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Commento al caso della signora filippina in coma

I familiari non riescono ad ottenere il visto per raggiungerla in Italia

Si tratta del caso di una signora filippina di nome Aurea, arrivata 20 anni fa in Italia e colpita da emorragia cerebrale. Priva di parenti a Roma, i datori di lavoro e gli amici, informano la famiglia e raccolgono i soldi per pagare il biglietto aereo per il figlio. La famiglia italiana dove la signora lavora, dimostrando grande umanità, si fa garante di tutte le formalità previste al fine di consentire quel viaggio. Lo stesso ambasciatore filippino in Italia chiede formalmente il visto d’ingresso, ma l’ambasciata italiana a Manila lo rifiuta. Intanto Aurea viene operata – con o senza parenti a dare l’assenso – nel tentativo di fermare il danno che ha intanto causato il coma della donna. Intanto a Manila, il figlio dell’inferma, tenta invano di ottenere un visto presso gli uffici consolari italiani. L’ambasciatore filippino a Roma scrive all’ambasciatore italiano a Manila, spiegando che è necessario rilasciare un visto, al più presto, per poter permettere all’ospedale di completare le cure chirurgiche necessarie.
La datrice di lavoro della donna scrive una lettera all’ambasciata italiana a Manila, mettendosi a disposizione, dicendo tra l’altro di essere pronta ad alloggiare ed, eventualmente, perfino ad assumere uno dei figli di Aurea, purché possa venire ad assisterla. Ma nessun appello sembra risolvere la situazione. A Manila si registra solo un grande silenzio. Intanto Aurea, resta in prognosi riservata.
Una telefonata al console italiano a Manila, consente nel frattempo di capire il punto di vista delle autorità diplomatiche italiane. «Purtroppo la legge Bossi-Fini non prende in considerazione i casi umani. Francamente non aveva i requisiti per un visto turistico, che richiede disponibilità economiche accertate, insomma una situazione che implichi un ritorno nel proprio paese.».
Aurea, tutta sola e in prognosi riservata, continua a «dormire» in un ospedale straniero.

In un caso riguardante un cittadino della Costa d’Avorio che abbiamo precedentemente trattato, alla moglie dello stesso rimasto totalmente inabile, era stato consentito l’ingresso per turismo, essendo stato compreso che vi era la necessità di garantire assistenza al lavoratore invalido da parte della moglie.
In effetti ci risulta che in molti casi il visto d’ingresso per turismo sia stato rilasciato proprio per consentire la vicinanza dei congiunti in situazioni eccezionali in cui si verificava un bisogno comprensibile di assistenza da parte di prossimi congiunti.
Non si tratta di turismo nel senso più comune, ma di visto per breve soggiorno, giustificato da esigenze di carattere familiare.
Certo non si tratta di numeri che possano preoccupare i politici affezionati all’idea di un’Europa blindata, ma comunque sono molti i casi in cui è stato autorizzato l’ingresso temporaneo di un prossimo congiunto per garantire assistenza morale ed affettiva in situazioni drammatiche come quelle appena esemplificate.

Più volte abbiamo detto che il rilascio del visto d’ingresso per motivi di turismo è un atto discrezionale e la decisione non necessariamente deve essere motivata nel provvedimento di rifiuto. Tra l’altro il rifiuto di questi visti non deve essere più motivato con un atto scritto.
Chiunque sa però distinguere tra una valutazione discrezionale ed una arbitraria. Il caso di questa cittadina in coma, perorato anche dal consolato delle Filippine in Italia e da vari politici tra cui il sindaco di Roma, ci fa pensare ad una valutazione discrezionale che rischia di sconfinare verso l’arbitrio.