trova su una delle rotte più importanti che dall’Africa subsahariana portano verso l’Europa: quando la Spagna ha indotto il Marocco ad usare più o meno gli stessi metodi forti contro l’immigrazione clandestina e a chiudere agli immigrati le frontiere che danno verso il sud, verso la Mauritania e l’Algeria, la rotta principale si è spostata proprio verso la Libia e la Tunisia.
Questi tre fattori hanno portato ad una grande presenza di stranieri in Libia.
L’Italia è arrivata con pressioni abbastanza ultimative sulla Libia per avere un risultato immediato nel blocco delle partenze e il risultato è che, dalle informazioni che io ho, anche in città come Tripoli e Bendasi sta accadendo questo: addirittura la polizia si è lanciata nei sobborghi dove vivono gli stranieri in una vera e propria caccia all’uomo, dove i primi presi di mira sono i neri perché sono i più identificabili. Molti vengono fermati, viene chiesto loro dove lavorano, se hanno il permesso per rimanere, ecc. Tra l’altro, in Libia non esiste un permesso di soggiorno: è fortunato chi ottiene una sorta di carta d’identità da straniero, ma questo non tutela da espulsioni immediate, non tutela queste persone da operazioni di polizia e, se la polizia decide che i nigeriani sono diventati una minaccia per la stabilità del Paese, questi vengono espulsi. È successo nel 2000 che migliaia di nigeriani sono stati espulsi senza tenere conto se avevano o no un lavoro nel territorio libico, se c’entravano o no con queste presunte minacce.
Sulle pressioni italiane, in luglio, Gheddafi ha dato un mese di ultimatum agli stranieri per lasciare il paese, all’inizio agli stranieri senza carta d’identità. Ora c’è un altro aspetto: per arrivare in Libia molte persone hanno affrontato un viaggio tremendo attraverso il deserto del Sahara, un viaggio in cui molti si sono persi, molti sono stati abbandonati, morti, e quindi l’idea di dover ritornare da quelle parti terrorizza chi si trova in queste condizioni.
In Libia Gheddafi, o per lo meno il governo libico, ha offerto anche la possibilità dell’espulsione volontaria, una sorta di autodenuncia e pare che stia avendo un discreto successo. Mi risulta che alcune migliaia di persone si siano registrate negli appositi registri. In questo modo, queste persone, sperano di poter essere rimpatriate in aereo e non attraverso il deserto, anche perché in agosto, un gruppo di 18 persone espulse verso il Niger, che è il Paese immediatamente a sud della Libia, attraverso il deserto, sono state portate alla frontiera , dopo alcuni giorni, le pattuglie militari libiche hanno ritrovato quelle 18 persone tutte quante morte. Il bagaglio che viene consegnato a queste persone per attraversare il deserto, da quello che è stato raccontato da altri testimoni, o anche da persone che sono passate nella stessa situazione, è una pagnotta e una piccola scorta d’acqua.

Ci sono state retate nelle Medine delle città, i centri storici delle città. Una sorta di bidonville, che era sorta dalle parti dell’aeroporto di Tripoli, è stata smantellata dalla polizia. Negli ultimi tempi, si era scoperto il coinvolgimento di alcuni responsabili di un commissariato di zona della polizia libica e, quindi, smantellare questo campo è stato anche un intervento per evitare, evidentemente, di essere scoperti dai superiori. Questi campi erano il serbatoio delle organizzazioni che gestiscono il traffico: in Libia c’è una collaborazione tra trafficanti libici e sono molto forti le organizzazioni nigeriane. Sotto queste pressioni chi ha raccolto qualche risparmio e non ha intenzione di tornare indietro, perché deve continuare a lavorare all’estero per continuare a mantenere la propria famiglia, per scelta personale, perché preferisce stare fuori e non dover tornare a non avere lavoro nei Paesi d’origine, sta valutando la possibilità di tentare il salto verso l’Europa.
Probabilmente, se nell’accordo ci fossero state anche delle garanzie dal punto di vista umanitario – l’Italia ha delegato alla Libia questi aspetti e l’aveva già fatto con la Tunisia – la situazione sarebbe stata differente. Il risultato che vediamo al momento, invece, è proprio questo.

D: Viene spontaneo pensare che i trafficanti traggano vantaggio da questa situazione, aumentino i prezzi con un vantaggio superiore. Inoltre vedremo anche un cambiamento delle rotte?

R: Sembra che da mille dollari richiesti, per attraversare il Mediterraneo in barca, il prezzo sia salito a 1500, in qualche caso anche a 2 mila dollari, a seconda delle difficoltà di organizzazione del viaggio. L’aspetto essenziale è che per le organizzazioni e anche per chi si mette in viaggio, per un lungo viaggio, oltretutto così difficile e pericoloso, per arrivare fino in Europa, la variabile temporale è una delle meno importanti, per cui se le difficoltà per attraversare il mare dovessero aumentare con un pattugliamento militare ferreo da parte di Italia e Libia, così come è previsto dall’accordo, non è escluso, ma questo lo vedremo, che si aprano altre rotte o si ritorni con le vecchissime rotte, come quelle dalla Turchia, con grosse navi stracariche, che poi in genere approdavano sulla costa calabrese. Questo metterebbe un po’ più in difficoltà gli emigranti che arrivano dall’Africa perché il viaggio verrebbe a costare molto di più. Siccome la Tunisia è la costa più vicina all’Italia non è escluso che i viaggi continuino da quelle parti.
Quando i controlli diventano ferrei, o tendono a diventare ferrei, e sembra sia più difficile far passare della merce o delle persone, allora si aumenta la quantità del carico e, quindi, da un lato c’è il tentativo di forzare la mano, dall’altro per i trafficanti c’è anche la necessità di riempire questi carichi, far partire più persone. Dal loro punto di vista il rischio economico è essenzialmente nullo, perché il viaggio in barca, così come quello nel camion nel deserto, va pagato in anticipo e, quindi, non importa se poi la barca affonda, loro non rimettono nulla.
Del resto c’è un detto tra i trafficanti, tra gli organizzatori che trovano queste barche e le caricano: è meglio trasportare uomini, piuttosto che merci, perché pagano in anticipo e non importa se arrivano, e l’altro aspetto di comodità è che salgono e scendono dalle barche e dai camion da soli, non c’è neanche la necessità di far fatica per caricare le barche…