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Tratto dal sito migranews.it

Diritto d’asilo: una lacuna legislativa che provoca troppe incertezze

di Anelise Sanchez

l’Italia continua a configurarsi come l’unico paese europeo a non avere una legge organica sull’asilo, nonostante l’articolo 10 della costituzione preveda che “lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Malgrado la sua rilevanza, il tema del diritto d’asilo è sempre stato trattato in modo residuale nelle leggi nazionali dedicate all’immigrazione. In Italia, le autorità competenti concedono lo status di rifugiato soltanto a coloro che rientrano tassativamente nella definizione giuridica della “Convenzione di Ginevra”, del 1951, cioè, quelli che hanno subito o temono di subire nel proprio paese persecuzioni per motivi razziali, etnici, religiosi o sociali e non può o non vuole avvalersi della protezione di quel paese.

Storicamente, l’Italia ha ratificato la “Convenzione di Ginevra” nel 1954, limitando, però, la sua applicazione ai cittadini europei. Da quella data sono passati ben 40 anni e solo nel 1990, con la legge “Martelli” (Legge n.39 del 28 febbraio 1990), il paese ha abrogato tale condizione, estendendo, almeno in teoria, il diritto d’asilo a tutte le altre nazionalità. In altre parole, per quasi mezzo secolo il diritto d’asilo fu volutamente negato ai non-europei, con eccezione di alcuni casi particolari.

Nel dopoguerra, la “Convenzione di Ginevra” ha rappresentato un passo fondamentale per coinvolgere la comunità internazionale nella garanzia della tutela delle vittime del conflitto armato. Oggi, però, con il vertiginoso moltiplicarsi delle guerre, genocidi e le ricorrenti situazioni di sfollamento, si fa sempre più urgente la necessità di prevedere, in una legge ad hoc, l’assistenza fisica, giuridica e materiale ai rifugiati.

Oltre alla Convenzione di Ginevra, nel 1969 è stata elaborata la “Convenzione dell’OUA”, che regola gli aspetti specifici dei rifugiati in Africa. Entrata in vigore nel 1975, la convenzione riconosce la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione di Ginevra, ma precisa che i soggetti in fuga da disordine civile, violenza e guerra hanno il diritto di rivendicare lo status di rifugiato negli stati aderenti, indipendentemente dal fatto che abbiano o non un fondato timore di essere perseguitati. Al novembre del 2003, il numero di paesi aderenti alla Convenzione di Ginevra era pari a 145, mentre ad agosto dell’anno precedente erano 46 i paesi firmatari della Convenzione dell’OUA.

Altra normativa internazionale ad esercitare un ruolo di assoluta centralità in materia di asilo è la “Convenzione di Dublino”. Sottoscritta dagli stati membri dell’Unione Europea nel 1990, la Convenzione determina lo stato competente per l’esame delle domande presentate dai “rifugiati in orbita”, cioè, i richiedenti asilo rinviati da uno stato all’altro senza che nessuno si ritenga responsabile della valutazione della loro domanda. In questo caso, la “Convenzione di Dublino” stabilisce che è competente per l’esame della domanda d’asilo lo stato che ha permesso l’ingresso, regolare o meno, del rifugiato nel suo territorio. In alcune situazioni particolari, come quando ad un membro della famiglia del richiedente asilo sia già stato riconosciuto lo status di rifugiato da parte di uno stato membro dove risieda legalmente, questo stesso stato sarà competente per l’esame della domanda del suo congiunto. Inoltre, ogni Stato membro, anche se non competente per l’esame, può valutare, a richiesta dello Stato membro che l’ha ricevuta, le domande di asilo per motivi umanitari.

In Italia, con l’attuazione della legge n.189 del 2002 (Bossi Fini), le domande d’asilo sono di competenza dalle neo-istituite “Commissioni Territoriali”. Inoltre, la stessa legge prevede il riesame dell’eventuale decisione negativa in prima istanza da parte della commissione territoriale integrata, ovvero, con l’aggiunta di un membro della Commissione nazionale per il diritto d’asilo.

Attualmente, il percorso per ottenere l’asilo in Italia è caratterizzato da burocrazia e lunghi periodi di incertezza. Di solito, i tempi di attesa per la convocazione presso la Commissione Centrale che esaminerà le domande di asilo superano i 12 mesi. Si tratta di un periodo di totale passività nel quale il divieto di lavorare costringe il rifugiato alla completa dipendenza dalle misure assistenzialistiche. Basta ricordare che dal momento della presentazione della domanda fino alla decisione finale, il richiedente asilo ha diritto ad un contributo economico limitato a soli 45 giorni.

Comunque, dopo più di cinquant’anni di inerzia, negli ultimi mesi si è avviato un primo tentativo di tradurre in una normativa la tutela dei rifugiati. Una proposta di legge sull’asilo (c. 1238-A), presentata dall’onorevole Angelo Soda (DS) e modificata dalla maggioranza con numerosi emendamenti, è in discussione alla Camera dei deputati. Le associazioni italiane di tutela e assistenza hanno accolto positivamente il dibattito attorno ad una normativa sul diritto d’asilo, ma hanno anche espresso alcune perplessità rispetto alla stessa proposta di legge.

Tra gli aspetti più contestati ci sono l’articolo 7, che prevede il trattenimento degli stranieri sprovvisti di documenti, l’articolo 11, che introduce il concetto di “stato sicuro” e “stato di origine sicura” tra le cause del diniego della domanda d’asilo, e anche l’articolo 12, che non offre la possibilità di un ricorso giurisdizionale a coloro che sono sottoposti a una procedura semplificata.

È importante sottolineare che una legge organica in materia d’asilo è una condizione sine qua non per gli stati appartenenti all’Unione Europea e che questa lacuna legislativa, sommata all’irrigidirsi delle misure contro il diritto di muoversi, provocano un’altro interrogativo, ovvero, la piena armonizzazione delle politiche europee in materia di immigrazione. Nonostante gli impegni dei paesi che hanno firmato il Trattato di Amsterdam, una politica comunitaria sull’asilo resta ancora un obiettivo lontano.

Con la mancanza di politiche organiche sull’asilo e di un sistema nazionale di accoglienza, un tentativo importante per cercare di ridurre alcune delle incertezze dei rifugiati è stato, nel giugno 2001, l’istituzione del Piano Nazionale d’Asilo (PNA) da parte dell’UNHCR, del Ministero dell’Interno e dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI).

L’iniziativa, recepita anche dalla legge n.189 del 2002 (Bossi-Fini), il PNA ha accolto, fino al 2003, più di 3.781 persone. Attraverso una rete di 150 comuni e centri di accoglienza sparsi su tutto il territorio nazionale, offrono vitto, alloggio, attività di formazione linguistica e accompagnamento sociale ai richiedenti asilo.

Altro aggravante è l’alta incidenza di dinieghi da parte della Commissione. Nel 2003, per esempio, dal un totale di 12.858 richieste esaminate, 10.555 sono state respinte, una situazione che contribuisce fortemente all’incremento della clandestinità, proprio quella condizione che ha proposto di combattere la legge Bossi-Fini.

Le incertezze per i rifugiati che arrivano in Italia sono ancora tante, ma non si può dimenticare che in questo percorso, a volte disperante, sono fondamentali le moltecipli iniziative intraprese dal terzo settore. Ma non basta, in una nazione che difende la democrazia e l’uguaglianza, non si può non ricordare che le persone che presentano una domanda d’asilo sono la personificazione della denuncia di violenza e della violazione dei diritti di libertà e, anche dignità.