Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Libri – Via della decolonizzazione europea

Tratto da migranews.it

Armando Gnisci
pp.124; euro 9,50

di Daniele Barbieri

Un saggio (o un pamphlet) può essere ben scritto, intelligente, importante ma arrivare fuori tempo: troppo in anticipo oppure in colpevole ritardo. Se invece cade nel momento giusto, come questo Via della decolonizzazione europea di Armando Gnisci bisogna saper cogliere l’occasione, farlo proprio: andando all’essenziale e trascurando quelle inezie (o magari i piccoli disaccordi) che sempre si possono trovare.

L’essenziale dunque. Gnisci parte da «un incessante stupro storico, dentro il quale siamo tuttora»: la colonizzazione e il bugiardo, ingannevole post-colonialismo. «La colonizzazione non è passata. Perdura: è cresciuta e cresce» ci avvisa: «controlla e determina esistenze individuali, masse, civiltà, immaginario, specie umana stessa e tutti gli esseri viventi, terre, oceani, climi, derive e disastri complessi, dalla desertificazione delle plaghe al Niño violento». Più volte lo spiega, chiamandolo «sacco finale sventurato». In questo quadro si collocano le migrazioni che, ricorda Gnisci, sono «un sacrificio e una decisione, un taglio e un’avventura per chi la mette in opera». Ovviamente si migra anche per una necessità economica, sia per chi la subisce che per chi la sfrutta, ma questo è sottinteso.

Decolonizzare dunque «non contro un nemico (…) ma contro quello che siamo diventati (…) il dominio-pensiero unico del profitto, un decreto schiaccia-umani». Qui si chiude la “premessa” del libro che poi si accinge a «descrivere una via della decolonizzazione europea come una forma nuova e incipiente di educazione, a partire dall’urto». O forse dall’urlo. Necessario talvolta. E ora lo è.

«La mia ambizione è impensierirvi» avvisa Gnisci. E ci riesce, aiutandoci così sulla – lunga, impervia – strada per «diventare responsabili» cioè «capaci di rispondere autocriticamente delle nostre azioni». Non si può raccontare in dettaglio il ragionare – ma anche il sapiente montaggio di pezzi, citazioni (Sarte, Rumiz, Bou, Caminiti, Galeano, Balibar, l’amata bell hooks, Kipling, ecc) e lettere – di queste 124 pagine: bisogna leggere tutto e poi rileggere, almeno una seconda volta, dopo aver digerito qualche rospo. La vergogna, si sa, è un sentimento rivoluzionario; ne abbiamo bisogno; urgenza persino.

«Non c’è relitto che sia più solubile del cadavere» spiega Gnisci in un lungo e choccante brano: «da morti gli umani sono più docili e trattabili di qualsiasi altro rifiuto (…) L’umano morto è il fagotto che più facilmente può essere rimosso e annullato dalla moderna fabbrica insensata di pattume planetario. Non è lamiera, amianto, scoria nucleare, petrolio, liquame, plastica. Al massimo fuma di ricordo, svanisce subito». Non è l’unico passaggio che ci colpisce là dove fa male, in un punto imprecisato fra la coscienza (per chi ce l’ha) e il cervello. Eppure l’autore non abusa di cattiveria. Ed è capace anche di ironie, di sorrisi; come nello stacco con il quale introduce la seconda parte con l’ironico «Scusi sa dirmi da che parte andare per Via della Creolizzazione? Mi spiace, ancora non so». (Più avanti parlerà della necessità di «sorriderci, a volte e nonostante tutto»).

Appunto Creolizzare l’Europa si intitola la seconda parte del libro. Altri userebbero il termine “meticciato” che a Gnisci però non piace. Ma i termini hanno importanza relativa. Quel che conta è il cammino da fare. Perché «la creolizzazione è la grande poetica che l’Europa dovrebbe darsi: a partire dal libero riconoscimento del dover pagare, in corsa, il risarcimento della colonizzazione infame, per poter passare dall’incontro di nuovo, che pareggerebbe e supererebbe quello feroce e ingiusto» .

Il saggio si chiude – in realtà si riapre, perché è un libro in divenire – con bell hooks, un’afro-americana che rifiuta di scrivere il suo nome con le lettere maiuscole. Seguono i ringraziamenti e l’invito – sincero, non formale – a scrivergli ([email protected] ) per “colloquiare”.

I disaccordi? Forse qualche asprezza polemica di troppo; forse qualche punto non spiegato (è davvero infame Black Hawn Down ma sarebbe utile ricordare il perché sia necessario “assassinare” la Somalia persino con un film); forse qualche punto in cui la scrittura resta ostica. Ma si tratta di inezie appunto, rispetto al valore di tutto il resto.

E molte infatti sono in questo libro le pagine che non si dimenticano. Per dirne altre tre: «ho riconosciuto immediatamente quello sguardo» (a pagina 63); il racconto di quel tragico quanto dimenticato 13 agosto 1521 (pagina 39); la necessità (ripresa da un’idea di Balibar) di costruire un’Europa che sia «frontiera di frontiere».

In una bella lettera all’autore (potete trovarla a pagina 66) il poeta sardo Luigi Natale scrive: «Dicono i barbaricini: No balet chi ti peses chitto, mezus s’indevianas s’hora ovvero: non vale tanto che ti alzi presto, meglio se indovini l’ora». Appunto, vale per questo libro: Gnisci ha azzeccato l’ora, il momento e sta a noi non far cadere il silenzio.

Armando Gnisci
Via della decolonizzazione europea
pp.124; euro 9,50
Cosmo Iannone editore (0865 414694, www.cosmoiannone.it )