Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2005

Illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189

SENTENZA N. 78
ANNO 2005

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Fernanda CONTRI Presidente
Guido NEPPI MODONA Giudice
Piero Alberto CAPOTOSTI Giudice
Annibale MARINI Giudice
Franco BILE Giudice
Giovanni Maria FLICK Giudice
Francesco AMIRANTE Giudice
Ugo DE SIERVO Giudice
Romano VACCARELLA Giudice
Paolo MADDALENA Giudice
Alfio FINOCCHIARO Giudice
Alfonso QUARANTA Giudice
Franco GALLO Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222 e dell’art. 33, comma 7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi con ordinanze del Tribunale di Vicenza del 26 agosto 2003, del TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, del 7 novembre 2003, del Tribunale di Catania del 4 dicembre 2003, del Tribunale di Prato del 18 novembre 2003, del TAR per il Veneto del 10 febbraio 2004, del TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, del 12 febbraio 2004 e del TAR per il Veneto del 10 marzo 2004, rispettivamente iscritte al n. 1146 del registro ordinanze 2003 ed ai n. 20, n. 232, n. 265, n. 451, n. 548 e n. 610 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, n. 8, n. 14, n. 15, nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004, n. 24 e n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto in fatto

1.–– Nel corso di due analoghi giudizi di impugnazione, promossi da due cittadini extracomunitari avverso i decreti di espulsione tramite accompagnamento alla frontiera, il Tribunale di Vicenza e il Tribunale di Prato, con ordinanze rispettivamente del 26 agosto 2003 (r.o. n. 1146 del 2003) e 18 novembre 2003 (r.o. n. 265 del 2004), hanno sollevato – il primo in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, e il secondo in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, nella parte in cui non consente di procedere alla legalizzazione dei lavoratori extracomunitari in posizione irregolare che siano stati semplicemente denunciati per uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale.
In punto di rilevanza i remittenti precisano che la questione sollevata è decisiva nei rispettivi giudizi in quanto dal suo eventuale accoglimento potrebbe derivare la disapplicazione del provvedimento di espulsione impugnato che è teleologicamente connesso con quello di rigetto dell’istanza di regolarizzazione cui direttamente si riferisce la disposizione censurata.
Quanto al merito della questione, il primo degli indicati remittenti ritiene che la norma in questione sia in contrasto con l’art. 24, primo comma, Cost., in quanto l’interessato non è posto in condizione di opporsi alla semplice denuncia, e con l’art. 27, secondo comma, Cost., perché sarebbe violata la presunzione di innocenza che dovrebbe valere fino alla condanna definitiva. Il Tribunale di Prato svolge analoga argomentazione in riferimento all’art. 27 Cost. e soggiunge un profilo di censura riferito all’art. 3 Cost., perché vengono parificati i reati per i quali l’arresto in flagranza è obbligatorio a quelli per i quali è facoltativo – e cioè consentito solo dopo un esame sulla pericolosità del soggetto e sulla gravità del fatto (art. 381, comma 4, cod. proc. pen.) – in violazione dei principi di proporzione ed adeguatezza su cui si fonda il principio di uguaglianza.

2.–– Analoga questione è stata sollevata dal TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con ordinanza del 7 novembre 2003 (r.o. n. 20 del 2004) e dal TAR per il Veneto con ordinanza del 10 febbraio 2004 (r.o. n. 451 del 2004), nel corso di due giudizi avverso il provvedimento prefettizio di rigetto della domanda diretta ad ottenere la regolarizzazione di un rapporto di lavoro di cittadini extracomunitari.
Entrambi i remittenti affermano la rilevanza della sollevata questione nei rispettivi procedimenti e, quanto alla non manifesta infondatezza, evocano parametri solo in parte coincidenti.
Infatti, le relative censure vengono riferite dal TAR per la Lombardia ai seguenti parametri costituzionali: art. 2 Cost., perché il previsto collegamento alla sola ricorrenza di una notitia criminis, neppure preventivamente sottoposta ad una verifica seppure sommaria di fondatezza quale si potrebbe avere con il rinvio a giudizio dell’interessato, comporta la violazione della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità; art. 3 Cost., in quanto del tutto irragionevolmente si attribuisce un ruolo determinante ad un elemento – la semplice denuncia – del tutto inidoneo rispetto alla finalità perseguita; art. 4 Cost., in quanto il disposto collegamento tra la mera esistenza di una notizia di reato e l’esclusione dalla possibilità di ottenere la legalizzazione in oggetto si traduce in una violazione del principio fondamentale di tutela del diritto al lavoro; art. 27 Cost., perché si fanno discendere effetti potenzialmente definitivi – quali la perdita del lavoro e il conseguente allontanamento dal territorio nazionale – dalla semplice iscrizione nel registro delle notizie di reato, violando il principio di cui al secondo comma dell’art. 27 Cost. che riconnette la qualificazione di un soggetto in termini di colpevolezza all’esistenza di una sentenza definitiva di condanna, eludendo così anche il principio del giusto processo contemplato nell’art. 111 della Costituzione.
Il TAR per il Veneto fa, invece, esclusivo riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo che si differenziano automaticamente gli stranieri meritevoli di ottenere la sanatoria rispetto a quelli immeritevoli in base alla semplice esistenza di una notizia di reato, senza dare all’interessato la possibilità di verificarne, in contraddittorio, l’attendibilità nel corso del procedimento di regolarizzazione.

3.–– La stessa questione viene sollevata dal Tribunale di Catania, con ordinanza del 4 dicembre 2003 (r.o. n. 232 del 2004), nel corso di un giudizio di impugnazione promosso da un cittadino extracomunitario avverso il decreto di espulsione emanato nei suoi confronti, con riguardo all’art. 33, comma 7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), contenente una norma di contenuto eguale a quella dell’art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. n. 195 del 2002, da applicare ai lavoratori domestici e assimilati.
Dopo aver affermato la rilevanza della questione sul presupposto della sua incidenza in ordine all’accoglimento del ricorso contro il provvedimento di espulsione, che rappresenta l’antecedente necessario dell’intervenuto rigetto dell’istanza di regolarizzazione, il remittente passa all’esame del merito della questione. Al riguardo, egli ravvisa violazione: dell’art. 2 Cost., perché il gravissimo pregiudizio che lo straniero subisce fa sì che l’ordinamento non appaia ispirato, sul punto, a principi di doverosa solidarietà; dell’art. 3 Cost., per il trattamento irragionevolmente diverso di situazioni giuridiche uguali; dell’art. 24 Cost., perché lo straniero patisce la censurata ingiustizia senza avere alcuna possibilità di difendersi dalla denuncia, facendo valere la propria innocenza; dell’art. 27 Cost., perché viene violata la presunzione di innocenza che dovrebbe valere fino alla condanna definitiva; dell’art. 35 Cost., «perché si incide in maniera grave e definitiva sul diritto al lavoro nel nostro Paese di una persona che si trova nelle condizioni previste dalla legge per avere riconosciuto quel diritto»; dell’art. 41 Cost., perché in modo del tutto illogico il datore di lavoro viene costretto a rinunciare a mantenere alle proprie dipendenze il lavoratore extracomunitario da lui scelto; ed infine dell’art. 97 Cost., perché la norma impugnata determina nell’amministrazione un modo di procedere che non ne assicura l’imparzialità, dal momento che la scelta dei lavoratori ammessi alla sanatoria finirebbe per essere affidata al caso.

4.–– Questione analoga a quella prospettata dal Tribunale di Catania è stata sollevata, con riguardo alla medesima disposizione, dal TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con ordinanza del 12 febbraio 2004 (r.o. n. 548 del 2004) e dal TAR per il Veneto, con ordinanza del 10 marzo 2004 (r.o. n. 610 del 2004), nel corso di due giudizi instaurati da lavoratori extracomunitari, svolgenti in modo irregolare un rapporto di lavoro compreso tra quelli cui si riferisce l’art. 33 della legge n. 189 del 2002, avverso i provvedimenti prefettizi di rigetto della domanda diretta ad ottenere la legalizzazione dei suddetti rapporti di lavoro.
Dopo aver affermato la rilevanza della questione, i remittenti fanno riferimento, quanto al merito della stessa, a parametri solo in parte coincidenti.
Precisamente il TAR per la Lombardia invoca altresì – oltre agli artt. 2, 3, 4 e 27 Cost., con argomentazioni analoghe a quelle sviluppate nella propria precedente ordinanza n. 20 del 2004 relativa all’art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. n. 195 del 2002 – i seguenti parametri: art. 13 Cost., perché da una semplice denuncia deriva una lesione del diritto dello straniero alla libertà personale; art. 16 Cost., per asserita lesione del diritto dell’interessato alla libera circolazione; art. 29 Cost., richiamato unitamente all’art. 2 Cost., in quanto la disposizione censurata, utilizzando uno strumento del tutto inadeguato rispetto al fine perseguito, verrebbe a sacrificare il diritto dello straniero all’unità familiare.
Il TAR per il Veneto, invece, si limita a richiamare l’art. 3 Cost. sotto il profilo già illustrato nella propria precedente ordinanza n. 451 del 2004 relativa all’art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. n. 195 del 2002, secondo cui la disposizione censurata prevede che la semplice denuncia per uno dei reati ivi indicati comporta automaticamente l’esclusione dello straniero dal beneficio della regolarizzazione, senza attribuire all’interessato la facoltà di ottenere, nel corso del procedimento di regolarizzazione, la verifica dell’attendibilità del contenuto della denuncia stessa.
5.–– Nei giudizi promossi con le ordinanze n. 1146 del 2003, n. 20 del 2004, n. 232 del 2004 e n. 610 del 2004 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
Osserva la difesa del Governo che le norme del d.l. n. 195 del 2002 hanno la finalità di consentire la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari che, seppure illegalmente presenti nel territorio dello Stato, svolgono attività di lavoro subordinato. La presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. non esclude che il legislatore possa valorizzare la presenza di una denuncia penale a carico dello straniero, considerandola indice sintomatico di una possibile inclinazione a delinquere, tanto più che la norma ha individuato una ristretta serie di ipotesi, ossia quelle dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza, nelle quali la presenza di una denuncia implica il rigetto dell’istanza di regolarizzazione. Né dovrebbe essere dimenticato, secondo l’Avvocatura dello Stato, che la normativa del 2002 è finalizzata a consentire la sanatoria del c.d. lavoro “nero”, ossia un’attività svolta da chi si è illegalmente introdotto nel territorio dello Stato; non è irragionevole, perciò, che il legislatore, nel disporre una normativa per la regolarizzazione di situazioni illegali, abbia ritenuto di dover escludere soggetti che versano in situazioni di un certo tipo, come quella di chi ha subito una denuncia per alcuni reati.
Il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, d’altra parte, prevede all’art. 17 la possibilità, per il cittadino extracomunitario illegalmente presente nel territorio dello Stato, di permanervi per il tempo necessario all’esercizio del diritto di difesa.
Ne consegue che il riferimento alla semplice denuncia penale non contrasta, di per sé, con i principi costituzionali, purché la denuncia «sia assunta non già come mero dato formale, bensì quale effetto di una condotta materiale realizzata dal soggetto».

Considerato in diritto

1.— La Corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di due norme – l’art. 33, comma 7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), e l’art. 1, comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222 – le quali vietano (1’art. 33, comma 7, citato con riguardo ai lavoratori domestici e l’art. l, comma 8, citato con riguardo ai dipendenti delle imprese) la regolarizzazione – chiamata “emersione” o “legalizzazione” – della posizione lavorativa degli stranieri extracomunitari che siano stati denunciati per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.
Le norme suindicate sono denunciate, sotto diversi profili, per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 13, 16, 24, 27, 29, 35, 41 e 97 Cost., e tutti i remittenti hanno fornito motivazioni non implausibili della rilevanza della questione nei rispettivi giudizi.

2.— Poiché la questione non si pone in termini diversi per i lavoratori domestici e per i dipendenti da imprese, tutti i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3.— La questione è fondata con riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Se è indubitabile che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire i requisiti che i lavoratori extracomunitari debbono avere per ottenere le autorizzazioni che consentano loro di trattenersi e lavorare nel territorio della Repubblica, è altresì vero che il suo esercizio deve essere rispettoso dei limiti segnati dai precetti costituzionali. A prescindere dal rispetto di altri parametri, per essere in armonia con l’art. 3 Cost. la normativa deve anzitutto essere conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza (cfr. sentenze n. 62 e n. 283 del 1994).
Ora, nel nostro ordinamento la denuncia, comunque formulata e ancorché contenga l’espresso riferimento a una o a più fattispecie criminose, è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce. Essa obbliga soltanto gli organi competenti a verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale.
Considerazioni analoghe sono alla base della sentenza n. 173 del 1997 la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, rilevò che era l’automatismo delle conseguenze ricollegate alla sola denuncia a urtare contro il principio di ragionevolezza.
Le norme censurate fanno irragionevolmente derivare dalla denuncia conseguenze molto gravi in danno di chi della medesima è soggetto passivo, imponendo il rigetto dell’istanza di regolarizzazione che lo riguarda e l’emissione nei suoi confronti dell’ordinanza di espulsione; conseguenze tanto più gravi qualora s’ipotizzino denunce non veritiere per il perseguimento di finalità egoistiche del denunciante e si abbia riguardo allo stato di indebita soggezione in cui, nella vigenza delle norme stesse, vengono a trovarsi i lavoratori extracomunitari.
Si deve pertanto dichiarare, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate nella parte in cui fanno derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione nei suoi confronti di una denuncia per uno dei reati per i quali gli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.
Restano assorbiti tutti gli altri profili di censura.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), e dell’art. 1, comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, nella parte in cui fanno derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione di una denuncia per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2005.

F.to:
Fernanda CONTRI, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA