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da Il Manifesto del 2 ottobre 2004

I campi in nord Africa piacciono all’Ue

ALBERTO D’ARGENZIO
BRUXELLES

I critici li chiamano novelli «campi di concentramento», la Germania preferisce battezzarli «portali di immigrazione», il Commissario alla giustizia ed affari interni Antonio Vitorino non vuole sentir nominare la parola «campo»e nemmeno «centro» e parla di «accordo per migliorare il sistema di asilo». Nella pratica i 25 hanno lanciato ieri i primi campi per richiedenti asilo nei paesi terzi. Si tratta di un’operazione alla cavallo di Troia ben camuffato. Ieri i ministri degli interni dei 25 si sono messi d’accordo in Olanda per dei progetti pilota che riguardano chi chiede lo status di rifugiato nel Nord Africa, poi, entro novembre, il loro collega tedesco Otto Schily presenterà una proposta analoga, ma ampliata a tutti i migranti economici. Inoltre sul tavolo c’è sempre un piano, preparato a giugno dalla Commissione, che viaggia parallelamente a quello tedesco.

I centri approvati ieri verranno finanziati dalla Commissione europea per 800.000 euro e dal governo olandese, attualmente a capo della Ue, per altri 200.000 euro. Partecipa e benedice il progetto anche l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr). Nella pratica si tratta di una serie di campi pilota da sviluppare nel Nord Africa, in Libia, Marocco, Tunisia, Algeria e Mauritania, da mettere in pratica entro un anno e mezzo. Chi transita per uno di questi cinque paesi ed è intenzionato a chiedere asilo politico, verrà fermato nel territorio di passaggio, farà domanda alle autorità locali ed aspetterà lì i risultati della sua pratica. Chi si vedrà negato lo status di rifugiato (un 80-90% de totale) verrà reinviato nei paesi di origine, con una bel risparmio visto che la strada è più corta. Per l’altro 10-20% a cui viene concesso lo status inizia la lotteria, nel senso che solamente una piccola parte sarà ammessa in Europa, gli altri se ne staranno nel Nord Africa. Diventa obbligatorio per i cinque paesi interessati firmare la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

E proprio l’Unhcr fornisce un’altra versione dell’accordo. Per l’Alto commissariato si tratta di «promuovere la legislazione, la formazione dei funzionari nella determinazione dello status di rifugiato, assistere le Ong nel rafforzamento delle loro capacità. Non si tratta di attrezzare in quei paesi degli sportelli per la richiesta di asilo negli Stati membri». E ci tiene a sottolinearlo l’Unhcr, «i centri di ricezione non fanno parte del progetto». Eppure rimane da spiegare dove hanno intenzione di piazzare chi fa richiesta di asilo, dove se non in un campo?

Nel marzo del 2003 il Regno unito presentava una proposta simile ma un po’ più radicale. Tony Blair proponeva di creare dei campi in paesi terzi in cui mandare tutti i richiedenti asilo, pure quelli già arrivati nel territorio della Ue. La proposta britannica riceveva allora consensi, veniva analizzata da Bruxelles e veniva infine bocciata per problemi di carattere giuridico. Ma non moriva. Ad agosto il futuro (salvo sorprese) commissario alla giustizia ed affari interni Rocco Buttiglione, la riprendeva, poi venivano gli accordi Italia-Libia ed il fondamentale interessamento tedesco. Adesso l’idea inizia a passare, anche se solo per i rifugiati e per quelli di loro che non hanno ancora toccato terra o acqua comunitaria.

Intanto già Germania, Regno unito, Italia, Austria, Olanda e le Repubbliche baltiche spingono per i campi per i migranti economici. Contrari con riserve Francia, Belgio e Spagna. Ma non solo loro. L’altro ieri il ministro degli interni marocchino Mustafà Sahel ha affermato che «il principio è già di per sé discutibile ed oltretutto la messa in pratica del progetto richiede mezzi umani, materiali e finanziari non ammissibili per le finanze dei paesi interessati». Un no che sembra nascondere solo il desiderio de negoziare a fondo la proposta. Contrario senza molti «ma» il presidente della Commissione Libertà del Parlamento europeo, il liberale fancese Jean-Louis Bourlanges: «questa formula di delocalizzazione è incompatibile con i diritti umani». Eppure la pratica è stata lanciata.