Elementi per un esposto denuncia alla Procura della Repubblica di Roma ed alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Malgrado le flebili voci di una parte dell’opposizione, anche dopo la dura condanna delle organizzazioni non governative->3753] più impegnate nella difesa dei diritti dei migranti (AMNESTY, ICS e MSF), [continua il ponte aereo da Lampedusa a Malta, adesso anche con aerei militari.
Centinaia di immigrati salvati dalla Marina in acque internazionali o giunti irregolarmente fino a Lampedusa, dopo essere stati trattenuti un giorno o due nel centro di permanenza temporanea di quell’isola, vengono deportati in Libia, pur essendo certo che non si tratta di cittadini di quel paese.
Il Ministro Pisanu rassicura che queste operazioni di rimpatrio sono conformi al diritto nazionale, alle convenzioni internazionali ed ai principi generalmente riconosciuti a salvaguardia dei diritti umani di qualunque persona.
Le affermazioni del ministro Pisanu hanno tentato di dare una copertura alla messa in opera anticipata dei piani di rimpatrio forzato, supportate da gravi dichiarazioni rilasciate qualche settimana fa da alcuni esponenti dell’opposizione favorevoli agli accordi di riammissione con la Libia ( si veda la dichiarazione dell’On. Napolitano sul Corriere della sera del 19 settembre 2004), prima ancora che questi fossero siglati ed approvati dal Parlamento, come previsto dall’art. 80 della Costituzione italiana. Queste operazioni di accompagnamento forzato, camuffate da “respingimenti in frontiera”, adesso note, ma altre se ne erano consumate in silenzio nei mesi passati, costituiscono invece gravissime violazioni del diritto interno, del diritto internazionale e del diritto umanitario.
Si deve innanzitutto ricordare come l’art.2 del T.U. 286 del 1998, rimasto immutato dopo la legge Bossi Fini del 2002, riconosce allo straniero comunque presente sul territorio italiano – e tale certamente è l’isola di Lampedusa – i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme interne, dalle convenzioni internazionali in vigore, e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”.
Agli immigrati comunque giunti sull’isola di Lampedusa andava dunque riconosciuto innanzitutto il diritto alla comprensione linguistica ed alla notifica individuale in lingua conosciuta dei provvedimenti che li riguardavano, provvedimenti che invece hanno assunto, dopo un sommario esame da parte di un interprete, senza altra formalizzazione o verbalizzazione individuale, le forme del respingimento collettivo vietato dalla Carta Europea di Nizza e dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Agli stessi immigrati è stato negato il diritto di difesa previsto dalla Costituzione italiana e dalle leggi interne, in quanto i tempi e le forme delle misure di respingimento li ha privati di una qualsiasi difesa effettiva contro gli stessi provvedimenti.
Si è inoltre verificata la esclusione del diritto di presentare domanda di asilo per intere categorie di persone giunte irregolarmente ( come la quasi totalità dei richiedenti asilo) sul territorio italiano, selezionate sulla base della presunta appartenenza nazionale, senza che i singoli avessero la minima possibilità di accedere alla procedura di asilo.
In questo modo, per un numero non definito di persone si è sicuramente negata la applicazione dell’art. 10.3 della Costituzione italiana, norma che per la Corte di cassazione ha una immediata efficacia precettiva e che riconosce l’asilo politico con una estensione ancora maggiore di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951.Proprio per la rapidità e la sommarietà delle procedure potrebbe essersi anche verificato il rimpatrio in Libia, paese notoriamente musulmano, di cittadini di paesi terzi di fede cristiana. E’ un dato oggettivo l’età sempre più bassa dei migranti per ragioni economiche, dato confermato anche negli sbarchi di Lampedusa:non ci sono garanzie di alcun genere che sia stata controllata l’età effettiva degli immigrati irregolarmente giunti sull’isola in questi ultimi giorni, al fine di evitare il rimpatrio di minori, vietato dalla legge italiana.
Si è violata la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione italiana in quanto le misure di trattenimento coattivo e di allontanamento forzato sono state adottate ed eseguite dalle autorità di polizia senza alcuna convalida da parte dell’autorità giudiziaria, convalida che sarebbe stata necessaria comunque a seguito dell’internamento nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.105 del 2001, con un orientamento giurisprudenziale ribadito ancora con le più recenti sentenze della Corte pubblicate nel corso del 2004.
Si deve ricordare al riguardo che l’accompagnamento coattivo in frontiera, anche nei casi nei quali non sia preceduto da un trattenimento in un centro di permanenza temporanea è qualificabile come “misura limitativa della libertà personale” come tale soggetta alle rigide previsioni dell’art. 13 della Costituzione.
Con i rimpatri effettuati da Lampedusa in Libia, senza un effettivo controllo dell’autorità giudiziaria si è violata ancora una volta, ma in modo eclatante la r i se r v a d i g i u r i s d i z i o n e. Ancora uno schiaffo alla Corte Costituzionale che ancora pochi mesi fa aveva affermato la incostituzionalità delle norme sulle espulsioni con accompagnamento immediato sottratte al controllo giurisdizionale.
Secondo la giurisprudenza della Corte non è possibile disporre l’accompagnamento coattivo in frontiera ( anche nei casi in cui sia mancato il trattenimento temporaneo) prima che il provvedimento di respingimento o di espulsione sia stato stabilito o convalidato da un magistrato. E non si potrà certo sostenere che nel caso dei migranti “respinti” da Lampedusa in Libia si sia trattato di un respingimento in frontiera semplice, come se questi migranti non fossero mai entrati nel nostro territorio, unico tipo di provvedimento di allontanamento forzato che può essere adottato senza particolari formalità, a meno che Lampedusa non sia improvvisamente diventata una piattaforma galleggiante in acque internazionali…
In realtà si è assistito ad una utilizzazione illimitata della discrezionalità amministrativa delle autorità di polizia e del Ministero degli interni che hanno applicato l’art. 10 del T.U. in materia di respingimento in frontiera come se gli immigrati giunti a Lampedusa o soccorsi in acque internazionali dalle nostre unità navali non avessero mai fatto ingresso in Italia. E invece qualunque ingresso, anche se per necessità di soccorso, integra la presenza effettiva dell’immigrato nel nostro territorio e l’adozione dei provvedimenti formali conseguenti, di allontanamento o di trattenimento temporaneo, disposti dal Prefetto o dal Questore.
Dove sono questi provvedimenti, quando sono stati emanati e notificati ai destinatari delle misure di allontanamento forzato, quali possibilità di ricorso effettivo sono state accordate, sulla base di quali disposizioni le persone sono state condotte sugli aerei in manette ? O forse, adesso che le persone sono state allontanate verso la Libia, qualcuno proverà a metterci sopra una pezza?
Appare evidente, anche sulla base dei filmati ripresi dalle televisioni, come a coloro che sono stati rimpatriati dal nostro governo in Libia è stato negato il diritto ad agire in giudizio “per tutelare i propri diritti in materia civile, penale ed amministrativa” previsto dagli art. 6 e 13 della CEDU e dall’art. 24 della Costituzione italiana. Le indegne condizioni di trattenimento temporaneo nell’isola di Lampedusa, dove il locale Centro di permanenza temporanea ( così qualificato dal Ministero degli interni dopo mesi di equivoci sulla sua esatta destinazione) ha contenuto oltre mille persone mentre non potrebbe “accoglierne” più di 194, forse non hanno neppure permesso una minima mobilità all’interno della struttura; risulta che nella giornata di domenica 4 ottobre sia stato persino negato l’accesso ad un rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, presente dal giorno precedente a Lampedusa.
Si è inoltre violato l’art. 14 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo che riconosce tutti i diritti previsti dalla stessa Convenzione senza alcuna distinzione basata sul sesso, sul colore, sull’origine nazionale e che afferma che tutti devono avere eguale protezione davanti alla legge. La selezione dei migranti irregolari e la scelta di quelli tra loro da rimpatriare immediatamente in Libia ha assunto carattere discriminatorio proprio per la discrezionalità e la sommarietà delle procedure di identificazione.
La esecuzione dei rimpatri forzati verso la Libia, eseguiti sulla base di intese ministeriali e di accordi operativi a livello di forze di polizia ha costituito una gravissima violazione dell’art. 10.2 della Costituzione italiana secondo cui “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
E proprio a questa stregua il nostro governo, e l’intera catena di comando che ha predisposto ed eseguito le operazioni di rimpatrio hanno violato l’art. 3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo che vieta il respingimento dei migranti, anche se giunti irregolarmente, quando questo respingimento possa comportare “trattamenti inumani o degradanti”.
Si deve ricordare al riguardo che le misure di accompagnamento forzato sono state eseguite nei confronti di immigrati che sono stati condotti in manette di plastica sull’aereo che li avrebbe consegnati alla polizia libica e che in Libia non esiste il rispetto dei diritti fondamentali della persona, ne risulta che la Libia abbia aderito alla Convenzione di Ginevra.
Le misure di accompagnamento forzato sono state eseguite nei confronti di persone visibilmente nella condizione di nullatenenti verso un paese che certamente non è il loro, e che non è dotato di alcuna struttura di accoglienza. Ma probabilmente si dava per scontato che la maggior parte di questi sventurati sarebbe stata immediatamente deportata dalla Libia,ancora una volta verso altri paesi come già avvenuto poche settimane fa con voli da Tripoli a Khartoum, in Sudan, o verso l’Eritrea, proprio quei paesi nei quali migliaia di persone sono vittima di sanguinosi conflitti, o preda delle bande di trafficanti.
Piuttosto che sortire un effetto dissuasivo rispetto ai flussi dei migranti irregolari, effetto smentito dall’intensificarsi degli sbarchi proprio durante lo svolgimento delle operazioni di rimpatrio, quanto deciso dal Governo Italiano, prima di una scelta comune dell’Unione Europea in materia di rimpatri, e prima dell’entrata in vigore dell’accordo-fantasma stipulato con la Libia, integra gravissime violazioni del diritto interno ed internazionale e dovrà essere portato al più presto all’esame delle competenti corti per una sanzione esemplare che ribadisca che l’Italia rimane ancora uno stato di diritto anche per i migranti irregolari che giungono sulle nostre coste.
Non è nostro compito qualificare in questa sede le fattispecie di reato che si sono integrate in questa tristissima vicenda, ma si può ricordare la diretta incidenza delle norme di diritto internazionale sul piano del diritto interno per effetto dell’art. 11 della Costituzione italiana.
Quanto accade in questi giorni a Lampedusa svela la vera portata della disciplina in materia di respingimenti ed espulsioni introdotta dalla legge Bossi-Fini e proprio a partire da queste modalità di applicazione della norma si dovranno moltiplicare i ricorsi alla Corte Costituzionale, non appena sarà possibile fare intervenire avvocati indipendenti che impediscano la immediatezza delle deportazioni e rilevino tutte le irregolarità delle procedure.
Ma è forse questa la preoccupazione principale del governo italiano, come si è già rilevato nel caso delle espulsioni lampo decretate ai danni dei naufraghi salvati questa estate dalla nave tedesca Cap Anamur.
Non si spiega altrimenti la fretta nel disporre le misure di accompagnamento forzato, come al solito tra il venerdì e la domenica, quasi che ogni occasione di contatto o qualunque possibilità di difesa legale potessero compromettere la riuscita dell’operazione di rimpatrio e la stessa”linea”politica del governo in materia di immigrazione ed asilo.
Affidiamo alla magistratura italiana ed alle corti internazionali il ripristino del principio di legalità in materia di contrasto dell’immigrazione clandestina. Il successo delle operazioni di immagine volute dal nostro governo non può scaricarsi soltanto sui destini di centinaia di vite, doppiamente vittime, prima dei trafficanti di uomini e poi di prassi amministrative illegittime ed arbitrarie.
I migranti costretti alla irregolarità dalla mancanza di norme sugli ingressi legali e dall’assenza di una normativa organica sul diritto di asilo ( e qui l’Italia è un caso unico in Europa) non possono essere genericamente definiti come clandestini, e quindi criminalizzati oppure trattati come esseri umani di specie inferiore. Bisogna che i diritti fondamentali della persona umana vengano riconosciuti a tutti, a tutti gli uomini ed alle donne, con una particolare attenzione per i più deboli, come i minori.
Se così non fosse la impunità di quanto sta avvenendo in queste ore tra Lampedusa e la Libia potrebbe autorizzare in futuro comportamenti altrettanto gravi anche nei confronti di altri immigrati già presenti in Italia e dei cittadini italiani, in una materia talmente delicata come è quella della libertà personale, vero fondamento della democrazia di un paese.
Fulvio Vassallo Paleologo
ASGI Associazione studi giuridici sull’immigrazione
ICS Consorzio italiano di solidarietà